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Lima è la seconda città più grande del mondo ad essere stanziata in un deserto, dopo Il Cairo, e la prima in America Latina. Ma il suo primato è ignorato dalla maggior parte dei suoi abitanti che, come per magia, riceve a casa propria acqua in abbondanza, grazie all’impianto di tubazioni, e ne sperpera come se le sue riserve fossero, anch’esse, magicamente inesauribili.
A nessuno viene insegnato che, in realtà, le riserve sono quelle immagazzinate nel torbido bacino del Rimac, un fiumiciattolo per metà prosciugato e per metà inquinato, che raggiunge il centro della città dove sorge un quartiere fatiscente a cui dà il nome. Niente a che spartire, insomma, con il prospero e sinuoso Nilo, il quale dà origine alle fertili valli che permisero lo sviluppo dell’antica civiltà degli Egizi e che tuttora riapprovvigiona la capitale egiziana.
Lima è una metropoli a tutti gli effetti e i suoi abitanti, o per lo meno quei nove milioni che abitano delle case con accesso ad acqua corrente, elettricità e reti fognarie, quasi non hanno modo di scoprire la natura desertica della città. La sabbia è stata quasi completamente asfaltata, e qua e là è stato piantato qualche albero per creare una parvenza di vegetazione. In nessun quartiere residenziale mancano dei parchi dove portare a passeggio il cane o far giocare i bambini. Non si può definirla una città verde, ma grazie al progressivo sviluppo economico gli spazi verdi si sono moltiplicati negli anni.
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lima- cerros
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Certo però che il dubbio potrebbe anche insinuarsi, quando ci si accorge che a Lima non piove mai, ma al massimo garúa, che dovrebbe essere l’equivalente spagnolo di pioviggina. Anche se la garúa limeña, essendo composta da goccioline invisibili che galleggiano nell’aria formando una nube densa e appiccicosa, non è piacevole quanto la pioviggine che in Europa accompagna l’arrivo della primavera. Nessuno possiede un ombrello, né ho mai visto negozi che ne vendano. I pochi che si vedono in giro sono usati da donne asiatiche per ripararsi dalle radiazioni solari.
C’è un altro modo, però, per comprovare l’esistenza del deserto a Lima, nonostante i tentativi fatti per cancellarne ogni traccia. Quando fa bel tempo e la nebbia non cinge la città da estremità a estremità, come dentro ad una bolla lattiginosa e accecante, se si alza lo sguardo verso l’orizzonte si riesce a scorgere una catena montuosa atipica. Sono i famigerati cerros (montagne) che la gente per lo più associa a miseria, delinquenza e inciviltà. Io l’associo a miseria, marginalità ed esclusione.
Più che delle vere montagne, sono però delle dune di sabbia, vestigia di quel deserto che ingenuamente è stato occupato da chi pensava di poterlo soggiogare, di poter piegare la natura al proprio volere.
È qui che per lo più si accalcano le baracche di un milione di abitanti che non sono collegati al magico sistema di tubazioni che, chissà perché, non riesce a penetrare la rarefatta cortina di nebbia, quella che nasconde ciò che noi non vogliamo vedere.
Quanti vivono in queste baracche sono i veri abitanti del deserto. Quelli che conoscono il valore di ogni singola goccia d’acqua, di ogni millimetro di pioggia, di quegli otto che cadono annualmente. Quelli che soffriranno di più quando il cambiamento climatico inasprirà la crisi idrica. Quelli che già oggi sono costretti a razionare le dispense che gli vengono vendute da aziende private al doppio del prezzo di mercato. Un po’ per bere, un po’ per cucinare, un altro po’ per farsi la doccia, un po’ per lavarsi i denti, e se ne resta, anche un po’ per le faccende domestiche.
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lima- cerros
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L’acqua viene trasportata fino ai cerros da autocisterne una volta a settimana. È presumibilmente potabile, anche se non vengono condotti esami per verificarlo. Se la bevi e non ti ammali, allora è potabile. Il prezzo è quello che è: prendere o lasciare. Se non la vuoi, allora non berla.
Non ti lavare. Non mangiare.
Per illustrare la grande contraddizione che vige attorno alla distribuzione dell’acqua potrei fare dei classici esempi. Mettere a confronto i litri d’acqua giornalieri utilizzati in media da un abitante di San Isidro, quartiere altolocato e centro finanziario della capitale, e quelli utilizzati da un abitante di un cerro a caso. Potrei indicarvi che la quantità d’acqua utilizzata alla settimana da un sanisidrino per innaffiare il prato della sua villa corrisponde a quella di cui dispone mensilmente una famiglia di cinque persone dei quartieri marginali. O almeno è ciò che calcolo, a occhio e croce.
Senza però dover ricorrere a statistiche di mia invenzione, Lima mi regala un esempio ancor più eloquente.
La seconda città desertica più grande del mondo vanta anche la presenza del maggior complesso di fontane al mondo, il Circuito mágico del agua (stavolta l’attributo “magico” non è farina del mio sacco), dove turisti e connazionali possono ammirare spettacoli di getti d’acqua che danzano al suono della musica e illuminati da luci colorate. Uno dei getti d’acqua raggiunge gli 80 metri d’altezza. Un fiore all’occhiello per la città di Lima che l’ha resa più attraente agli occhi dei turisti e di cui i peruviani possono andare fieri, almeno quelli che non vivono con le scorte d’acqua razionate.
Questo paradossale divario, che non è mai importato granché a nessuno, è ora nell’occhio del ciclone. La pandemia l’ha reso visibile e tangibile come non mai. Una delle prime raccomandazioni effettuate dalle autorità pubbliche è stata quella di lavarsi spesso le mani, idealmente ogni venti minuti.
Queste parole mi hanno ricordato quelle pronunciate dalla regina Maria Antonietta, alla vigilia della Rivoluzione francese. Quando esortò il popolo, che soffriva la fame, a mangiare delle brioches in mancanza di pane.
Ora il presidente incita il popolo peruviano a lavarsi le mani per non ammalarsi. Sono passati secoli e la distanza fra chi governa e chi è governato non è stata colmata. L’indifferenza, l’incomunicabilità, è rimasta la stessa. Al popolo viene richiesto, inoltre, di rimanere a casa (#YoMeQuedoEnCasa), quando le loro “case” sono fabbricate con assi di legno, lamiere e materiali di recupero. A malapena fungono da sottile barriera tra i loro corpi e gli agenti atmosferici. Tra i loro corpi e la polvere che sembra voler sotterrarli vivi. Gli viene imposto di non andare al lavoro, ma se non lavorano non possono sfamarsi. L’alternativa al pericolo di ammalarsi è la morte certa, per una malattia magari diversa.
Il Perù è stato fra i primi paesi in America Latina ad adottare le misure di contenimento del virus, il virus però non sta arretrando come ci si aspettava. Sempre più occhi si volgono verso l’orizzonte e la nebbia finalmente si dirada.
Estefania Mejía Negrete
lima- circuito magico dell’acqua
Lima conta 10 milioni di a itanti e il fatto di essere costruita sul deserto è una dolorosa metafora delle distanze sociali esistenti sul suo territori e che la pandemia ha reso più eclatanti. Segnalo su L’Internazionale di questa settimana un altro caso acquatico drammatico. L’azienda Miteni ha inquinato per anni con i suoiscarichi una falda grande quanto il Garda, provocando gravi malattiee cancro fra gliabitanti delle province di Verona Vicenza e Padova. L’articolo è apparso originariamente su Libération e non mi pareche i media a livello nazionale ne abbiano parlato.