lucia guidorizzi-antico eucalipto
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FORESTIERI
Passano tra gli alberi antichi
Di foreste remote
Attraversano borghi disabitati
I forestieri camminano
Con rapidi passi
Nel paesaggio mutevole
Si sanno sconosciuti
Si scordano di se stessi
Camminano e pensano
Camminare è pensare
Fantasmi di mondi spenti
Tra il verde che vibra
Di energie sottili
Tra l’erba alta e sfavillante
Vedono comparire la Dama
Dallo zoccolo caprino
Che sorride loro con occhi allungati
Lame di menta
È lei la calderaia che li disseta
Anche nella calura più torrida
Essere forestieri è non sentirsi mai definitivi
Passare osservando le cose nella loro incompletezza
Passatori passanti passeggeri pellegrini
Tutti sono passati di qui
E vanno cercando vanno ascoltando
Attraversando i campi
Senza mai sostare
Ad ogni incontro s’intrecciano destini
Fili luminosi ed oscuri
Tra foglie che stormiscono e percorsi
Di nuvole che vanno passando incessanti
In mutamento
Da “Foreste e Forestieri” di prossima pubblicazione
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lucia guidorizzi- horreo galiziano
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Capita nelle lunghe e monotone sere d’inverno, dopo una giornata scandita da una serie interminabile di scadenze lavorative e burocratiche, di desiderare qualcosa di bello che apra i nostri orizzonti, di immaginare una meta, un obiettivo che crei nelle nostre vite spente un senso di attesa, di desiderio, è la volontà di piantare un seme nel cuore della stagione più buia.
In questa tensione desiderante, ho sentito riaffiorare quella voce che già altre volte mi aveva convocato dentro al Cammino “Devi riprendere la strada e questa volta spingerti fino a Muxia e Finisterre.”
E’ bastato questo richiamo ineludibile per riattivare i sensi, per far circolare più veloce il sangue, per proiettarmi nel tempo vivo dell’attesa, rendendo più sopportabili gli oneri della quotidianità.
L’immaginario si attiva verso l’Altrove. Vedo già le foreste profonde della Galizia, in cui desidero immergermi fino a sparire, le nebbie che avvolgono questo paese estremo, pieno di antiche magie e tracce di culti remoti.
Dopo aver considerato le varie possibilità di Cammino, ho sentito che a chiamarmi era il Cammino Inglese, quello che fin dal XII secolo veniva intrapreso da quei pellegrini che dal Nord Europa approdavano sulle coste della Galizia per dirigersi a Santiago di Compostela.
Giungevano dal mare inglesi, irlandesi, svedesi e fiamminghi, tra cui molti crociati e cavalieri diretti in Terrasanta.
Ho deciso che dopo aver raggiunto Santiago di Compostela, per completare il mio pellegrinaggio, avrei proseguito verso la Fine del Mondo, raggiungendo la Costa della Morte, dove si affacciano Muxia e Finisterre, luoghi antichissimi, simboli dell’Oltre e dell’Estremo.
Raggiungo il porto di Ferrol una domenica mattina, dopo aver attraversato tutta la cittadina addormentata, che si affaccia sull’Atlantico da una profonda insenatura. Il mio cammino inizia dal primo mojon (cippo) che segna l’inizio del percorso. Uscendo dalla città costeggio spiaggette solitarie e zone residenziali, cantieri navali e capannoni industriali, fino ad immergermi in spazi più aperti. Il sole è a picco, non c’è nessuno: mi rendo conto che questo Cammino è davvero poco frequentato rispetto al Cammino Francese.
Meditando su questa sensazione di solitudine che penso mi accompagnerà per tutto il resto del viaggio, alzo gli occhi e davanti a me vedo sopra un capannone industriale una scritta a caratteri cubitali ”SOLEDAD” che sembra quasi la materializzazione visiva del mio stato d’animo (in realtà si tratta della pubblicità di una marca di pneumatici, ma per me assume un profondo valore evocativo).
