felice casorati
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Nata a Faenza nel 1899 ma vissuta fin dalla prima infanzia a Cesena, Ida Sangiorgi fu maestra e poi insegnante di decorazione e disegno presso la Scuola d’Arte di Faenza, fino alla morte avvenuta nel 1971.
Sangiorgi ha vissuto da protagonista la vita politica e culturale cesenate e faentina. Antifascista fin dal 1922, e prima donna eletta per il Partito Comunista nel Consiglio Comunale di Cesena nel secondo dopoguerra, accanto all’impegnò politico coltiva quello letterario, in cui spicca la produzione di alcuni romanzi tra cui il più noto, La Palmina, edito da Mondadori nella collana La Medusa degli Italiani, partecipò nel 1954 al Premio Grazia Deledda e nel 1955 al premio Viareggio. Due soldi fu completato nel 1943 e dato alle stampe da una piccola casa editrice, la “Mutilati” di Carpi. Alla scrittrice è stata dedicata una monografia, Ida Sangiorgi tra politica e letteratura, a cura di Francesca Casadei, con introduzione di Marino Biondi e ora la ristampa di questo romanzo, grazie alla cura di Loretta Scarazzati, con prefazione di Marinella Polidori.
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ida sangiorgi
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Come il successivo La Palmina, che racconta la storia di una famiglia di contadini romagnoli nello scorcio di tempo che va dalla fine dell’Ottocento alla prima guerra mondiale, Due soldi può essere definito il romanzo di formazione non delle “fanciulle” di civile condizione, ma delle “figlie del popolo”, seguendo una distinzione operata dall’attivista Anna Maria Mozzoni nel suo opuscolo Alle fanciulle e alle figlie del popolo, oa ristampato a cura di Fiorenza Taricone .
Nuccia è infatti la primogenita di una famiglia contadina che è costretta a declinare la propria vita, dopo la morte improvvisa del capofamiglia, a sostegno della famiglia d’origine. Per essere finanziariamente d’aiuto alla madre e a due fratelli più piccoli, Nuccia va a servizio presso una ricca famiglia borghese, dove rimane fino all’anzianità e alla sua stessa malattia, seguendone vicende e partecipandone alla vita privata.
La pista per capire il romanzo di Sangiorgi è forse nella tradizione del racconto femminile di paese centrato sul lavoro e sul destino delle donne e degli ultimi, quella tradizione che è inaugurata dai Racconti di Caterina Percoto, scritti intorno al 1858-1870 e dal celebre In risaia di Maria Antonietta Torriani, la Marchesa Colombi, scritto nel 1877, una delle prime testimonianze di denuncia sociale del lavoro femminile, che passa attraverso lo studio psicologico dei protagonisti e la dura realtà del lavoro in risaia nella pianura padana.
I Racconti della Percoto costituivano una tradizione trasmessa attraverso la scuola, in quanto ben conosciuti e antologizzati nelle antologie destinate alle scuole femminili. Ma anche il romanzo della Sangiorgi, pur scritto nel primo dopoguerra, può per alcuni versi essere letto anche come romanzo scolastico, perché conserva le caratteristiche del libro di lettura e di premio ottocentesco. La struttura del libro di lettura ottocentesco, destinato alle fanciulle, seguiva l’andamento stagionale dell’anno, tenendo una cornice come uno sfondo integratore (in queso caso le vicende di Nuccia) all’interno del quale si svolgono vari episodi, con inserti di racconti all’interno del testo principale, come in presenza di un filò (e vi troviamo i racconti sul diavolo e i quattro bevitori, la storia di Sabetta e di Zvanì senza paura, la storia di Vittoria viene in gloria….). Poi c’è l’uso di una lingua espressionista, ricca di vezzeggiativi, di nomi derivati e alterati, e attenta all’insegnamento dei proverbi popolari e della nomenclatura tecnica degli oggetti d’uso quotidiani (i libri di testo dovevano tradurre in italiano i termini dialettali), rimandano a un’intenzione pedagogica legata alla coscienza di una nuova lingua oltre il dialetto per i nuovi cittadini italiani. Emblema di questo tipi di libri è il libro Cuore, scandito per episodi di eroismo infantile, mentre in Sangiorgi l’attenzione è volta alla presa di coscienza di un soggetto femminile cui l’autrice aderisce con piena dignità umana e rispetto.
E’ cruciale perciò l’episodio in cui Nuccia, attenta a mettere insieme faticosamente il denaro per la famiglia, raccoglie da terra due soldi caduti e diventa vittima delle risate e del sarcasmo dei “benpensanti” che la definiscono per questo gesto una “serva”.
