ISOLINA- Elianda Cazzorla: La battaglia di Qadesh. 6° episodio

elianda cazzorla-  notturni nei prati di puglia, 2016

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Si manifesta in tutte le orecchie. Inesorabile, insistente e invisibile. L’onnipotente divinità martellante che fa drin-drin. E ripete pochi attimi dopo: drin-drin. In ogni anfratto dell’edificio. Sono le 9,05, squilla la seconda ora nelle milleseicento orecchie che mettono in moto ottocento corpi, se si escludono gli assenti, e i padiglioni in autismo sonoro, da un piano all’altro, da un bagno a un’aula, dalla palestra al corridoio, dalla porta d’ingresso a quella della segreteria, dal bar alla presidenza, il numero si riduce di poco. Tutti sanno che è lei che comanda, nel bene e nel male, nel com’è già finita? O nel finalmente non ne potevo più! È lei la Domina, la venerata Campanella. Isolina che conosce il Tempo e sa come le corre dietro, le strattona la gonna, chiede clemente:

– Cinque minuti per finire di dettare i compiti. Cinque per favore. Fare gli esercizi a pagina duecento ventinove: il numero tre, quattro e cinque. Per dopodomani.

Isolina esce dall’aula otto bis, con i suoi alunni. Insieme salgono i gradini, aprono la porta di ferro azzurra e lì sulla soglia, del secondo piano, le loro strade si separano. Gli studenti della seconda A, come se fosse un unico corpo parlottante, girano a sinistra, la Prof., a destra. Passo silenzioso. Primo. Secondo. D’un tratto Isolina non ode null’altro, nessun chiacchiericcio, nessuna risata cristallina, di quelle che ogni tanto scappano dalle bocche adolescenti, solo una linea melodica che le è famigliare. E mentre passa davanti all’aula, con le porte aperte, sente la Fermezza modularsi in parole leggere:

– Via le matite. Schenel! Schenel! È suonata già da cinque minuti.

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elianda cazzorla- notturni nei prati di puglia, 2016

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E Isolina sorride. Quella voce è una fiammella che le accende il cuore. Verdolina, come in montagna. Davanti al camino non erano soli, lei e Rodolfo, alle spalle una trentina di giovani creature, in settimana bianca. Tutti desiderosi di fare le ore piccole e ballerine. La quinta Effe, nel rifugio del Civetta e il vetro che si appannava e i loro occhi, i suoi e quelli di Rodolfo, che s’incontrarono davanti a quella stramberia. La fiammella verde nel rosso fuoco. Mai vista! E nella sua camera, dopo la ronda per cercare d’individuare chi si fosse infilato nel letto di altrui proprietà e intervenire di conseguenza – si conoscono, dai tempi dei tempi, gli usi e i costumi delle giovani dame e dei cavalieri, in uscita didattica, si sa che preferiscono spazi piccoli e angusti, per le loro avventure -, dopo quel giro da cane lupo, abbaiando alle stranezze, Isolina, al piano secondo del letto a castello, sente uno strano brivido. Giunto non si sa da dove, aveva attraversato il piumino d’oca, il pigiama felpato, con i gattini sbadiglianti, e la canottiera, le era arrivato dritto al cuore. E la sua testa ricciolina aveva incominciato ad andare da destra a sinistra e da sinistra a destra, sul cuscino gonfio di lana. Ripetendo: No. No. Non può essere amore, lui il prof. bello e tenebroso, con gli occhi verdi e ciocche bionde che gli cadono dritte sulla fronte, di origine tedesca, è sposato, con due bambini. Non è guardabile. Però d’allora, era passato solo un anno, lui non la evita. Anzi. Digita e gesticola. Lei legge e risponde. Sempre sul crinale, del si può o non si deve? Ora Isolina è presa da un desiderio leggero, con gli occhi di un bimbo neonato, pieni di vivace sorpresa. Vorrebbe sapere se c’è qualche messaggio. In quel trambusto mattutino, tra la decisione da prendere e l’autombulanza che non arrivava, non poteva certo guardare il monitor del cellulare. Il senso del dovere l’ha fermata. E adesso? Non si può. Controllerà durante la ricreazione. Quello è tempo franco. Ora c’è l’aula sedici che l’aspetta. La più triste di tutte, dove il terzo occhio non è stato ancora installato, nonostante siano anni che Isolina l’abbia richiesto. Come si fa senza il terzo occhio? A volte rimpiange le aule della sua prima giovinezza, quando implume aveva iniziato a insegnare a Forno di Zoldo, in alta montagna. Freddo e che freddo! Prima di entrare in classe, tutti dovevano togliersi le scarpe, bagnate di neve, e infilare le pantofole. E in silenzio con i passi felpati si entrava in classe. Aleggiava il rispetto davanti alla lavagna d’ardesia. A volte si prenotava la lavagna luminosa, una per tutto l’istituto, e la si trasportava di aula in aula, su un carrello. Una lezione speciale, quella con i lucidi e i pennarelli colorati, per segnare i suoni ripetuti nelle poesie o evidenziare i soggetti nelle frasi o i verbi servili. L’era della lampadina costosa. Se si fosse fulminata sarebbe stata sostituita nell’anno successivo. E ora nella sedici non c’è nemmeno quella. Isolina ogni anno va dalla segretaria, chiede il proiettore per quell’aula, la segretaria prende nota, e ogni anno non c’è. In pianura è tutto diverso, pare che l’ascolto sia più difficile e in montagna, del resto, non c’erano attacchi di panico. Boh! Forse negli anni novanta, tutto avveniva nel chiuso delle mura domestiche o forse non erano stati ancora identificati quei blocchi improvvisi di giovanili membra.

