KIRTAN-  Elisabetta Chiacchella

colli euganei- un mare di nuvole…una vertebra di suoni

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Da qualche giorno ci sto pensando tanto, perché l’autunno sta entrando in me con la sua malinconia e così come sento il bisogno di coprirmi un po’ di più, mi piacerebbe ricominciare a cantare. Da sempre la voce che canta è capace di prendermi, e se anche io posso unirmi al canto, allora lo stato di profondità arriva da ogni parte e quanto fa bene non lo so solo io.

Da qualche anno cantare con altri mi è capitato solo durante il kirtan, una pratica che per un periodo, intorno ad Assisi, fra Santa Maria degli Angeli e Viole, avveniva ogni due settimane, e ho avuto notizia che sta ricominciando. Vi ero stata introdotta da una amica di lunga data, cara e giustamente imprendibile, di cui mi fido. Dentro di lei sento ancora un travaglio di meditazione e superamento, e la luce dei suoi occhi chiari ha qualcosa di commovente. 

Dalla prima volta che ci andai, capii che faceva per me. Le parole sono in sanscrito e non ho mai saputo cosa significassero, ma non aveva nessuna importanza conoscerle per cantarle. Sembrano piuttosto sillabe. L’accompagnamento strumentale era affidato a un armonium e a una chitarra, ogni tanto chi aveva qualche altro strumento tintinnante si univa ritmicamente agli altri. Una voce ci guida, con l’esposizione della melodia, e segue la risposta del canto di tutti, nel dialogo col solista, o per meglio dire con l’iniziatore. 

Le persone che vanno al kirtan cantano passando attraverso molte emozioni. Non si tratta di avere una bella voce, non si tratta di sentirsi cantare né di far sentire la propria voce che spicca su quella degli altri. È qualcosa che si irradia e ti riconnette, una vibrazione che quando ne parlano gli altri ci credi fino a un certo punto, ma quando quella vibrazione è la tua, si scioglie dentro di te. E ricordi le passate stagioni, le stagioni  presenti, il bene che hai voluto a qualcuno, e senti anche il bene che ti hanno voluto. Non si può far finta di non essere stati abbastanza amati, quando si canta il kirtan, perché sei lì e ti viene da piangere, la nostalgia ti prende. Sei umana o umano, e ti accudisci, e ti curi degli altri.

Ancora non ci sono tornata, a cantare. Incredibile come non mi manchino le persone. Non voglio dire che siano superflue, anzi è tutto il contrario: le persone “fanno” il kirtan! Eppure il creato e le creature sono impersonali, lì con la loro gentilezza composta, sui tappetini dove si sta ognuno con la sua coperta e le caramelline per la gola, e i preziosi fogli in fotocopia che Anna distribuisce, con le sillabe-parole. La voce, nella co-appartenenza situazionale, sono le voci. 

Quasi non ci conosciamo. Condividiamo due ore di kirtan, questo è. 

Nel respiro, anche il mio inattaccabile scetticismo si ridimensiona, diventa umano.

Da qualche giorno, da qualche anno, riesco a sentire che da qualche parte lì con me abita lo spirito. 

La voce lo pronuncia e io lo canto.

Elisabetta Chiacchella

 

                                                                                              

 

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