L’OCCHIO ALLA FINE DEL CANNOCCHIALE ovvero Del vedere delle donne- Milena Nicolini: L’unica reciprocità possibile del dono

felice casorati

 

Ancora una volta la parola a un maschio, Ivan Andreoli. Che sa vedere bene da vicino le cose, magari le più apparentemente piccole, ma che contano sul serio. Che ha saputo portare questa qualità del suo occhio dietro la cinepresa. E che  porto anche qui a testimonianza della mia riflessione sul dono, soprattutto su quel complesso dono che dalla madre va al figlio. Si è, infatti, già detto tanto sul dono, su come sia da considerare in totale alternativa alla logica dello scambio di mercato, soprattutto per l’assenza nel suo attuarsi di aspettative più o meno compensatrici, che, senza arrivare all’inconsapevolezza teorizzata da alcuni, però apre certamente un altro ambito di relazione: quella che si fa carico del bisogno dell’altro solo perché l’altro, chiunque sia, vicino o lontano, lo si sente comunque parte integrante di sé, indispensabile completamento, quindi da aiutare a completarsi perché è un proprio completarsi. Detto senza sottintendere elementi etici di tipo egoistico. Questa madre, Iris, non ha mai dato cura e amore per puro dovere o consuetudine; s’intravede dalle parole di suo figlio come avesse in estrema immediatezza e semplicità chiare ed evidenti le necessità della buona vita: la libertà, l’indipendenza, il rispetto dell’altro. Ma  altrettanto importante era il rispetto che lei aveva e faceva vedere anche di se stessa: ‘un po’ribelle’, dice il figlio. Ha colto e capito qui di sua madre il senso profondo di viversi e far vivere. Che insegnava più che con parole, col suo modo di fare e di star dentro all’esistenza sua propria e degli altri, con l’esempio. Per adiacenza, per tangenza. Il dono non può essere, anche nelle migliori intenzioni, imposto; oppure si snatura, cambia segno. Riporto qui le parole dell’ultimo saluto di Ivan perché sono il dono di ricambio a sua madre, senza che sia divenuto un risarcimento, un riconoscimento finale o altro, per lodevole che potrebbe essere. Ma solo perché le parole di Ivan dicono che il dono di Iris si è attuato nella sua vita di figlio, come un flusso vitale che passa da persona a persona, non solo d’amore, non solo. Anche Ivan, inoltre, ha imparato a donare con il suo modo di essere, col suo mostrarsi com’è e questo viene ancora da Iris, la sua forza, la sua scelta. Era Capitini che ci ammoniva a contare i morti coi vivi per quello che, pur dato, non smette di venire dato, che  ancora opera in noi e tra noi.   

