TRASMISSIONI DAL FARO N.83- Anna Maria Farabbi: Louise Michel

 

louise michel

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Propongo una donna straordinaria, Louise Michel (1830 Haute Marne – Marsiglia 1905)  che ha spaccato la storia, testimoniando interità tra pensiero e azione, coerenza, tenacia, onestà di una scrittura che si apre a più registri letterari, affiancandosi sempre al proprio fare rivoluzionario in ogni angolo della società, persino nelle terre della sua deportazione, in Nuova Caledonia, tra la popolazione antropofoga dei Canachi.
L’opera antologica, a cui ho lavorato circa due anni, spiga in un titolo fosforescente, tratto proprio dalle parole di Louise Michel:

è che il potere è maledetto e per questo
io sono anarchica

edito da Il Ponte Editore nel gennaio del 2017.

Pressoché sconosciuta in Italia, se non nella cultura anarchica, la sua prorompente energia riapre molti significati sul modo di far politica oggi,  praticando dialogo e confronto con il potere e con la gente di ogni livello culturale. Offro la mia introduzione all’opera. Una delle opere che vive nel mio corpo, dentro cui
studio interiormente, è Un mondo scomparso di Roman Vishniac: pagine di scrittura della luce, fotografie scattate dal 1934 al 1939 nell’Europa orientale, ritraggono le condizioni già estreme del popolo ebraico. Vishniac portò con sé, negli Stati Uniti, molti negativi cucendoli nel suo abito, rischiando la propria vita per le perquisizioni della Gestapo. Solo pochissime fotografie delle 16.000 scattate vennero salvate. La sua ossessione fu quella di combattere la cancellazione e farsi portatore affinché significati ed esistenze potessero continuare a vivere e a diffondersi.
Tra le sue fotografie, una folgora: 
la scattò a Lublino nel 1937, intitolandola Il portatore d’acqua. Lui stesso ne scrisse la nota: «il portatore d’acqua aveva un bel daffare a non rovesciare il suo carico. Un miglio sui ciottoli del selciato e poi salire fino al terzo piano. La sua paga consisteva nella moneta di rame più piccola. Non so come facesse. Ho tentato di imitarlo, ma ho rovesciato un terzo dell’acqua, e la donna rifiutò di pagarmi».

Nel corso della mia ricerca artistica, ho lavorato in permanenza nelle profondità e nelle estensioni della lingua italiana. Contemporaneamente, nelle profondità esistenziali e nelle possibili estensioni (la ripetizione è voluta) di una tensione testimoniale in cui la creazione poetica transita dal foglio al corpo, e viceversa, in una continuità politica, in una limpida interità etica.
Con Vishniac condivido questi significati: la preziosità del fare, del creare, con onestà, rigore, passione, e il viaggio intenso del portare l’opera degli altri, nel nitore lucido di scelte su cui investire il proprio impegno artisticoe politico, due cellule verbali ormai fuse in me.
Per me, la traduzione e la cura delle opere altrui hanno avuto sempre queste forti connotazioni, assieme alla consapevolezza di rovesciare, malgrado la mia responsabile concentrazione, un terzo dell’acqua.