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lucia guidorizzi- soledad
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Ero partita con l’idea di fare una tappa breve, fermandomi a Neda o a Fene, ma i paesi che attraverso sono desolatamente vuoti e non m’invogliano a sostare, per cui continuo a procedere fino a Puentedeume dove arrivo sfinita verso sera, dopo aver percorso circa trenta chilometri. Decido che mi merito un albergo in piena regola e dopo essermi riposata per un po’ esco per andare a cena: Puentedeume è una cittadina bellissima circondata da lagune, il centro è vivace, pieno di portici ed antichi palazzi ed è molto animata: i suoi abitanti la sera sfilano per le strade del centro, indossando il loro abiti della festa esibendo fieri ed orgogliosi la loro prole.
La mia cena a base di pimientos de Padròn, calamari e birra mi rimette in forze e poi mi mangio anche un bel gelato divertendomi ad osservare l’animato passeggio: tra tutta questa gente non vedo traccia di pellegrini. Un sonno profondo e ristoratore chiude in bellezza la mia prima giornata di cammino.
L’indomani inizio il mio percorso inerpicandomi per le ripide strade in salita di Puentedeume che conducono fuori dal paese: il panorama si apre su bellissime colline che ricordano un po’ l’Appennino. Sfilano davanti ai miei occhi campi, luoghi solitari, sperdute fattorie.
Un vecchio signore, seduto davanti alla porta della sua casa mi saluta e mi domanda se non ho paura a viaggiare sola, gli dico di no (la paura ce l’ho molto di più nell’affrontare le sfide della quotidianità) ed intavoliamo una piacevole conversazione.
Sento che quest’incontro ha aperto una breccia dentro al mio silenzio e quando riprendo il cammino sono già su un’altra lunghezza d’onda: quella dell’incontro.
Mi addentro nel bosco e qui trovo tre compagne di viaggio: Marcia, brasiliana, Olga, messicana e Paola, italiana (di Assisi). Procediamo insieme e subito si crea tra noi un affiatamento ed un’armonia che ci permetterà di fare un lungo tratto di strada insieme ( ma niente è come sembra ed in seguito si creeranno dissapori e malintesi con due di loro: sarà solo Paola, che si rivelerà una donna straordinaria per coraggio, indipendenza, consapevolezza e spiritualità quella con cui condividerò il mio Cammino fino a Santiago).
La nostra tappa successiva sarà Betanzos, un bellissimo paese ricco di storia e di testimonianze fin dal Paleolitico.
I giorni trascorrono attraversando boschi, paesaggi solitari pieni di ortensie blu e paesi semiabbandonati costellati dai tradizionali horreos, tipici granai galiziani in pietra o in legno sopraelevati per preservare dall’umidità i frutti della terra.
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cammino inglese- tappa hospital de la bruma
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Una delle tappe ha il nome suggestivo di Hospital de la Bruma e in effetti è una località perduta nel nulla. La solitudine dei luoghi, le affascinanti leggende galiziane, ricche di magia e di mistero, le nebbie frequenti anche in estate, avvolgono il tutto, creando un’atmosfera unica. Qui si parla il gallego, una lingua romanza molto più simile al portoghese che allo spagnolo. Qui si erano stanziate popolazioni di origine celtica che con le loro leggende, i lori miti e i loro riti hanno lasciato un’impronta particolarissima sul territorio. Non c’è nulla che ci possa trattenere dall’andare verso luoghi lontani. Quando in noi si riattivano connessioni neuronali arcaiche, ci si mette in viaggio, senza pensare, ma solo in virtù di una chiamata che apre una breccia dentro alle nostre abitudini e ai nostri automatismi. Ecco allora che ci si mette in viaggio, senza porre limiti al nostro procedere.
Nessuna conquista è assoluta e definitiva, ma scegliere di mettersi in cammino diviene una delle più grandi possibilità della nostra esistenza.
Si può vivere con poco ed il nocciolo di forza e resistenza racchiuso in ognuno di noi è quanto di più prezioso possediamo.
La bellezza del mistero apre scenari inattesi. La bellezza è la possibilità che hanno tutti gli esseri di creare e di amare.
Questo è quello che ricavo dagli incontri, dai dialoghi coi miei compagni di viaggio, ognuno con la sua particolarissima storia, ognuno con una sua inconfondibile intenzione e motivazione e alla fine comprendo che altro non siamo che corpuscoli in movimento dentro un canale energetico potentissimo.
