ISTANTANEE- Anna Maria Farabbi: Juan Vicente Piqueras e gli “Avverbi di luogo”

maggie taylor

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Si esce dalle pagine dell’opera spaesati, nel senso di una destabilizzazione che priva di ogni riferimento spaziale: sradicati i confini, cancellati i contorni, svuotati i riferimenti. Tutto fluttua impedendo una saldezza di equilibrio, una prevedibilità di paesaggio. Mi ricorda l’acqua che affoga l’imbarcazione e slega gli oggetti e i corpi, in una inevitabilità mortifera. Mi ricorda anche i mulinelli di sabbia dentro cui spariscono piedi e occhi e catapultano il nomade in altro non luogo.
Nessuna tregua in questo incessante movimento interiore e esterno, neanche nel sonno/sogno dove un popolo di cammelli attraversa sabbie, sabbie invasive che dilagano in ogni dove, nel dove della propria casa, delle proprie tempie. Il canto dell’io combatte, in un certo senso, il processo di desertificazione sia ecologico che esistenziale in un corpo a corpo con la morte. Emergono le mappe, le acque, l’apparizione della madre, di un bambino, come fascini e fonti di energia orientanti anche se transitori.
L’opera, scandita in tre soglie andando sete ritorno, si apre con un testo folgorante dentro cui l’estraneità apolide spinge a una necessità di nomadismo slacciato da tutto e da tutti. E’ questa la premessa di un viaggio poetico che scortica ogni incantesimo, asciuga la vita e il canto e, allo stesso tempo, mantiene un ritmo vitale, lirico, intenso. Il destino umano assetato e inappagato è imperdonabile direbbe Cristina Campo, irriducibile: nella consapevolezza di questa tragedia in atto, la bellezza incandescente del canto vibra e resta come una resistenza biologica.
Piqueras è nato 59 anni fa a in un piccolo paese valenzano. I suoi studi in filologia Ispanica si sono arricchiti di vari lavori, tra cui attore, radiofonico, annunciatore, sceneggiatore, sottotitolatore, traduttore. Ha abitato in diversi Paesi, attualmente è direttore dell’Istituto Cervantes della capitale giordana. Ha tradotto tra l’altro, Tonino Guerra, Cristina Campo, Cesare Zavattini, Elisa Biagini.

Anna Maria Farabbi

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maggie taylor

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Testo tratto da Avverbi di luogo di Juan Vicente Piqueras

 

Le parole sono queste, mai quelle

Io sono qui e tu là e laggiù noi quando.
Questo è pietra. Codesto è seta. Quello è mare.

Qui, focolare impossibile, intima assenza,
odiato domicilio, carcere dell’ogni giorno.

Là, calore del tu, la tua vita mia.
Tesoro della tua isola, aria d’amore.

Lì, dove non siamo, piove sulla vita
Che mai sarà nostra e ci attende.

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Risultati immagini per Juan Vicente Piqueras, Avverbi di luogo

 

Juan Vicente Piqueras, Avverbi di luogo– LietoColle 2019
Traduzione di Roberto Buffi

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Note relative all’autore

Juan Vicente Piqueras è un caso singolare nella poesia spagnola contemporanea. Discendente di una famiglia di agricoltori, nato e cresciuto in campagna, in una casa senza libri, nel piccolo villaggio di Los Duques de Requena (Valencia), ha lasciato la Spagna e ha vissuto in Francia, Italia (dichiara che Roma è la sua “anima città”), per cinque anni in Grecia, in Algeria e ora a Lisbona, in Portogallo. Ha lavorato come attore, sceneggiatore, annunciatore radio, doppiatore, traduttore e professore di spagnolo per stranieri. Si è dedicato alla poesia e alla diffusione della lingua e della cultura spagnola e ispanoamericana. Lavora per l’Istituto Cervantes.
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia:
Tentativas de un héroe derrotado (1985), Castillos de Aquitania (1987), La palabra cuando (1991), La latitud de los caballos (Madrid, 1999), La edad del agua (2004), Adverbios de lugar (2004), Aldea (2006), Palmeras ( 2007), La hora de irse (2010), Yo que tú (2012), Atenas (2013), El cielo vacío (2013), La ola tatuada (2015), Padre (2016) y Animales (2017).
Ha ricevuto i seguenti premi per la poesia: : premio José Hierro, premio Antonio Machado, premio Jaén, premio Valencia, premio del Festival Internacional de Medellín, premio Manuel Alcántara y premio Fundación Loewe.
In Italia ha pubblicato: “Mele di mare” (ed. Le Lettere , Firenze, 2003), “Palme” (ed. Empiría, Roma, 2005) e “Braci” (ed. Empiría, Roma, 2010).
Ha tradotto la “Poesía Completa” di Tonino Guerra (2011), “Una calle para mi nombre”, antologia del poeta bosniaco Izet Sarajlic (2003), “Cosecha de ángeles”, antologia della poetessa rumena Ana Blandiana (2007), “El hambre del cocinero” e “Encima del subsuelo” di Kostas Vrachnós (2008 e 2014), “El huésped en el bosque”, antologia di Elisa Biagini (2010), e “Refugiarme en una palabra” di Cesare Zavattini (2016).
Ha partecipato nel 2000 a “Verba Volant. Incontri internazionali di poesia” a Salerno e a “Lo spirito dei luoghi. Incontri internazionali di poesia” nella Casa della poesia, nel 2001 alla manifestazione “Poesia contro la guerra” e nel 2002 a “Il cammino delle comete” a Pistoia e agli “Incontri internazionali di poesia a Sarajevo” nel 2002 e nel 2003, a “La poesia resistente” nel 2012.
È stato direttore didattico dell’Istituto Cervantes di Atene, di Algeri e attualmente di Lisbona.
Nel 2017 è stata pubblicata un’ampia antologia della sua poesia per Multimedia Edizioni / Casa della poesia, dal titolo “Vigilia di restare” con traduzione di Raffaella Marzano. Per il 2019 è prevista la pubblicazione in Italia del libro “Padre”.

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