C’è dunque in questo romanzo una messa a nudo e una critica feroce al livore e alla decadenza di una classe sociale, quella dell’aristocrazia terriera sull’orlo della dissoluzione, e della protervia ed arroganza dei nuovi arricchiti (il fattore Poldo, che trama con tenacia per anni un matrimonio d’interesse tra il proprio figlio senza qualità e la nipote del padrone), mentre prende nuova coscienza e solidità una classe sociale portatrice di nuove idee progressiste (la famiglia del professore) che si mette a fianco degli ultimi e degli esclusi, siano essi braccianti, casanti e contadini affittuari.
Mentre dunque nel verismo ogni tentativo di salvezza è ancora destinato a cadere, qui pur nella cupezza dei destini individuali si avverte che comunque un nuovo ordine sta sopravanzando quello millenario feudale, e solo chi è disposto a morire, come fanno Nuccia o Mario, per difendere la solidità di valori morali (la solidarietà, la pazienza, la tenuta di affetti autentici) può avere un posto nel futuro assetto sociale.
Sul versante dei temi del libro, Sangiorgi non teme di affrontare diversi aspetti relativi alla condizione storica delle donne, tra cui quello dell’assedio sessuale cui erano esposte le donne contadine da parte di signori e fattori, poi il tema della differenza tra donne stesse, ad esempio tra la domestica Tuda che si identifica nella classe padronale introiettandone tutte le pratiche di dominio e di tenuta a distanza, e Nuccia che non se ne fa toccare; il tema dei pericoli cui si espone la giovane donna che lascia la famiglia per cercare lavoro, come erano costrette a fare anche le prime maestre, tema caro ad Annie Vivanti in Naja Tripudians e ricordato nel libro dalla citazione di un fatto di cronaca ben noto, cioè il suicidio della maestra Alba Donati. C’è poi presente il tema della cultura contadina cristiana coi suoi riti (il natale, il carnevale, la quaresima) e dei divertimenti concessi come la festa della trebbiatura con la bandiga, il ballo, il teatro degli Orfanelli ma soprattutto con la presenza di un soprannaturale, come scrive Polidori, una specie di realismo magico popolare che si intreccia a quello cristiano popolato di streghe, diavoli, ex voto, carte e cartomanti, gioco del lotto, spettri notturni.
Ironia paesana, riso, umorismo polare e superstizione fanno da contraltare all’altra presenza centrale del libro che è quella della morte: il libro si apre con il funerale di un bambino, ne accoglie altri nei vari capitoli e si chiude con il funerale del vecchio padrone Colombo. Così come viene ripetutamente toccato il tema dell’emigrazione, nella sua prima fase italiana, ed emigrare per Nuccia equivale a morire e chi emigra è come morto a chi resta. Il rapporto dei poveri con la morte, chiamata familiarmente la Giacomina, è quotidiano e si nutre di ironia. Non mancano personaggi quasi caricaturali, monomaniacali, come il signor Tommaso che si aggira sempre alla stessa ora con un catino da riempire, personaggi che ricordano il teatro popolare di De Filippo e di Pirandello.
La presenza di queste vite minuscole, sempre a rischio di perdersi ed essere perse, può essere paragonata alla presenza dei centesimini e confettini nelle pagnottine di Natale, destinate a far sorridere per un breve attimo le mani e i volti di chi li riceve, vite che grondano e sembrano cadere via come il fondo del cestino bucato, sfondo, che apre il libro e che insiste sul concetto fondante di perdita delle vite comuni non destinate a durare.
La presenza di denaro del titolo, Due soldi, attraversa queste esistenze prive del tutto o quasi di denaro e ricchezza, costrette a sopravvivere fra il lusso atavico dei signori e la miseria endemica delle campagne.
Tornano i soldini da niente nel gioco del lotto, così praticato nei ceti popolari e soprattutto fra le donne prima dell’avvento dei gratta e vinci. Vivi e morti vivono a contatto, e si scaldano al “tenero sole d’aprile” o tornano per tirare per i piedi padroni troppo tirchi e senza timore di Dio.
Si potrebbe tentare un accostamento con il romanzo di lotte sindacali di Renato Fucini e Gian Pietro Lucini, o i racconti di un’altra maestra e scrittrice, l’aquilana Laudomia Bonanni, mettendo a confronto testi e temi e linguaggi, ma in tutti e tre (Fucini, Bonanni e Sangiorgi) è presente questa denuncia sociale dell’infinita arretratezza delle campagne nelle condizioni in cui si trovavano prima che cominciasse, ed è toccata anche nel romanzo, la lunga e dolorosa fase delle lotte agrarie così dolorosamente represse nel sangue. Nuccia, così silenziosa e presente, così preziosa, pur non essendo né estroversa né un’attivista, come sarà invece la sua autrice, non appare una perdente, ma rappresenta una speranza di futuro che sa a lungo meditare la sua tenuta. Tutti in fondo appaiono innamorati di lei e la casa si svuoterà ben presto quando lei non avrà più motivo di restare.
Loredana Magazzeni
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Ida Sangiorgi, Due soldi- Carta Bianca Editore 2017
a cura di Loretta Scarazzati, prefazione di Marinella Polidori