nicola samorì
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«Non posso ammazzarmi tagliandomi/ la lingua» si leggono questi versi a pagina 34 di Capelli struggenti, raccolta poetica scritta da Franz Krauspenhaar e uscita nel 2016 per Marco Saya Edizioni. Il lavoro è suddiviso in cinque sezioni che man mano assumono la forma di una prosa poetica. Non tace il poeta pur nel suo esilio. Dice come è capace, con schiettezza e senza disertare la parola tagliente che è caratteristica inconfutabile di tutti i suoi lavori. «Risposi che avevo tentato di non vedere/ più il mondo, che mi rendeva infelice;/ ma quello era tornato, come un boomerang./»: ci svela il mondo Franz, senza trucchi, senza falsificazioni. Non scrive per disprezzo ma per verità, anche se amara, «perché il nome è tutto quello che/ abbiamo». E chi più è lucido e onesto nei confronti della vita più conosce l’amore, un sentimento attivo che si staglia sulla solitudine, basso continuo della raccolta, con risonanze che arrivano da Grandi Momenti (Neo edizioni), uno dei più recenti romanzi dell’autore.
Breve intervista
La tua ultima raccolta poetica Capelli struggenti (Marco Saya Edizioni) quanto e in che modo è legata al tuo ultimo romanzo?
È legata da un certo conto con la decadenza e la malattia. La declinazione è diversa. Nelle poesie c’è poco spazio per l’ironia. Nel romanzo spesso si ride.
«Perché il nome è tutto quello che abbiamo», e la Parola?
Perché ci identifica nel mondo. La Parola ci distingue.
«Non posso ammazzarmi tagliandomi la lingua»: è determinante la verità rispetto a se stessi e alla propria scrittura?
Certo senza verità non ci sarebbe letteratura, invenzione, menzogna. Tutto poggia sulla verità.
Un «appuntamento al buio con»?
Philip Roth
Agassi o Federer?
Federer è il più grande di tutti i tempi.
Una poesia e una canzone, un poeta e uno strumento.
Posso dirti lo strumento, il piano. Il resto è un groviglio, non so cosa scegliere, è come se tutto suonasse insieme, amo tantissime cose e non so isolare niente.
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Alessia Bronico
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nicola samorì
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Da Capelli struggenti di Franz Krauspenhaar
Dispera
L’amore è una cosa che mi dispera,
non lo spero da anni, ma lo stesso
a pensarci mi ferisco nel petto
come una donnetta scema. Allora,
a notte fonda preparo poche righe
nelle quali immagino un lui che
fa l’amore con lei, e lei ha i polsi
tagliati da poco, dai quali sgorga sangue
a rivoli compatti. Quel lui sarei io, e la lei
una donna mai esistita, la personificazione
della disperazione, della mia solitudine,
la carne brillante dello scempio.
Ciò che si ama senza sapere
A volte divento così romantico e appassionato
col nessuno che ameremmo
che per resistere alla voraginosa assenza di lei
mi addormento, di colpo, quasi svenendo,
perché ciò che si ama senza sapere che esiste
è un coltello nel letto.
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nicola samorì
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La solitudine
In vent’anni non ho conosciuto nessuno
ho incontrato migliaia di persone
senza conoscere anima viva
non sono solo, siamo in tanti
ad essere soli. Siamo senza memoria,
entro in una stanza e non riconosco
nessuno, intanto chi dice di amarmi
mi mette una mano sulla testa, e ausculta
i miei pensieri, poi dice che la torta è pronta,
ha un rumore di autostrada nella notte
mentre una radio ronza e cerca di sedurre
una mosca, che non abbocca
all’amo di marzapane. L’amore non esiste
anche se è sostantivo, amare invece si può,
è verbo, si spiega come un ventaglio,
è sostanza di ogni gusto possibile, è un fare
nel giorno, e nella notte.
Se
Se mi regali la tua disperazione, come un sangue
gocciolante, come una fenditura alla parete
che non può parlare. Se mi dai il tuo sogno
di stanotte, io che dormivo accanto a te vestita,
soltanto le mutandine calate, che sembravi
la diciottenne che sei stata. Se mi doni la bocca
dentro i miei denti di animale, che ha paura
del fieno e dei fucili degli uomini cattivi. Se mi dai
un amore braccato, mai ancora preso nel laccio,
io sono una bestia felice, ansimante, ferita.
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nicola samorì
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Siamo tutti invecchiati
Siamo tutti invecchiati
non è stato difficile, il tempo
ruba e scava dove trova, anzi trova
sempre terra e detriti.
Beviamo vino da tazze sbreccate
mentre due polli arrosto incutono paura
alla tavola.
Presto se dio vuole saremo morti.
Prima dovremo sottostare alla legge
mortale della sopravvivenza,
voluta da chi dice di amarti.
Figli spariti da decenni, amici ricomparsi
gente saggia e mai completamente ubriaca.
Hai voglia amico a urlare basta!, dopo
la giusta sigaretta e una mangiata coi pochi
denti che restano. Un rutto, un micidiale
pensiero a tutta la tua vita, liquida come
il sudore di un’ascella. Il bene che s’è fatto,
il male che s’è dovuto fare.
Sei assolto e nello stato di buon diavolo.
Puoi morire, ma nella sofferenza che lacrima
tutto il tuo corpo finito, nessuno che stacchi
la spina. Nessuno che abbia lo stomaco
di una vera pietà. Vorrei suicidarmi
ma sarebbe la fine di tutti i loro valori.
Non posso ammazzarmi tagliandomi
la lingua.
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Franz Krauspenhaar (Milano, 1960) ha pubblicato finora 9 romanzi, 1 saggio narrativo e cinque libri di poesie, tra cui questo. Tra i romanzi ricordiamo Le cose come stanno (Baldini & Castoldi, 2003) , Era mio padre (Fazi, 2008 Premio Speciale Palmi per la Narrativa 2008), L’inquieto vivere segreto (Transeuropa, 2010), Le monetine del Raphael (Gaffi, 2012), Grandi Momenti (Neo, 2016). Ha pubblicato poi nel 2013 gli ebook Il subentrato e La bella moglie, due brevi romanzi noir per Lite Editions. In poesia ricordiamo Franzwolf (Torino Poesia – Marco Valerio Editore 2009), Effekappa (Zona, 2011), Biscotti Selvaggi (Marco Saya Edizioni, 2012) e Le belle stagioni (Marco Saya Edizioni, 2014). Ha fatto parte per quattro anni della redazione del blog Nazione Indiana, e ha cofondato i blog La poesia e lo spirito e la webzine Tornogiovedì. Scrive di letteratura, arti e costume per varie testate.
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Franz Krauspenhaar, Capelli struggenti – Marco Saya Edizioni 2016