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elianda cazzorla-  notturni nei prati di puglia, 2016

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Cammina Isolina nei suoi pensieri. Raggiunge la sedici. Prima di entrare si gira e lo vede. Lui sulla soglia della sua aula, le fa un cenno con la mano, per dirle: prendi il cellulare e leggi e lei sente il battito che accelera. Lui rifà in gesto. Lei scuote la testa. È un non posso, mi dispiace e gira l’indice di una mano che sussurra: dopo. Quale esempio darebbe ai suoi studenti che sono sparpagliati per il corridoio e vanno richiamati all’ordine?

– Forza. Forza. In classe. S’incomincia la seconda ora.-

– Abbiamo grammatica, vero prof. Interroga? –

– Oggi correggiamo i compiti in classe di lunedì scorso.

– Di quindici giorni fa. Prof.-

– Sono passati così tanti giorni? Marcus, sei sicuro?-

– Certo prof. Mia madre mi tormenta. E quanto hai preso nell’ultimo compito? Quanto? Dimmi: è un brutto voto e non te l’ha neppure messo. Non capisce che lei, prof., non li ha ancora corretti.

– Allora, oggi vedremo! Sei pronto per ascoltare e capire i tuoi errori attraverso quelli degli altri?

Tira fuori dalla sua cartella il pacco dei fogli protocollo e sa che ci sono gli occhi sospesi delle sue alunne e dei suoi alunni. Dice a Marcus di distribuirli, e lui scatta come il soldatino di piombo, sull’attenti. Ha tutte e due le gambe.

Giulio allunga il collo per leggere il nome del fortunato che ha preso sei segnato sull’ultimo foglio del pacco. Sono passati pochi mesi per inquadrare quella prof. che si arrabbia se non si studia, ma non si lascia scappare una risata per le battute di Marcus, che gira tra i banchi, il multiforme, che da grande vuol fare il comico, in yuotube, alternando la lingua di quattro personaggi: il francese, del puzza sotto al naso, l’inglese del saputello, il dialetto del contadino di… Un miscuglio impastato con la lingua italiana. La prof. Isolina urla con Marcus che non ha mai gli esercizi svolti, ma non è indifferente, come la Schettino di matematica che mette tre senza muovere mascella. Dopo il votaccio Marcus, non si agita più sulla sedia, è triste, anche se il suo viso scuro non dà segni di rossore. Così pensa Giulio. Lo studente più acuto della classe, quello che non parla tanto, ma ha dentro la testa un elenco di giudizi per ogni prof. e compagni di classe. Un formulario, utile a inquadrare i comportamenti, per agire di conseguenza. La demente. La veloce. Lo strano. La vecchia pantofola. Il porco. Il chiacchierone. Ogni tanto, però, gli scappano gli epiteti. I denti non possono essere sempre sbarre d’avorio ai suoi pensieri.

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elianda cazzorla- luce e ombra a kerso, 2016

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Isolina guarda Giulio. È il suo riferimento in quella classe. Lui segue ogni sua parola e fa sì con il capo. Non è un segno di servitù plebea. Al contrario è la gioia nel brillio della comprensione, come ieri quando ha spiegato la battaglia di Qadesh. Strana battaglia che non ha portato a nessun avanzamento degli egizi su terreno ittita, eppure Ramses II l’ha raccontata sulle pareti del grande tempio di Karnak, come la più grande conquista di tutti i tempi. Di fatto mai avvenuta. Quante ce ne sono ogni giorno: credi di aver preso un pezzettino di territorio e invece hai perso un’infinità di energie e, di fatto, non è cambiato nulla. E mentre Isolina sente ancora il clangore delle lance, delle spade spezzate, le urla di dolore, Marcus ha finito di distribuire le prove.

