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L’ANTROPOLOGA.
Cinque metri di “Mandela” e magari tre di “peperoncino”, perché no? Se si tratta di wax, non fa una piega, o meglio di pieghe ne può fare a bizzeffe, tutto dipende dall’abilità del sarto e dall’ampiezza del tessuto. Si può anche scegliere tra “mascella di maiale”, oppure “gli uomini non sono riconoscenti”, o ancora “l’amo da pesca”, “patata”, “la chiocciola fuori dal guscio”(=colui che si impiccia degli affari altrui) e le altre 350.000 varietà, che offre il catalogo Vlisco [1]: il wax, tessuto tipicamente africano, oltre a un numero di identificazione, ha sempre un nome. Associare un nome al motivo di una stoffa è infatti pratica ricorrente nelle società africane. Se però tradizionalmente era sempre l’artigiano a battezzare il proprio motivo, nel caso del wax non sono più i creatori, ma i consumatori: a volte i nomi sono descrittivi, come ”piccole stelle”, “valigia”, “faraona”, ma spesso si entra in territori nei quali l’amore, la sfida, l’avvertimento la fanno da padroni: così l’uccellino che esce dalla gabbia significa “se te ne vai, me ne vado anch’io”.
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Wax- disegno Mandela
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Questo ci racconta Anne Grosfilley, antropologa specializzata in moda e tessuti africani, nel suo splendido libro, dove le illustrazioni lussureggianti di colori si alternano a pagine che raccontano la storia e le intricate vicende di un tessuto ritenuto tipico dell’Africa, ma che in realtà è un prodotto olandese, a sua volta copia di stoffe indonesiane. Un melting pot, insomma. Ecco la storia: a metà dell’ottocento dei mercanti olandesi copiano il batik indonesiano, utilizzando la cera a caldo per creare disegni (wax significa cera). Pensano di fare fortuna nel Sud est asiatico, ma agli indonesiani queste stoffe non piacciono; il mondo africano ne è invece conquistato e lo fa diventare suo, inventando fantasie e motivi coloratissimi che raccontano in modo sorprendente e divertito il mondo: la politica, le pene d’amore, la religione, la famiglia, gli animali, la vita urbana tutto entra nel wax che illustra storie, dipinge proverbi, commemora eventi. I tessuti sono veicoli di messaggi, espressione di un sentimento, di un impegno, di un entusiasmo collettivo, come, all’epoca di Obama, “la borsetta, di Michelle Obama” o “la chiave del successo di Obama”.
Così, afferma Anne Grosfilley, in una “conversazione sublime e surrealista nutrita di equivoci e malintesi […] il wax è un prodotto divenuto africano per mano degli europei”. La storia ama i paradossi. E gli errori.
“Io mi curo” porta scritto il wax sulla sinistra, mentre è un omaggio alla festa della donna quello sulla destra
Numerosi sono i motivi religiosi stampati sul wax o sui fancy print, “stampato fantasia”
A sinistra Uniwax 12102, su disegno Vlisco H268, detto “Famiglia”, disegno di Ted Van de Ven,nel 1952.
A destra, copia di Vlisco 0963, chiamato, “I figli valgono più dell’oro”
“Caro, non voltarmi le spalle”, tessuto nato per ispirazione dalla carta con cui un macellaio aveva avvolto l’arrosto, è un best-seller della Vlisco
Questo wax ABC A14807 è la stilizzazione africanizzata delle ali di Garuda, l’uccello sacro di Vishnu.
Creato nel 1895 è ancora di grande popolarità. In Ghana viene denominato “la chiocciola fuori dal guscio”(=colui che si impiccia degli affari altrui)
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L’ARTISTA: YINKA SHONIBARE
Sempre per errore il wax con tutta la sua favolosa gamma di colori è diventato il marchio distintivo del noto artista britannico di origini nigeriane, Yinka Shonibare. Infatti, quando un insegnante lo spronò a produrre una “autentica arte africana”, Yinka decise di lavorare con questi manufatti tessili che credeva venissero originariamente dall’Africa. Ne scoprì la storia tortuosa e questo lo portò a riflettere sul concetto di autenticità, di identità e di colonialismo.
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Le Tre Grazie, 2001, Yinka Shonibare
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Per l’artista britannico il wax mette appunto in evidenza le interconnessioni culturali, mostrando le infinite appropriazioni, gli adattamenti, la circolazioni e gli scambi all’origine di ogni civiltà.
Ha utilizzato quindi il wax per vestire manichini con abiti in stile vittoriano e per creare parodie di dipinti famosi, ottenendo sempre un effetto spiazzante che induce a riflettere sull’artificialità dell’arte e sulla interconnessione delle culture. “L’identità si definisce solo in relazione agli altri e non può esistere nell’isolamento. La relazione a sua volta si basa sempre su una certa dose di finzione. E’ la finzione che crea l’immagine di una comunità. Non credo che esista una identità intrinseca o innata”, così egli afferma.
Nel 2018 infine ha utilizzato questi coloratissimi e divertenti tessuti per realizzare The American Library che celebra le diversità alla base della popolazione americana e intende con questo spingere a una riflessione sul concetto di identità culturale.
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L’American library al Davidson College. Particolar, Yinka Shonibar
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L’opera consiste in migliaia di volumi rivestiti con queste stoffe, disposti ordinatamente su scaffali lunghi decine di metri. Una gioia di colorate imperfette geometrie che spesso si susseguono a ritmo allucinatorio. Verdi, gialli, rossi, blu intensi, fucsia, arancio, viola, tutti i colori dell’arcobaleno in una libreria. E sul dorso di ogni libro, impressi in oro, i nomi di discendenti di schiavi o di immigrati, come Steve Jobs, Bruce lee, Joni Mitchell, Toni Morrison, Barack Obama, Donald Trump e Tiger Woods.
Sull’iPad i visitatori possono accedere ad altre informazioni riguardo agli individui della libreria. Ma non basta: chi è immigrato o ha, nella propria famiglia, degli immigrati negli USA può raccontare la sua storia ed entrare così a far parte della American Library. Basta cliccare sul sottostante sito e poi su SHARE YOUR STORY (condividi la tua storia).
La storia è fatta anche di condivisioni. Anche questo insegna il wax.
Adriana Ferrarini
L’American library al Davidson College (particulare), Yinka Shonibare
Note al testo
[1] La Vlisco è la ditta olandese che ancora produce wax autentico, cioè non contraffatto, utilizzando la tecnica tradizionale grazie alla quale il disegno appare su entrambe le parti del tessuto.
RIFERIMENTI IN RETE
https://www.theamericanlibraryinstallation.com/your-stories