alberta- distruzione della foresta boreale per estrarre petrolio dalle sabbie bituminose
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Apre così, con questo testo, la raccolta di poesie di Richard Harrison che titola Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione, libro curato da Andrea Donaera e tradotto da Riccardo Frolloni (direttore del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna).
Quel sul, che da qualche parte del mio cervello anomalo, credo, lavora per continue e stravaganti analogie, ramifica pensieri che interpreto per fantasmi di altri, intrufolandoci segni e sensi, le emo-azioni ineguagliabili, beh, quella me che scopro anch’io passo passo anche nei passi degli altri, mi ha messo su una pista inaspettata. Non una pista d’aereo che decolla!
No! Anzi! La cosa è lenta, intricata, aggrovigliata, proprio come i fanghi in cui spesso la memoria s’impatana, a volte sprofonda e scompare.
Mi richiamava alla mente il DE BELLO…Anche qui una guerra. Una guerra tra fantasmi ed eventi incontrollabili. La terra, la natura, gli eventi atmosferici, che costituiscono una tessitura continua, che ha branchie e rami nel cosmo tutto, ma anche la terra interiore, soggetta a frane, fessurazioni, smottamenti, terremoti dell’essere, noi sempre identici e allo stesso tempo differenti da noi stessi, aveva scatenato un caos e questo ne ha indotto un altro e poi un altro. Avviene nelle terre della memoria dell’autore,così lo vedo, che cerca disperatamente di ritrovare una via da percorrere quando tutto resta sommerso: dalla distruzione, dalla perdita inattesa, ma anche dalla trasformazione.
La guerra, non è solo quella che combattono i soldatini umani, la grande colossale, catastrofica guerra degli elementi che ti “piomba” addosso un corpo duro, pesante, avvelenato. E’ quella che ti afferra come un fuscello e ti trasporta così lontano, oltre il punto in cui credevi di aver puntato saldamente i piedi, di avere radicato il tuo futuro, mentre non puoi che arrenderti. In un istante ciò che è… fu. Sfumato. Svanito. Perduto. Inesorabilmente. Niente altro da aggiungere. Un pugnetto di cenere da spartire e. Fango, dentro, intorno silenzio. Si brancola in un buio di sabbie bituminose, incalpestabili, inagibili.
Accade anche nelle poesie di Harrison. Galleggiano, in quel fiume, memorie di oggetti strappati, trasportati altrove dai loro luoghi d’origine, dalla corrente. Si ammucchiano, correndo veloci, fino ai ponti dove qualcuno, lui in questo caso e noi, che lo osserviamo, guarda e misura la profondità di quei vortici, che sono memorie personali, del padre, di una malattia che si moltiplica, per virus di disagi, tutti e solo umani. La solitudine della morte brilla memoria, la fa esplodere per micce lontane, per tratti di ricordo che sembrano scollegati ma, niente, di fatto, lo è. Tutto quanto i testi convogliano nel fiume, tra il fango e un’acqua mnestica, ci ricordano alla fine che la politica, quella su cui ci spertichiamo tutti a sparlare, dovrebbe avere un solo scopo: aiutare a vivere non allagare di parole inutili o addirittura pericolose, fragorose, alluvionali la vita di tutti.
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alluvione 2013-calgari
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Potremmo chiamare il lavoro di Harris con il nome di geometria, geometria dell’assenza, o casa degli assenti, dove le continue citazioni ad un passato che è un piano scivoloso e ricorrente, fanno da soffitto e due righe di poesia, breve e concitata al tempo stesso, immersa nella fiumara di parole che bruciano, mostrano ciò che è perpendicolare: l’ignorare, che perdura ed è comune in ogni latitudine e geografia. Il complesso disegno, che vorrebbe pianificare una evoluzione e dispone regole su regole, leggi e idealismi, valori, costi, imperativi categorici, resta invece fisso, sotto lo stesso gruppo di stelle la cui luce ci vide nascere, in una somma di errori ed equivoci che ancora ci mantiene praticamente fermi, in un poligono di tiro, in cui gli elementi ci sbaragliano. E non bastano il gioco delle parole, né la lucidità del pensiero, tutto scivola in un solo modo-mondo che si spiega, piega i diversi tempi del globo restando lo stesso giorno, in una detrazione fredda di persone, di eventi che non possono essere calcoli o matematiche del profitto.
Titolavano così i giornali, anche quelli in rete di quel famoso anno di cui questo libro porta memoria:- Grande alluvione a Calgary, Canada, capitale delle sabbie bituminose! Una disastrosa alluvione ha colpito la capitale dell’Alberta, causando 75.000 sfollati. Un curioso contrappasso per uno stato che sta grandemente contribuendo ai cambiamenti climatici con l’inquinamento generato dalle sabbie bituminose–
– La massa d’acqua che si riversò con furia sconvolgente sulle terre del Polesine fu immane. Si calcola che la portata complessiva delle rotte sia stata dell’ordine dei 7.000 m³/s (6.000 m³/s secondo alcune stime, più di 9.500 m³/s secondo altre) a fronte di una portata massima complessiva del fiume stimata in quell’occasione in circa 12.800 m³/s. In pratica, circa 2/3 della portata fluente, anziché proseguire la sua corsa verso il mare entro gli argini del fiume, si riversò sulle campagne e sui paesi. Come peculiare effetto di ciò si produsse, immediatamente dopo le rotte, un repentino decremento del livello idrometrico del fiume, riscontrato nelle stazioni di misura a monte e a valle: tale fenomeno si definisce “effetto svuotamento”.
