T9. LE PAROLE INCOMPLETE- Paolo Gera

 

chiharu shiota- dialogues

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 T9 è il più noto software di “testo predittivo”. Ma sì: stai scrivendo una parola e il meccanismo del tuo telefonino la completa, utilizzando le possibilità oracolari di quel vocabolario incorporato. Utile per chi ha bisogno di una comunicazione veloce, maledetto da chi vuole usare le proprie capacità linguistiche senza nessuna imposizione da parte di controlli elettronici più o meno sofisticati. Non ci può essere nessuno a metterti le parole in bocca o sulle dita, senza limitare e bloccare le tue capacità comunicative ed espressive. Io voglio essere libero di scrivere, per rimanere nell’ambito di interessi di un blog letterario, “allitterazione” invece di “allora”, “endecasillabo” invece di “endovena”, “Majakovskij” invece di “mai”.

Scegliere T9 come titolo di questa nuova finestra è dunque un sostanzioso paradosso o una pura e semplice provocazione.  Questo nostro T9 infatti vuole essere uno spazio dove pascola la riflessione e le parole non possono essere impunemente completate perché rappresentano la piena adesione ad un punto di vista personale e creativo. Altra contrapposizione: in questo spazio circoleranno sempre come minimo tre persone e dunque le parole nasceranno sempre dall’ascolto attento del punto di vista dell’altro, non da un adeguamento statistico.

Spesso nelle riviste on line gli interventi sono recensioni, report di cose viste o lette, o  testi prodotti da un io monologante, che prevede i commenti altrui come accessori. In T9 invece è sempre previsto il grande escluso della comunicazione on line: il dialogo. Attenzione! Non sto parlando delle botte e risposte sminuzzate nelle chat di uso comune. Sto parlando di un vero dialogo, che abbia bisogno di silenzio per arrivare alla discussione, che abbia bisogno di lentezza per mettersi in cammino. Soprattutto, che abbia bisogno di intelligenza e che usi la connessione solo per connettersi alla sensibilità dell’interlocutore.

Dialogo? Veramente poco sopra si parlava di tre persone… Beh, diciamo che la terza persona è il provocatore ‘in absentia’. Così funziona T9. Si sceglie un testo o un’immagine che abbia fortemente colpito il primo interlocutore, che l’abbia, per così dire, formato. Il secondo interlocutore interviene ed esprime in maniera del tutto libera il suo giudizio sull’opera presentata, la sostiene, la critica, ne esamina i punti di forza e di debolezza. Il primo controbatte e così via: si entra nel circolo virtuoso del dialogo, sino alla fine della conversazione. In questo T9 sono le parole dell’altro a riempire di senso le mie e le mie a completare quelle dell’altro, in un modo mai definitivo e perentorio, ma costantemente aperto. Non so quale critico, forse Bachtin, abbia sostenuto che un testo letterario è tale in quanto si apre a una serie infinita di interpretazioni e proprio in questa sua incompletezza risiede la sua forza e la sua vitalità. Più un testo letterario è potente, maggiore risulta la produzione di discorsi critici intorno alla sua forma e al suo contenuto. Ma anche maggiori tensioni emotive, maggiori vibrazioni sentimentali.

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chiharu shiota- dialogues

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Il primo agente provocatore di T9 è un classico della poesia italiana. Ho pensato che la partenza di questa idea avesse bisogno di un vero e proprio incipit archetipico, di qualcosa che avesse veramente dato inizio con un segno forte alla comunicazione poetica moderna. Così Milena Nicolini, con la quale mi sono confrontato, mi ha suggerito di principiare con il sonetto proemiale del “Canzoniere” di Francesco Petrarca. Siamo partiti in due e questo è un ottimo segnale.

 

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

 

Ecco, il gioco è fatto. Chi vuole disputare con me sulla bellezza o sull’insulsaggine di questo sonetto, sulla sua importanza o sulla sua insignificanza, sulla sua influenza e dunque sulla sua attualità, oppure sulla sua obsolescenza? Fatevi avanti. Invito alla riflessione e alla conversazione i costruttori e i lettori di “Cartesensibili”, invito chi ha sulle spalle anni e molte letture, ma invito soprattutto i giovani, poeti e non. A questo punto l’esito è imprevedibile. La struttura e il tempo di “Cartesensibili” si proiettano ora su una dimensione privata, che solo sul prossimo numero diventerà pubblica. Può darsi che al mio invito risponda una sola persona, oppure due, tre, chissà. Con questi interlocutori ci scambieremo opinioni sul sonetto proemiale usando le mail e, come ho detto, il prossimo mese T9 presenterà il resoconto di questi scambi epistolari. Un’ipotesi non auspicabile sarebbe che nessuno fosse sollecitato a intervenire. In quel caso dialogherei con me stesso, manderei alla mia casella postale le considerazioni di un altro paolo gera, giocherei, come si dice, a scacchi da solo, muovendo una volta i bianchi e una volta i neri. L’ipotesi dell’assurdo comporterebbe invece che il sonetto facesse colpo, anzi un vero e proprio boato e il dialogo su questa poesia di Petrarca sarebbe destinato a non avere più esaurimento. Su “Cartesensibili” per anni e anni, con discussioni appassionate e interminabili, alla faccia del rapido consumo e del quasi immediato deperimento dei testi on line. Sarebbe proprio una bella fine o forse un nuovo inizio.

 

paolo.gera@tin.it

 

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