Arrivo a Santiago con Paola, la mia preziosa compagna di Cammino e la commozione è grande nel vedere la Cattedrale ergersi in tutto il suo splendore, libera finalmente da tutte le impalcature per il restauro che negli anni precedenti ne ottundevano la meraviglia. Contemplo la ricchezza delle sue statue, la sua tortuosa spinta ascensionale che me la fa rassomigliare ad un tempio induista.
Trascorro la notte a Santiago, saluto Paola perché qui le nostre strade si dividono e l’indomani riparto da sola alla volta di Muxia e Finisterre.Attraversare la città, lasciandomi la Cattedrale alle spalle, per procedere inoltrandomi dentro alle foreste, mi pervade di euforia: qui ha inizio il mio viaggio più estremo.
Sto percorrendo la parte più oscura e segreta del Cammino, quella che attraverso le foreste sacre porta a Muxia, dove si praticavano culti ancestrali, percorro la via della Morte e della Rinascita, la via sacra che conduce agli estremi confini del mondo conosciuto.
Il tempo si è guastato, procedo sola, sempre più in silenzio. Inizia a piovere, prima una pioggia sottile, poi sempre più insistente che contribuisce a rendere l’atmosfera particolarmente lugubre. Non c’è nessuno, né davanti né dietro a me. Le foreste sono spettrali, il mio procedere assume sempre di più il valore di un vero e proprio rito d’iniziazione. Sola, sotto la pioggia battente a farmi compagnia sono i versi di San Giovanni della Croce “sin otra luz ni guía sino la que en el corazón ardía. “
Camminando nel fitto del bosco, accompagnata dal rimbombo di una musica heavy metal proveniente da una lontana discoteca ancora aperta all’alba, trovo tracce inquietanti: una zampa di gallina di traverso sul sentiero, un completo femminile di biancheria intima rosa appeso ad un albero.
Quando sfinita, dopo ore di cammino, cerco di entrare in una locanda per riprendermi un po’ dalla pioggia battente, un vecchio, seduto davanti alla porta, lancia urla inarticolate contro di me, minacciandomi, per cui preferisco andare oltre, nonostante la stanchezza.
La catabasi si fa sempre più estrema.
Ad Olveiroa incontro un altro viandante in solitaria, Francesco il Pellegrino, professore in pensione di latino che ogni anno sente il richiamo della Via Lattea.
L’indomani riparto, nonostante la pioggia battente e mi dirigo verso Muxia.
lucia guidorizzi- muxia
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Attraverso da sola foreste di eucalipti, montagne rocciose rosseggianti d’ erica, tra vapori di nuvole basse e pioggia battente e finalmente sento l’odore del mare. Andando più avanti, tra gli eucalipti odo il rumore della risacca e poco dopo scorgo la distesa argentea e liquida dell’Oceano : sono arrivata ai margini del mondo.
Nel digradare della foresta, inizio ad incontrare persone che passeggiano con cani e questo mi rassicura, mi sto avvicinando alla meta.
Arrivata a Muxia, dopo una doccia calda ristoratrice, esco nuovamente per dirigermi al santuario de la Virxe da Barca, che sorge sull’Oceano, in un antico luogo di culto megalitico e che è circondata da las piedras santas, tra cui la famosa piedra de Abalar, pietra oscillante.
Il santuario è stato colpito da un incendio provocato da un fulmine il 25 dicembre 2013, in cui la copertura è andata completamente distrutta, ma è stato prontamente ricostruito.
Al suo interno, appesi intorno all’Altar Maggiore ci sono dei modellini di nave: sono gli ex-voto di marinai scampati al naufragio.
Non per niente siamo sulla Costa della Morte, dove l’Oceano, con le sue acque tempestose, costituisce un vero e proprio pericolo per i naviganti.
Infatti, in prossimità del Santuario de la Virxe de la Barca c’è un grande monumento in pietra intitolato “La Herida”, in ricordo del terribile naufragio della petroliera Prestige, avvenuto nel 2002 e del disastro ecologico che ne seguì.