Ebbe quindi inizio una catastrofe di enormi proporzioni le cui ripercussioni si riflettono sino ai nostri giorni, segnando per sempre la storia del Polesine. Fu essa infatti, per estensione delle terre allagate e per volumi d’acqua esondati, la più grande alluvione a colpire l’Italia in epoca contemporanea.
Così scrissero allora e ritrovo le stesse parole ora, ora che penso a questa scena e la metto a fianco a quella di Calgari. Da una parte le casette di marzapane dei contadini e dall’altra i grandi palazzi multipiani, i centri direzionali, le grandi vie di scorrimento, contro le strade battute di campagna e gli argini dei fiumi. Il benessere e la miseria ma entrambi un alveare di insetti in allarme, gli uni e gli altri, minuscoli davanti alla furia del cielo e della terra.
L’alluvione, tra l’altro, è una buona metafora per aprire uno sguardo su un appiglio. E’ l’alluvione e la ricerca di qualcosa/qualcuno la fune a cui ci si aggrappa per ricostruire un percorso a ritroso, non certo perduto nell’evento, ma in sé stessi. Quell’urna cercata e data per dispersa, le ceneri che essa raccoglieva, altro non sono che l’urna di una relazione, la polverizzazione di una relazione, le cui ceneri sono state prodotte da un mancato rapporto, da un mancato dialogo nel tempo e l’alluvione, non quella delle acque, ma quella intima, reale, vera, rischia di essere proprio la perdita di una memoria non salda, capace di sfasciarsi come quel piano- forte di suoni e note conosciute, sinonimo di un piano-programma che si era previsto e poi non è stato seguito, dalla vita, dai fatti di cui la vita si compone, perché non abbiamo in mano nessun piano, nessun programma, solo dei tasti e degli arpeggi, che nella mente suonano in un modo e poi, per una qualsiasi disgrazia, diventano uno zoo di voci stridule, ossessive, lamentose, mostruose, incomprensibili, irriconoscibili, che si sfasciano mettendo a nudo le nostre perdite.
In comune, qui e là, anche una colpa riconosciuta, la stessa, anche se cambiano le dimensioni i danni danno gli stessi lutti: troppi boschi abbattuti!
La demenza che affiora, dalle acque di memoria del libro di Harrison, non è relativa al padre, alla fine del percorso che esso ha promosso, è lucidissimo quel padre, che inquadra scorci di prospettiva nitida nelle sue battute scarne, lucidissimo quando dice che ci pensa la vita, meglio di qualsiasi altra cosa, a prendere l’iniziativa, a metterci davanti ad un fatto, a costringerci a riflettere sulla nostra imbecillità nel vivere in questo pianeta rincorrendo cose che non ci salvano.
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-Il violento nubifragio nello stato dell’Alberta, Canada, per la prima volta nella sua storia, aveva sopreso i suoi abitanti per la rapidità con cui sono salite le acque. 75.000 persone sono state evacuate...La peggiore crisi nella storia dello Stato, nell’Alberta non abbiamo mai visto nulla di simile. Dovremo convivere con questo per sempre.-
Come si vede le conseguenze sono le medesime solo che in più, nell’Alberta, ciò che aggrava il disastro è la componente non certo eco-logica, ma frutto di una logica del profitto che gli affari avevano messo in primo piano, prima di ogni componente umana.
La violenza delle acque ha causato danni all’oleodotto che trasporta 345.000 barili al giorno di greggio sintetico prodotto a Fort Mc Murray dalle sabbie bituminose. Sono fuoriusciti nell’ambiente 750 barili di greggio, prima che l’oleodotto venisse chiuso, forzando una riduzione della produzione delle aziende impegnate in tale “sforzo”.
I cambiamenti climatici, aumentando il rischio di alluvioni, segnano una specie di “contrappasso” , come per quel piano-forte sfasciato, per chi deve purgarsi di una emissione di elementi inquinanti che ci rendono tutti più fragili. CO2, non è una navicella spaziale anche se si trasporta nell’aria dovunque, ed era ed è funzione principale degli alberi trasformarla in ossigeno e in lignina da ardere. Per una tonnellata di petrolio, non ancora bruciato, solo per lavorarlo si emettono 0,58 tonnellate di CO2.
Un bitume la vita, o meglio un pantano?
Hanno molti, moltissimi punti di contatto, le due alluvioni non colpiscono un territorio, che sa come sanarsi, dopo ripetute glaciazioni, desertificazioni, terremoti di incredibili dimensioni, dopo millenni di scorticazioni ed eruttive digestioni di rocce e oceani. Chi è scomparsa è ogni altra forma di vita e noi, come quei precedenti tiranni-sauri, abbiamo lo stesso destino.
