TRA LA PAROLA POETICA E LA MUSICA- Sergio Pasquandrea: Chico e la canzone dell’esilio

sabià

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Il sabià è un uccellino, simile a un tordo, che vive in Brasile ed è famoso per il suo canto.
Sabià è anche una meravigliosa canzone brasiliana, con testo di Chico Buarque e musica di Tom Jobim: e già questo dovrebbe bastare a farla ricadere nella categoria “poesia”. Ma in realtà la storia della canzone è più complessa, e oggi vorrei raccontarvela.

Sabià fu presentata nel 1968 al terzo Festival della canzone brasiliana. Era un anno cruciale – e tristissimo – per il Brasile: mentre in Europa e negli Stati Uniti spiravano venti di libertà, il paese si ritrovava sempre più schiacchiato nella morsa di una feroce dittatura militare, instaurata quattro anni prima e destinata a durare fino al 1985. Quell’anno, era in lizza anche una canzone intitolata ‎‎Pra não dizer que não falei das flores (“per non dire che non ho parlato di fiori”), nella quale l’autore, Geraldo Vandré, criticava esplicitamente il regime. Inutile dire che venne esclusa.
Vinse invece Sabià, che presenta un testo apparentemente disimpegnato: un uomo che sogna di tornare a casa, ritrovare i luoghi dell’infanzia e un amore perduto. Tutto qui? Una pura fantasticheria di romaticismo e saudade? Forse no.

Innanzi tutto: Sabià ha un forte elemento intertestuale, che a un brasiliano salta subito all’occhio. Le parole citano una delle più celebri poesie della letteratura del Brasile, la Canção do exilio, composta nel 1843 dal poeta romantico Antônio Gonçalves Dias (1823-1864), il quale vi descrisse un paese idillico, idealizzato, fatto di fiori lussureggianti e boschi di palme.
Questo è il testo, che porta in esergo i celebri versi di Goethe dedicati alla Sicilia (“conosci la terra dove fioriscono i limoni…”):

Canzone dell’esilio

Kennst du das Land, wo die Citronen blühen,
Im dunkeln die Gold-Orangen glühen,
Kennst du es wohl? – Dahin, dahin!
Möchte ich… ziehn.
(Goethe)

La mia terra ha palmeti
dove canta il Sabiá;
gli uccelli, che qui gorgheggiano,
non gorgheggiano come là.

Il nostro cielo ha più stelle,
i nostri verzieri hanno più fiori,
i nostri boschi hanno più vita,
la nostra vita più amori.

Nella notte, solo e assorto,
il mio piacere cerco di là;
la mia terra ha palmeti
dove canta il Sabiá.

La mia terra ha splendori,
che non trovo uguali qua;
nella notte, solo e assorto,
il mio piacere cerco di là;
la mia terra ha palmeti
dove canta il Sabiá.

Non permetta Dio che io muoia
senza prima tornare là
e godere gli splendori
che non trovo di qua,
senza rivedere il palmeto
dove canta il Sabiá.

(Antônio Gonçalves Dias)

La poesia divenne talmente famosa da essere soggetta a innumerevoli rifacimenti e parodie (ad esempio, da parte di Murilo Mendes, Carlos Drummond de Andrade e Oswald de Andrade).

Chico Buarque, abbiamo detto, cantava la canzone nel 1968. Un anno dopo, la censura sempre più opprimente del regime lo costrinse ad autoesiliarsi in Italia per un anno, rendendo così reale il rimpianto descritto nel testo. Tornò in Brasile nel 1970 e continuò, a suo modo, a fare opposizione, con canzoni come Construção (di cui ho già parlato in questa rubrica: https://cartesensibili.wordpress.com/2017/04/28/costruire-decostruire-sergio-pasquandrea-una-canzone-di-chico-buarque) e Cálice (di cui forse vi parlerò in una delle prossime puntate).
Ecco qui il testo e, di seguito, la versione cantata di Chico.
Buon ascolto.

 

Sergio Pasquandrea

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sabià

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Sabiá

Tornerò
So che ancora tornerò
Nel mio posto
È stato là e ancora sarà là
Che ascolterò
Cantare una sabiá* …

Tornerò
So che ancora tornerò
Voglio sdraiarmi all’ombra
Di un palmeto che non c’è più
Cogliere il fiore che non fiorisce più
Voglio che un amore
Forse possa spaventare
Le notti che non volevo
E annunciare il giorno…

Tornerò
So che ancora voglio tornare
Non sarà invano
Che ho fatto tanti progetti
Per ingannarmi
Che ho fatto inganni
Per incontrarmi
Che ho fatto strade
Per perdermi
Ho fatto tutto e niente
Per dimenticarti.

Tornerò
So che ancora tornerò
Ed è per restare
So che l’amore esiste
Non sono più triste
E la nuova vita sta per cominciare
E la solitudine finirà.

(Testo di Chico Buarque, musica di Antônio Carlos Jobim, 1968)

* Sabià di solito è maschile: pare fosse stato Jobim a insistere per il femminile, sostenendo che fosse una forma più vicina al parlato popolare.

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