federica galli
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L’aveva messo, quella mattina, mentre si vestiva per andare a salutare Francesco, suo nonno, il padre di Nella.
Era un medaglione antico, portava all’interno i ritratti dei suoi nonni materni, Luisa e Francesco. Appeso a una catenella d’oro, si era fatto il nido nell’incavo dei suoi seni, vicino al cuore. Ogni tanto, mentre camminava, lo accarezzava attraverso il tessuto della camicetta, e ne accoglieva il calore. Come se quello stare lì, a tu per tu con il suo corpo, potesse ridestare in loro, nei suoi nonni, la vita.
L’aveva avuto in dono dalla madre, e non lo metteva quasi mai, per la paura di perderlo. Era da poco passato il 2 di Novembre, il giorno dei morti, e aveva pensato tanto a quell’uomo e alla sua morte violenta. Ora, si trovava lì. La luce del sole, posandosi sulle tombe, rifletteva il biancore dei marmi.
Si schermò gli occhi con una mano per orientarsi nel dedalo dei viali. Il silenzio l’avvolgeva come un corpo solido, interrotto solo dal rumore dei suoi passi sulla ghiaia.
Si fermò: davanti a lei la parete in cui erano incassate le piccole lapidi, una teoria alta tre metri e tanto lunga che non se ne vedeva la fine.
Ogni lapide, di forma quadrata, portava incisi due nomi, perché dentro ogni piccola bara c’erano i resti di due persone. Sì, i resti, perché cinque mesi dopo che era stato ucciso, di Francesco avevano trovato solo le ossa. Così le avevano messe insieme a quelle di un altro povero cristo come lui, come lui morto ammazzato.
Volse lo sguardo e iniziò a leggere sottovoce i nomi, uno alla volta, nome e cognome, quasi che il pronunciarli li facesse sentire un po’ meno morti, o almeno ne rinnovasse il ricordo.
Ma non tutte le lapidi portavano un nome. Anzi, più esattamente, la maggior parte di esse portava lo stesso nome: ignoto.
Erano stati tutti ammazzati, poi gettati in una fossa, spesso comune, in mezzo alla campagna. Molti di loro, ritrovati dopo mesi, per caso o per delazione, non poterono essere identificati. Gli assassini, insieme alla vita, avevano tolto loro anche l’identità. Succedeva in Italia dopo la liberazione dai tedeschi, tra la primavera del 1945 e la fine del 1946.
Gianna accese una candela e la pose sotto la lapide di Francesco, poi frugò nella borsetta ed estrasse un pennarello. Nel caos di quel lontano Settembre 1945, era stato commesso un errore. Con gesto lento e preciso corresse l’ultima lettera del cognome del nonno. La i diventò con pazienza una o: Marino.
Ecco fatto. E la Sicilia, la terra di Francesco, apparve davanti ai suoi occhi.
Giovanna Gentilini
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federica galli
L’ho letto or ora….bellissima la narrazione…e il suo registro…Complimenti…scrivi Giovanna.