Dentro la chiesa ritrovo Francesco il Pellegrino, le nostre vie continuano ad incrociarsi, anche se non cammineremo mai insieme, perché lui parte sempre prestissimo, prima ancora dell’alba.
Muxia è un paese circondato dal fascino magnetico che emanano le sue colline antichissime e delle pietre misteriose disseminate tutt’intorno.
Verso il crepuscolo mi arrampico su quelle rocce, in cerca di qualcosa che non so e dall’alto vedo tutto il paese, circondato dall’abbraccio periglioso dell’Oceano.
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lucia guidorizzi- finisterre
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Il giorno dopo sono nuovamente in cammino alla volta di Finisterre. Sono elettrizzata, euforica, contenta del mio andare. Uscendo dal paese passo per il Santuario de la Virxe de la Barca e poi costeggio l’Oceano, attraversando piccoli paesi e spiagge bianchissime: il tempo si sta finalmente rasserenando e il sole trasfigura il paesaggio rendendolo di una bellezza sfolgorante.
Dopo aver salito e disceso una montagna davvero impervia mi trovo davanti una visione di sapore felliniano: un baracchino in mezzo al nulla dove una donna di nome Pia, offre ai rari viandanti. in cambio di una donazione, succo di sambuco, biscottini allo zenzero preparati da lei, banane ed altri generi di conforto.
La saluto dicendole “Buen Camino!” ( in realtà sono io che sto camminando e non lei), ma Pia comprende subito al volo e mi risponde “Toda la vida es un Camino!”
Cammino, cammino e camminando mi rendo conto che ho il mare da entrambi i lati: mi trovo in mezzo ai boschi sulla penisola di Finisterre.
Comincio ad essere veramente stanca, mi sembra di non arrivare più ma ad un certo punto mi appare un’altra visione surreale: un luogo di pace e di ristoro in mezzo al nulla : non c’è nessuno, ma il luogo è confortevole provvisto di dondoli, amache, bibite e frutta di ogni genere, c’è perfino la musica dei Pink Floyd: lì mi riposo un po’ in vista dell’ultimo sforzo, lascio un donativo e proseguo verso la mia ultima tappa.
Arrivo a Finisterre circondata da una calda luce, è un paese gioioso e vivace, le spiagge sono bellissime.
Dopo essermi un po’ riposata, esco per andare al Faro che dista dal paese tre chilometri e mezzo per concludere il mio percorso (a fine giornata avrò fatto più di quarantacinque chilometri). C’è un clima ideale per assistere al tramonto del sole nell’Oceano, la temperatura è mite, non c’è vento, ci sono molte persone che si apprestano ad assistere a questo spettacolo.
Compio l’antico rito di rigenerazione, bruciando un braccialetto di tela verde che portavo legato al polso da tempo.
Qui incontro nuovamente il Pellegrino Francesco con il quale trascorrerò anche il giorno successivo facendo delle bellissime passeggiate sulle spiagge nei pressi di Finisterre, dove troverò e raccoglierò le conchiglie, come facevano gli antichi pellegrini medievali.
Davanti al Sole che sprofonda nell’Oceano si conclude il mio Cammino, anche se so bene che il viaggio più difficile sarà quello che mi aspetta tornata a casa, nel vivere la quotidianità, nel relazionarmi con la famiglia, con gli amici, col lavoro nel tempo di sempre.
“La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo.” Fernando Pessoa
Lucia Guidorizzi- Ferrol – Santiago- Muxia -Finisterre (21 luglio 2018 – 3 agosto 2018)
Essere forestieri è la cittadinanza eletta dall’anima nei passi degli uomini e delle donne e dell’umanità tutta che dirige il proprio destino verso quel centro indispensabile di essenza divina che pochi , diligenti e disciplinati, riescono a sfiorare; a volte come luce a volte come visione a volte come fiato.
Grazie Lucia
grazie Francesca per quanto hai saputo leggere con sensibilità ed attenzione tra le righe di questo viaggio. Essere forestieri alla fine diventa una chiamata ineludibile, un invito ad osservare le cose che ci vengono incontro ed a lasciarle andare senza attaccamento, un esercizio difficile ma forse l’unica vera possibilità di sfuggire alle insidie di ogni giorno.
GRAZIE