Giovanni prende il suo foglio, guarda il voto e lo sbatte sul banco. Isolina lascia perdere, continua a pensare alla battaglia di Qadesh, e ascolta la voce saggia che le dice: Non è il caso di puntualizzare ora circa i comportamenti corretti da tenere in classe. Consolati, dopo potrai leggere il suo messaggio. In bagno. Perché no? Dove nessuno ti vede e intanto scorge Elvira nell’euforia del sette. Saltelli leggeri sul posto.

E Marta ha già un broncio e prende i due compiti e li confronta. Inizia a contare i segni rossi. Li scrive su un foglietto. Poi i segni sul suo compito. Uno, due, tre. Si alza ed è davanti alla cattedra.

Isolina sa che sta per iniziare la scaramuccia del perché io e perché lei. Isolina conosce la strategia da adottare. Mai mettersi sullo stesso piano. Mai. Dolcezza e Fermezza sono le armi utili.

– Dimmi Marta che c’è?

– Prof. ma lei è proprio convinta di…

Si blocca l’alunna forse un briciolo di rispetto ancora la trattiene.

– Di…?- Chiede Isolina

– Di non aver sbagliato. – Afferma decisa tutto d’un fiato.

I sacri testi dicono che un buon maestro è colui che riconosce il proprio errore, e nell’accettare le critiche, abitua i discepoli ad una maggiore comprensione di se stessi e degli altri. Quante volte l’ha sottolineato, studiando per l’abilitazione, nei suoi libri di didattica? E ora si pone la questione. E con filosofica apprensione risponde:

– Siamo essere viventi, apparteniamo all’umanità. Siamo imperfetti e possiamo sbagliare. Pensare di aver vinto, e non aver vinto nulla.

Come gestire quel piglio e quel cipiglio di bimba contrariata? Il baratto del voto non è ammesso e poi potrebbero pretenderlo tutti ed è anarchia. Che fare?

– Qual è il problema?

– Io ho preso sei ed Elvira sette. I segni rossi di Elvira sono in maggior numero dei miei.

In quell’attimo Isolina richiama a sé tutte le forze della natura che abbiano dentro quelle caratteristiche note ai più con il nome di Pazienza. Sacra Pazienza che sei nel fiore prima del suo sbocciare, nel chicchirichì del gallo al comparire dell’alba, nel miagolio del gatto davanti alla ciotola delle crocchette. Sacra Pazienza ti vengo a cercare in tre inspiri e espiri profondi. Così Isolina rasserenata risponde:

– Vedi Marta, non è solo questione di ortografia. Molto dipende dall’organizzazione del pensiero, da come hai disposto le frasi e costruito i capoversi.

La voce è calma. Tutta apparenza, naturalmente. Urlerebbe: ma come ti permetti di mettere in discussione la mia volontà. Pezzettino di donna. Non puoi contestare il voto. E attende.

Marta con la voce di bimba sconfitta, poco prima contrariata, chiede mogia:

– Davvero prof. è così poco articolato il mio pensiero?

Sente quelle parole, ed è come se vedesse quella domanda stampata nell’aria. Dondola il ponte tibetano, mobile di lettere una legata all’altra, dalla bocca della sua alunna al suo padiglione auricolare. Com’è possibile che Marta abbia colto al volo quello che io volevo dirle? Che abbia ragione la ragazzina? Questo indicano gli occhi di Isolina che riprende il compito, guarda i segni rossi e dice:

– Provo a rileggerlo. È stato l’ultimo compito. Ero molto stanca. Dopo settantadue. Vai a posto.

Passano dei minuti. Non tutti hanno la bocca chiusa. Anzi. Li richiama. Chiama Marta alla cattedra.

– Le tue parole, nella domanda che mi hai posto, mi hanno fatto saltare il moto regolare delle rotelle del cervello. Prima si sono bloccate e poi, tuf tuf, in corsa, a un ritmo accelerato. Sconosciuto. Le ho riprese e mi sono resa conto che per qualche secondo ero riuscita a pensare con la tua testa. Credo che tu abbia ragione, mezzo voto in più, te lo meriti.

Isolina chiede silenzio. Batte sulla cattedra.

– Adesso vi racconto la storia della principessa Tam, sorella minore della regina Mab, quella che si diverte a intrecciare e strecciare i capelli di notte, come alghe sottili e a mattino… Debora mi ascolti! Ti ritrovi tutta arruffata. Nei pensieri. Ti capita?

Elianda Cazzorla

 

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elianda cazzorla-  isolina,  prato di puglia 2016

 

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