Milena Nicolini

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felice casorati

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22 luglio 2019

Che strana la vita, mamma. Oggi avremmo celebrato il tuo 69° anniversario di matrimonio, invece siamo qui, per questo saluto che non chiede applausi, ma solo la forza di un pensiero, un omaggio silenzioso, una riflessione affettuosa a tutti noi, che siamo qui convenuti accanto a una persona a cui si è voluto bene e anche di più.
E’ molto difficile tentare di parlare di te senza considerare anche il papà perché eravate una coppia inscindibile. Sempre presenti, tutti e due, insieme. Come noi figli: due. Che quando eravamo piccoli dicevamo ‘noi’, non ‘io’.
Anche per questo quando ci rivolgevano l’insidiosa domanda: vuoi più bene alla mamma o al papà non capivamo se lo chiedevano sul serio o tanto per dire qualcosa. La nostra risposta era comunque, inderogabilmente, sempre la stessa: tutti e due uguali.
Comunque grazie, mamma, di averci fatto due. Crescere gemelli è stata una fortuna incommensurabile. A volte, ancora oggi, quando rifletto su una vita accanto a mio fratello, oso definire la nostra una fortuna sfacciata. Perché crescere insieme ha voluto dire affrontare il mondo non da soli.
E poi, tu e papà ci avete insegnato fin da piccoli la giustizia e l’uguaglianza, perché noi, nella nostra somiglianza, eravamo proprio uguali ai vostri e nostri occhi. Anche se definivano mio fratello più vivace e io più malleabile, noi sapevamo che eravamo comunque uguali. Il regalo di una cioccolata era metà per uno, l’albero di Natale era fatto a quattro mani, il sacrificio e la gioia sempre ugualmente ripartiti.
Sono tanti i ricordi di te giovanissima, e poi un po’ più adulta, ora lo comprendo, alle prese con due esserini indivisibili, quasi sempre con le stesse contemporanee esigenze. Dobbiamo averti dato tanto da fare, ma eri forte, ai nostri occhi mai scoraggiata. E giorno dopo giorno abbiamo imparato anche l’indipendenza. Non so come, perché non ci sono state troppe parole, c’è stato qualcosa di più importante: l’esempio. Tu e papà ci avete educato soprattutto con l’esempio: vivevate di lavoro, a volte duro, faticoso, ma mai fatto pesare. Non c’era ricchezza, ma il buon cibo non è mai mancato, i giocattoli arrivavano spesso solo alla Befana, dal circolo aziendale, ma io e Imer ce li facevamo con l’argilla e chissà cos’altro.
E quando tornavamo a casa con le mani e un po’ i vestiti sporchi di terra, di erba e di esperienza, era bello ritrovarci ed ascoltare i discorsi di politica dei grandi, col nonno in disparte, con le orecchie incollate a Radio Praga.
Ci avete insegnato il sacrificio, fondamentale per crescere consapevoli della propria condizione. E poi la memoria della tua infanzia, snocciolata forse tardivamente, quando la tua malattia faceva riemergere i ricordi più lontani e mi ripetevi, per esempio, di quando a scuola, mentre tutti, costretti, gridavano: Du-ce Du-ce, tu e tua sorella invece ricorrevate al dialetto e dicevate sprezzanti: Duu ucéé (due occhiali). Geniale, mamma! Ma mi sono sempre chiesto se c’era in te già il germoglio di antifascismo respirato in famiglia o se era un segno premonitore del tuo spirito ribelle.
Perché un po’ ribelle lo sei sempre stata: alle convenzioni, al conformismo. Ecco, la ribellione ce l’hai insegnata tu. Hai sempre desiderato inseguire una tua idea di modernità, di emancipazione, di autoaffermazione. Ricordo il tuo orgoglio di quando tu e tua cognata, mia zia Ilva, a metà anni ’50, siete state le prime due donne a prendere la patente di guida a Modena, con tanto di notizia sulla cronaca locale.
Grazie di averci permesso un’infanzia bellissima, piena di libertà, grazie di averci accompagnato al cinema ogni domenica. Ti piacevano i melodrammoni americani con storie d’amore sofferte ma con lieto fine che scioglieva i magoni e asciugava le lacrime piante al buio. Quanto mi piaceva!
Grazie di averci richiamato ai doveri scolastici, e anche di averci insegnato ad aiutarti nei lavori domestici, che allora ai figli maschi non capitava mai. Però tu figlie femmine non ne avevi, ma una casa da tenere dietro sì, e noi la abitavamo. Era giusto contribuire. Lo capivamo anche se avremmo spesso preferito poltrire nel letto ancora un po’ la domenica mattina. Ma tutto si assimila e irrobustisce il carattere. Forse è stato grazie a quel piccolo sacrificio adolescenziale che a trent’anni ho realizzato il desiderio, la volontà e finalmente la possibilità di sottrarti l’impegno di avere ancora un figlio-grande in casa da accudire. Così ho lasciato il tetto natio e ho cominciato a vivere l’indipendenza che mi avevi insegnato.
Non sai quanto ti sono grato di avermi fatto lucidare pavimenti, di averti osservato stirare. Di avermi detto spesso: “T’andrè bein a suldè… acsè et magn anc al gras dal persót!” (Andrai finalmente a soldato!, così mangerai anche il grasso del prosciutto!).
Anche se poi devo averti deluso, perché ho continuato a togliere il fili di grasso anche dopo il congedo. Però ho imparato tutto, e soprattutto l’ho messo in pratica. Che vita, mamma. Un’avventura che si è conclusa ma che conservo intera. Ora che non ti vedrò scendendo le scale, ti cercherò molto più vicino e ti troverò sempre, dentro me.

Grazie mamma.

Ivan Andreoli

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NOTE RELATIVE ALL’AUTORE

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Ivan Adreoli, figlio di Iris Ferrari, è di Modena, dove abita. Ha lavorato come insegnante in un Istituto Tecnico di Modena, per il quale per circa vent’anni ha allestito con una collega lo spettacolo teatrale della compagnia degli studenti della scuola (Ultima Fermata), nonché corsi di storia e tecnica del cinema, normalmente inseriti nella programmazione scolastica. Infatti, come attività personale extrascolastica è stato ed è ancora critico cinematografico e regista di documentari, non solo premiati, ma proiettati anche all’estero, tra cui vanno ricordati: L’interrogatorio, quel giorno con Primo Levi, 2014 (lavoro condiviso con Alessandro e Mattia Levratti, Fausto Ciuffi, prodotto da Fondazione Villa Emma Ragazzi Ebrei Salvati, Biblioteca archivio Vittorio Bobbato, Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino, con la collaborazione dell’A.N.P.I. di Pesaro-Urbino e del Centro internazionale di studi Primo Levi-Torino), In cammino con Boris Pahor  e Dove vi portano gli occhi, a colloquio con Edith Bruck, tutti e tre nel quadro del Progetto: Gli ultimi testimoni, incontri lungo le storie del Novecento. Ha diretto come regista, con grande successo di pubblico, numerosi musical con attori-cantanti non professionisti, tra cui: Jesus Christ superstar, Cats, Il re leone. 

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