heidi bucher, various works (1974-1978) – padiglione dionisiaco, biennale 2017
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I tempo
Guardo le opere dell’artista svizzera Heidi Bucher (1926-1993) esposte alle Corderie della Biennale 2017 e mi viene spontanea pensare: Che cosa strana, i vestiti! Ci stanno addosso, seconda pelle, traspirano con noi, assorbono il nostro sudore, si macchiano delle nostre secrezioni, ci accarezzano o stringono o imprigionano, condividono con noi momenti di festa o quotidiani, e poi, quando li abbandoniamo, restano lì, imbarazzanti testimoni di una storia che è andata oltre, letteralmente svuotati. Heidi Bucher, artista svizzera che ha esplorato nel suo lavoro il rapporto tra il corpo e gli spazi, prende grembiuli, mutande, sottovesti, collant, li immerge in una soluzione di gomma bianca naturale, e quando si sono seccati, li sovrappone seguendo la logica dell’inverso, per cui quello che è sotto finisce sopra, li spalma di vernice lucida e li spiaccica dietro a un vetro.
I vestiti perdono così la tridimensionalità del corpo e diventano sagome dure da ritagliare per una bambola di carta di dimensioni inaspettate. Eppure resta in quegli indumenti intimi qualcosa che ci turba e solletica: la memoria di un corpo che li ha indossati e quindi allargati, slabbrati, in una parola, deformati, e di cui quindi conservano tracce secrete (sic!).
heidi bucher, unterhose (1978) – padiglione dionisiaco, biennale 2017
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II tempo
Fa da contraltare alla ricerca di H. Bucher, la meditatio mortis (o potremmo forse dire: meditatio vestis?) di Emily Fragos, poetessa americana che insegna poesia alla New York e alla Columbia University, quando si rivolge ai vestiti di chi è scomparso, chiedendo ascolto. Quasi che il vecchio impermeabile, il cappotto invernale della persona amata, fossero medium, intermediari cioè tra la vita e la morte, in grado di riportare il defunto tra noi o almeno di mitigare il dolore del lutto.
Ma la psicofonia non accade, i vestiti restano muti, e anziché alleviarlo o allontanarlo, attizzano il dolore, testimoniando impassibili e ottusi l’assenza del corpo che li rendeva vivi.
LA TRISTEZZA DEI VESTITI, di Emily Fragos
Quando qualcuno muore, i vestiti sono così tristi. Sono sopravvissuti
alla loro utilità e nessuno più li scalda e li riempie.
Tu parli ai vestiti e gli dici che lui non tornerà più
come quando si mostrò impeccabile in pantaloni e giacca a quadri
e aveva quel bel sorriso e tu gli parlavi.
Poi andavi a prendere qualcosa e, al ritorno, lui se n’era andato.
Tu spieghi ai vestiti che la morte è come quel sogno.
Gli dici quanto ti manca la sposa,
e quanto ti manca il cucciolo con il suo piccolo cappotto invernale.
Spieghi al vecchio impermeabile che se gli parli di quello,
finalmente il dolore se ne andrà. Gli antichi incidevano le parole
per la battaglia e la vittoria sui loro scudi e allora andavano all’attacco
e combattevano fino all’ultimo respiro. Le parole hanno quel potere
che ti fa pensare ai vestiti che restano nel cassetto, braccia ostinatamente
serrate sul petto o allungate sullo schienale delle sedie,
o appese nell’armadio buio. Fai con noi quello che vuoi,
sospirano debolmente, appena chiudi le porte su di loro.
Se ne è andato e nessuno ci può dire dove.
THE SADNESS OF CLOTHES
When someone dies, the clothes are so sad. They have outlived
their usefulness and cannot get warm and full.
You talk to the clothes and explain that he is not coming back
as when he showed up immaculately dressed in slacks and plaid jacket
and had that beautiful smile on and you’d talk.
You’d go to get something and come back and he’d be gone.
You explain death to the clothes like that dream.
You tell them how much you miss the spouse
and how much you miss the pet with its little winter sweater.
You tell the worn raincoat that if you talk about it,
you will finally let grief out. The ancients etched the words
for battle and victory onto their shields and then they went out
and fought to the last breath. Words have that kind of power
you remind the clothes that remain in the drawer, arms stubbornly
folded across the chest, or slung across the backs of chairs,
or hanging inside the dark closet. Do with us what you will,
they faintly sigh, as you close the door on them.
He is gone and no one can tell us where. *
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III tempo
Dagli indumenti intimi di H. Bucher ai vestiti senza vita di E. Fragos, infine ai Vestiti per Morire di Margareta Kern, artista visiva e docente alla Falmouth University (UK), di origine bosniaca. Si tratta di una serie di foto che risalgono al 2008, in cui la Kern ha ritratto anziane donne accanto ai vestiti con i quali desideravano essere seppellite. Sono foto scattate all’interno di case contadine in Croazia e Bosnia-Erzegovina, dalle quali si coglie una serena dimestichezza con la morte, sorprendente per noi. Sono stanze spoglie, essenziali, che alle pareti bianche hanno appese immagini sacre. In una foto, Liza, l’anziana donna, di profilo, sembra raccolta in preghiera davanti a un catafalco, ingentilito da lenzuola bianche orlate di pizzo e ricamate con festoni di rose, su cui posano i suoi futuri vestiti da morta. Nell’altra, Mara, la donna è invece seduta frontalmente, in mezzo ai vestiti neri e al grembiule bianchissimo, traforato e ricamato, che indosserà quando sarà giunto il momento. Alle sue spalle un tappeto che illustra la scena leonardesca dell’Ultima Cena. Al posto del Cristo il volto della vecchia nel suo foulard nero chiuso sotto al mento.
Queste immagini piene di compostezza coniugano la domesticità degli ambienti con un senso ancestrale e profondo del sacro da cui gli abiti stessi vengono investiti e ricevono senso. Non più estranei, quindi. Ma semplice presenza quotidiana.
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Liza (Donja Vrba, Croazia) serie Vestiti per Morire
Mara (Orubica, Croazia), serie Vestiti per Morire
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* Copyright © 2015 by Emily Fragos. Originally published in Poem-a-Day on July 21, 2015, by the Academy of American Poets
Emily Fragos ha pubblicato due raccolte di poesia Little Savage (Grove/Atlantic, 2004) and Hostage: New & Selected Poems (Sheep Meadow Press, 2011) e curato molte antologie per la Everyman’s Pocket Library/Knopf, tra le quali Art and artists, una collezione di poesie sull’arte visive e sugli artisti. Ha inoltre curato la raccolta di lettere di Emily Dickinson. Ha ottenuto premi prestigiosi come il Guggenheim Fellowship in Poetry nel 2014.
Nel sito in calce si possono vedere altre foto della serie Vestiti per morire, ospitata nel 2008 in una galleria di Saint Albans, vicino a Londra
http://www.axisweb.org/p/margaretakern/
Adriana Ferrarini
Che belle queste combinazioni che crei nel modo di vivere il vestito che diventa: opera artistica parole e immagini. So che vuol dire parlare a una giacca di chi non la riempie piú.
Grazie.