I contatti tra le due storie si tracciano chiare relativamente all’alluvione delle persone, quelle che restano, a chiedersi come mai e dove e da quando e chi e cosa avviene, senza dare l’unica risposta da dare: l’avidità per qualcosa che non è la vita.
Ed è la vita, invece, che in quel disastro, cercando di recuperare le ceneri del padre, permette a Richard Harrison di recuperare tutto il pregresso, suo ma anche nostro, un mondo comune, un territorio non solo nazionale ma storicamente databile come nostra pre-istoria , uno studio istologico sulle cellule cancerogene e no che in noi si sono innestate in una sequela di perdite, di confuse tracce, di acque che, nei versi, si vedono spostarsi da una illusoria riva sinistra e avanzare verso destra. Una riga dopo l’altra, in una esondazione continuata.
Ognuno e tutti incatenati alla propria ora, in un cortocircuito verbale che sale, es-onda nel parco selvatico di una selva di persone, ombre, che non sente se non per colossali accidenti, spesso anch’essi ingigantiti dagli interventi mediatici ma che ci fanno chiedere: – noi, noi dove siamo in tutto questo disordine?–
Un magia cruda e crudele la vita, non ci permette di guardare troppo oltre e allo stesso tempo ci invoglia a spingerci così lontano perché questo è l’uomo: un sogno da cui nasce e si sviluppa il parco di un amore che speleologa sé stesso ma anche si supera, oltre i ghiacci di ogni logica. Tiranno non è il rex-destino, con le zampe superiori di un topo, ma noi, il nostro pensarci piccoli, ancora piccolini tra pause di gelo e una carne che brucia stelle, ancora come sempre immersi, in una notte che ci inghiotte.
Dice Harrison:- E, con la sua morte- riferita alla morte del padre di cui il libro parla- mi stava insegnando l’ultima cosa che dovevo sapere, che la poesia o l’arte era la nostra risposta alla morte.–
Nel libro, infatti, l’autore riflette sì sulla morte del padre, sull’alluvione dell’Alberta ma anche su ciò che la poesia presenta, come una vita vissuta intorno ad essa, l’alluvione personale a cui tutti andiamo incontro, attimo dopo attimo e r(iv)elazione dopo r(iv)elazione.
Sono convinta che se un libro è generoso non lo è solo per ciò che di suo ti porta lo scrittore, ma per tutto quanto apre e ti mostra dentro di te, alluvionando le tue terre di memoria e traghettandoti in luoghi che altrimenti non avresti percorso, se non a casaccio, tracciando qui e là segni di grafite che disegnano ponti, archi di volta e ti sostengono in tutto il tragitto per raggiungerti, nelle profondità più fertili di te stesso. Il mondo, penso, è quel posto in cui i personaggi di un romanzo possono sfuggire a tutto/tranne che alla loro storia.
Penso anche, a conclusione del percorso, che quelle ceneri del padre, che si sarebbero potute perdere nell’alluvione, indichino anche una lettura diversa e cioè la possibilità che il pianeta, il padre, e quel che resta dopo escavazioni, triturazioni, prelievi, frane,…siano quelle ceneri (noi stessi, carne della sua carne) che in una alluvione prossima, come uno zoo in panico, noi tutti, potremmo perdere.
Fernanda Ferraresso
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alluvione 1951- abbandono delle case
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.calgari alluvione 2013 e polesine 1951
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Richard Harrison, poeta canadese, è nato a Toronto nel ‘57 , si trasferisce a Calgary nel ’95. Si è laureato presso la Trent University (in biologia e filosofia) e la Concordia University (in scrittura creativa). Ha insegnato alla Trent University, l’Università di Calgary e ora alla Mount Royal University, dopo essere stato Writer-in-Residence all’Università di Calgary nel 1995. Il suo libro più recente, On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood, ha vinto il Governor General’s Award per la poesia in lingua inglese, il Stephan G. Stephansson Alberta Poetry Prize ed è stato finalista del W.O. Mitchell Book Prize per la Città di Calgary. Degli otto libri scritti da Richard Harrison, da ricordare anche il finalista del Governor General’s Award Big Breath of Wish e Hero of the Play, il primo libro di poesie ad essere presentato all’Hockey Hall of Fame. I suoi lavori sono stati pubblicati, trasmessi e visualizzati in tutto il mondo, e le sue poesie sono state tradotte in francese, spagnolo, portoghese e arabo. On Not Loosing My Father’s Ashes in the Flood, è il suo primo testo tradotto e pubblicato in Italia.
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Richard Harrison, Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione- ‘roundmidnight edizioni 2018
Traduzione di Riccardo Frolloni
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RIFERIMENTI IN RETE
https://www.rivistaclandestino.com/richard-harrison-on-not-losing-my-fathers-ashes-in-the-flood/
https://www.roundmidnightedizioni.it/book/sul-non-perdere-le-ceneri-di-mio-padre-nellalluvione/