Da questo scorcio della mia officina, spalanco immediatamente l’occhio di chi legge sul volto di Louise Michel. La fotografia del 1871, lo rivela: pulito, diretto, acuto, singolare, mirato. Ho scelto lei perché la sua vita e la sua penna hanno vissuto in uno stesso corpo, con potenza laica, anticlericale, dirompente, carismatica.
Perché la sua determinazione rivoluzionaria rovescia ogni potere occlusivo ed esclusivo e sancisce il diritto per ogni individuo a vivere in crescita intellettuale e in dignità economica. Perché squarcia la prevaricazione maschilista che inebetisce la donna, o la prostituisce in dinamiche seduttive di sfruttamento. Perché svela ogni stupidità del popolo, condizionabile sempre, così come ogni opportunismo di politici legati soltanto al cinico possesso della propria poltrona. Perché esplora esperienze complesse come quelle della malattia mentale e del carcere, vivendole in prima persona, e proponendo possibilità che recuperino e sollecitino ogni minima qualità. Perché spezza ogni barriera architettonica tra il proprio io e lo straniero colonizzato, per di più antropofago, e fila un dialogo di ascolto, rispetto, reciprocità imparando la ricchezza dall’altra cultura e ridistribuendo nell’insegnamento la propria. Perché si schiera, con fiera trasparenza e impetuosa naturalezza, a fianco dei più umili, dei bambini, degli anziani, perfino degli animali. Perché intuisce un senso cosmico dell’esistenza, nel suo divenire, relativizzando ogni assolutezza e scrostando retoriche.
Soprattutto: Louise Michel considera la società come un unico corpo organico dentro cui ogni vita, vegetale, animale, minerale che sia, ha diritti di esistenza, per il cui rispetto è necessario combattere, strappando via prevaricazione, fatalismo e indifferenza.
Ho creduto necessario, quindi, portare questo fuoco femminile in Italia, peraltro ancora troppo poco conosciuto, quanto mai attuale e stimolante in un clima di confusione, decadenza e svilimento generale.
L’antologia dei testi proposti può considerarsi come una mappa dentro cui approfondire le vie di scrittura e di vita di Louise Michel. Nella vastità di opere come La Comune e Memorie, ho scelto, per ragioni di spazio, una cordata di passi, con relativi salti e scarti. Altrove, la personalità di un solo testo da me tradotto raccoglie con suggestione il peso di tutto il resto del libro da cui è tratto. Ne diviene il punto luce. La stecca del ventaglio lirico si compie con metodo cronologico attraverso le più significative poesie.
Nell’insieme, il paesaggio intero di quest’opera si stende agli occhi del lettore mantenendo fluidità narrativa e lirica in una ritmica che scandisce e intreccia azione, pensiero, pressione, tensione individuale e corale. Non c’è parola che non sia irrorata dalla pregnanza sanguigna di Louise Michel. Per quanto riguarda il criterio della successione dei testi, ho lavorato tenendo conto dell’arco temporale della loro creazione. Tuttavia, i primi due proposti mi consentono di cominciare direttamente con la presenza della scrittrice stessa, in una disarmante e sfondante epifania: è la sua voce, nemmeno la sua penna, la sua voce seminale che azzittisce di colpo il tuono accusatorio del potere.

