DONO E DANNO di Paolo Gera

gabriella barouch

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“Mi ha fatto un regalo così bello…ed io adesso cosa gli faccio?”. Frase ricorrente durante le feste natalizie, o in altre occasioni celebrative che rivela la sottile insidia legata al ricevere doni. Ma non è da pensare che la preoccupazione sia legata esclusivamenteai riti consumistici della nostra società capitalistica: già nelle società primitive l’assillo del ricambio era intenso e costante. Il pensiero che preoccupa le nostre vecchie zie era anche un rovello fastidioso per i capitribù con la testa coperta di penne. In etnologia il libro essenziale per conoscere i meccanismi del dare e ricevere gratuitamente è “Essai sur le don” di Marcel Mauss(1923-24).  Nel libro Mauss studia e illustra in particolare il meccanismo del ‘potlach’, un rito di scambio diffusissimo tra gli indigeni dell’America nordoccidentale. ‘Potlach’ semplicemente significa dare. Durante la cerimonia del ‘potlach’ si cercano di consolidare i rapporti tra gruppi e individui di un certo status sociale, attraverso una gara di generosità dispendiosissima, per cui occorre ricambiare un dono offerto con un altro di valore assolutamente maggiore. E così via, in una specie di gara infinita che può portare allo sfacelo economico, alla rovina finanziaria per una semplice ragione di prestigio sociale.

Scrive poi François Pouillon: I sistemi del dono reciproco possono occupare una posizione di primo piano e in particolare regolare una parte importante degli scambi economici e della distribuzione dei ruoli politici. L’istituzione del dono assume allora un rilievo sorprendente. Al tempo stesso essa rivela un altro tratto paradossale: il dono che sancisce con tanta evidenza una relazione d’amicizia appare, ad un esame più approfondito, come una sfida. Accettare di ricevere non sempre è una fortuna, poiché questo significa impegnarsi a rendere, e se possibile a rendere di più. Non c’è migliore illustrazione di tale ambivalenza che quella curiosità linguistica riscontrabile nel vocabolario indoeuropeo e particolarmente evidente nella lingua tedesca: la parola gift vede sdoppiato il suo contenuto semantico, e ha in inglese il significato di ‘dono’, in tedesco quello di ‘veleno’. Il dono è dunque un veleno, dice la preistoria delle nostre lingue, e altrettanto dimostrano parecchie istituzioni osservabili in varie parti del mondo.” (F. Pouillon, Dono, EE, vol5, pp.107- 108).

Su questa linea non si può dimenticare quanto la parola italiana ‘dono’ somigli all’altra parola ‘danno’. Pacchi dono che nascondono un meccanismo esplosivo, prelibati manicaretti pieni zeppi di veleno o anche solo una tazzina di caffè, come lo sanno fare pure in carcere. Boletus satana consegnati come funghi buoni, regali ordalici, elargizioni che mummificano.  Se poi il dono segna in maniera forte una differenziazione sociale, la sua presunta munificenza si presta a un’interpretazione ancora una volta ambigua. Nel Medio Evo il dono dei superiori era guarire con il sacro tocco della mano la scrofola che colpiva il popolo dei sudditi: era l’epopea dei ‘re taumaturghi’, così come viene raccontata da Marc Bloch. Oggi per dimostrare benevolenza nei confronti dei dipendenti si preparano per le feste pacchi aziendali con il panettone e lo spumante. Con la caduta dell’aura il dono smaschera il suo carattere materiale e consumistico. Sarebbe interessante informarsi con quali doni venga assemblato il cesto natalizio dall’azienda siderurgica di Taranto, che prospetta ai propri impiegati l’alternativa tra il posto di lavoro assicurato e il cancro contributivo, anche per i familiari, figli e nipoti compresi.

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gabriella barouch

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CONIUGAZIONE AVVERSATIVA DEL VERBO DONARE

io dono=io do? No!

mi dono=domino

donare= a drone

ti ho donato=ho antidoto

doniamoci=no, ci odiam

donandoti=ti do danno

che voi li donaste=anche ostili vedo

doniamo lode Dio= no, di moda è l’odio

 

Buone feste.

Paolo Gera

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