 

Vergine rossa, santa laica, la lupa assetata di sangue, la buona Luisa, la grande cittadina, la grande regina della luce: sono solo alcuni degli appellativi che evocano Louise Michel come uno dei personaggi più interessanti dell’Ottocento, nella sua determinazione anticipatrice di future conquiste intellettuali, passionale nella lotta, fiera femminista anarchica, scrittrice e poeta.
L’interezza della sua personalità non separa azione pensiero e scrittura, rendendo il suo impegno civile e politico corporeo, attraverso una testimonianza quotidiana tangibile, trasparente, praticata in ogni luogo della società, con ogni individuo. La sua lettura sociale vibra asciutta, scevra da retoriche illusorie e sancisce, in modo irrevocabile e perentorio, il dovere umano di reagire e lottare per la propria dignità, a ogni costo.
L
a sua vita e le opere ci permettono di attraversare uno spaccato fondamentale della storia culturale, politica, sociale europea, non solo francese. La sua voce si intreccia con altre grandi personalità del tempo, tra cui Victor Hugo, Auguste Blanqui, Théophile Ferré, Jules Vallès, Eugène Varlin, Nathalie Lemel.
Indico alcune trame tematiche da lei vissute, incise anche nella sua scrittura, creata sempre con mano autobiografica, allarmata e urgente, che non ha tempo né pazienza per riletture e lima. Ecco i nodi centrali: la qualità didattica degli insegnanti e dei corsi di studio che avrebbero dovuto essere aperti, secondo lei, senza distinzione, a studenti maschi e femmine di qualunque ceto; il rispetto per i diritti degli animali contro inutili speculazioni pseudoscientifiche; il rispetto e la considerazione verso la cultura di ciascun popolo, riconoscendone sempre il valore; l’analisi approfondita delle origini e delle problematiche della devianza, proponendo risoluzioni e cure ancora oggi attuali, in particolare per gli individui nel carcere, nella prostituzione, nella malattia mentale e per i bambini ritardati; lettura sociale della vita del proletariato, con rivendicazione dei diritti fondamentali e a favore di un adeguato ritmo di lavoro; studi e esperienze di psicoterapia e psicobiologia, neologismo da lei coniato; riflessioni sulla pedofilia; lotta ai pregiudizi razzisti e sessuofobi; analisi della condizione femminile con un approccio dichiaratamente femminista; proposte per una società laica, dialogante e tollerante, senza redini imposte da gerarchie clericali.
Louise Michel nasce il 29 maggio 1830 nel castello di Vroncourt-la-Côte, un minuscolo paese dell’Alta Marna, in una famiglia della piccola nobiltà terriera. A venti anni ha la maturità di confidare in una lettera a Victor Hugo la propria nascita illegittima. Infatti Marianne Michel, sua madre, l’ha avuta da Laurent Demahis, figlio del castellano al cui servizio lavora. Viene allevata dai nonni paterni, da cui eredita un’impronta indelebile di illuminismo liberale tra Voltaire e Rousseau, malgrado le convinzioni tradizionaliste e cattoliche della madre e della zia. Alla morte dei nonni, nel 1850 Louise, che ha ricevuto una piccola eredità in denaro, e sua madre devono lasciare il castello, messo in vendita dalla vedova di Laurent Demahis. Dal 1851 prosegue gli studi a Chaumont conseguendo il diploma di maestra, il massimo livello di istruzione consentito a una donna, a cui era interdetta l’istruzione universitaria. Con l’abilitazione di maestra, per poter insegnare nelle scuole pubbliche dovrebbe prestare giuramento all’imperatore Napoleone III; non volendo riconoscerne l’autorità, apre una scuola privata a Audeloncourt, insegnandovi per un anno. Nel 1854 apre un’altra scuola a Clefmont. A Chaumont ha cominciato a scrivere per un giornale locale su argomenti di storia antica che alludono alla situazione politica contemporanea, per sfuggire così alla censura del regime. Nel 1856 lascia la provincia dell’Alta Marna e si stabilisce a Parigi insegnando nel pensionato di Madame Voillier. Nel 1865 apre una scuola in rue Houdon e, nel 1868, un’altra in rue Oudot. La sua attività di insegnante è molto apprezzata sia dagli allievi che dai genitori e diviene un vero e proprio laboratorio di idee e progetti per una didattica laica e liberale, senza distinzione di ceto e di sessi. Coltiva gli studi letterari, erigendo a proprio maestro Victor Hugo, con cui ha intrecciato una sentita corrispondenza fin dal 1850, e a cui invia le proprie poesie. Il maestro le dedicherà la poesia Viro Major (più grande di un uomo), dopo il suo processo nel 1871. Si firma anche con lo pseudonimo Enjolrasrichiamandosi al personaggio repubblicano dei Miserabili di Hugo.

 

 


Nel 1861 pubblica una prima raccolta di versi, Lueurs dans l’ombre. Plus d’idiots. Plus de fous, finanziata dalla madre; l’anno successivo si iscrive all’«Union despoètes» e comincia a frequentare gli ambienti rivoluzionari repubblicani. Nel 1869 diviene segretaria della «Societé démocratique de moralisation”, associazione che si occupa soprattutto della condizione delle prostitute, per dare dignità e lavoro alle donne, e si avvicina al movimento repubblicano socialista di Auguste Blanqui. L’anno successivo viene eletta presidente del Comitato di vigilanza dei cittadini del XVIII arrondissement di Parigi, in cui è attivo Théophile Ferré. Il comitato, con sede a Montmartre, impegna tutte le sue forze per sostenere i più bisognosi.
Durante la guerra franco-prussiana, nasce nel 1871 la Comune di Parigi, una tra le più importanti e radicali esperienze di sovversione dell’ordine politico, sociale e culturale, destinata, nella sua stessa drammatica sconfitta, a diventare un esempio e un simbolo della lotta di classe del proletariato contro il potere borghese. Louise Michel ne diviene protagonista assieme a un popolo di insorti: più di trentaseimila comunardi, di tutte le categorie sociali, la maggior parte dei quali di estrazione popolare, analfabeti o semianalfabeti. Collabora ai giornali che sostengono la rivoluzione, e partecipa in marzo all’incendio dell’Hôtel de Ville. Combatte a Montmartre, a Clamart, a Issy-les-Moulineaux dove è ferita, a Neuilly, a Clignancourt. Nel mese di maggio, mentre imperversa la repressione della Comune sconfitta dai versagliesi, si consegna per sostituire sua madre, presa in ostaggio al suo posto: affronta con fierezza e postura imperturbabile il processo, senza volersi difendere, anzi istigando l’accusa e ridicolizzandola. Viene condannata alla deportazione a vita in Nuova Caledonia e per venti mesi è incarcerata, prima nel campo di concentramento di Satory, dove assiste alla fucilazione di numerosi comunardi tra cui l’amato Théophile Ferré, poi nell’abbazia di Auberive.
Nell’agosto 1873 viene imbarcata sulla Virginie, con Henri Rochefort e Nathalie Lemel. Durante il viaggio per la Nuova Caledonia, che dura quattro mesi, diventa anarchica. Nella colonia penale rifiuta di avere un trattamento privilegiato rispetto agli uomini. Qui trascorre sette anni, creando il giornale «Petites Affiches de la Nouvelle-Calédonie», scrivendo testi di zoologia e botanica per l’istituto di geografia francese, poesie, narrazioni, documentazioni sulla vita degli indigeni Canachi. Apprende la loro lingua e la loro cultura, e insegna. Diversamente dagli altri deportati, afferma la sua solidarietà nei loro confronti durante l’insurrezione del 1878 contro i colonialisti francesi. Nel 1879 viene autorizzata a trasferirsi nel capoluogo dell’isola, a Nouméa, per insegnare ai figli dei deportati e in una scuola femminile. L’anno successivo, a seguito dell’amnistia, torna in Francia per assistere la madre in fin di vita.
Riprende la sua militanza politica attraverso la scrittura e un pellegrinaggio di conferenze, sostenendo il movimento anarchico. Partecipa nel 1881 al Congresso londinese dell’Internazionale anarchica, preferendo la tesi dell’azione sindacale come forza penetrante nella cultura del popolo, più efficace e duratura dell’azione diretta e isolata. Nel 1882 pubblica La Misère, il primo di una serie di romanzi sociali. Nel 1883 è arrestata a Parigi con l’accusa di aver organizzato, con Émile Pouget, una manifestazione di protesta di disoccupati. Condannata a sei anni, viene graziata – senza averlo richiesto – nel 1886. Ma nello stesso anno torna di nuovo in carcere, condannata per un discorso pronunciato a favore dei minatori di Decazeville, durante una manifestazione tenuta con Jules Guesde e Paul Lafargue; affida a un volume di Mémoires, pubblicato nel 1886, il proprio percorso esistenziale e politico.
Nel 1888, a Le Havre, il giovane cattolico Pierre Lucas le spara due colpi di pistola alla conclusione di un suo discorso. Ferita, non denuncia il ragazzo, anzi sostiene la sua liberazione. Nel 1890, di nuovo arrestata a una manifestazione a Vienne, rifiuta la libertà provvisoria per condividere fino in fondo la stessa sorte dei suoi compagni ancora in prigione. Per la sua collerica intrattabilità viene proposto il suo internamento in un ospedale psichiatrico; è accusata di avere allucinazioni e stati di incontenibile violenza, confusione e disordine che fanno presumere una demenza senile precoce. Firma il referto il dottor Faure dell’ospedale di Vienne, dove è ricoverata; altri certificati medici lo confermano.
Il Ministro dell’Interno preferisce non alimentare ulteriore scandalo e decreta la sua liberazione.
Lascia la Francia e si trasferisce a Londra, per organizzare una scuola anarchica. Torna a Parigi nel 1895, accolta da una grande manifestazione alla stazione di Saint-Lazare. Nello stesso anno fonda con Sébastian Fauré il giornale «Le Libertaire». Nel 1896 è di nuovo a Londra, dove partecipa al Congresso dell’Internazionale socialista che sancisce la separazione definitiva tra socialisti e anarchici. Per alcuni anni si sposta continuamente per tenere numerose conferenze, in Francia, in Inghilterra, fino in Algeria. Nel 1998 pubblica La Communeper ricostruirne l’esperienza attraverso documenti e la propria testimonianza diretta. Muore a Marsiglia il 9 gennaio 1905, dopo un’ennesima conferenza. I suoi funerali, senza cerimonia religiosa, si svolgono il 25 gennaio a Parigi con una grande partecipazione di lavoratori e compagni di lotta da tutta l’Europa. Secondo le sue volontà, viene sepolta nel cimitero di Levallois-Perret, accanto alla madre.

Anna Maria Farabbi

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 Louise Michel, è che il potere è maledetto e per questo IO SONO ANARCHICA-   Il Ponte 2017

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