ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: note di lettura su “La vita al grezzo” di Giovanni Trimeri

erbari le pareti

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E’ bastato uno scambio di battute via mail e ho subito ricevuto la copia dei suoi ultimi libri: Declinazioni imperfette- edizioni Mobydick collana Le nuvole, 2013; La vita al grezzo – edizioni Pellicano, collana Inediti rari e diversi, 2015.

Li avevo nella borsa e ho iniziato a leggere durante le simulazioni di progettazione. Niente potevo fare se non controllare che si comportassero come richiesto dalle regole d’esame, rispondere in modo mai diretto alle possibili domande riconducendoli a cercare in se stessi le plausibili risposte. Tre ore di attesa non sono poche e  i libri mi hanno riportato ad un tempo che ormai stava chissà dove, riposto in qualche passaggio tra Fener e Feltre, oppure se ne stava dentro uno scarpone della birra di Pedavena, pronto a farsi bere in un possibile, futuro giro in montagna. Andavo a trovare nonna Alba, abitava a Foen, un paesino vicino a Feltre, tre stanze più servizio e una bellissima piccola terrazza in una casetta d’altri tempi. Vicino, c’era il parco della rimembranza e, a pochi passi, il bosco, dove raccogliere fragole e funghi, secondo le stagioni. Come a rimarcare che non c’era un preciso confine tra morte e vita e tutto rientrava in quel territorio che tutti ci ospita senza differenza. Cosa questa che ho sentita chiara in Declinazioni imperfette, ad ogni ritratto che veniva tracciato, come fosse un dagherrotipo.
Siamo praticamente coetanei con Trimeri e qualcosa, della nostra educazione, del mondo e del modo in cui siamo approdati all’inizio degli anni ’50, deve avere lasciato in entrambi  qualcosa che poi, continuando a guardare il mondo, ad abitarlo ad ascoltarlo, abbiamo visto perdersi, giorno dopo giorno, come un fiume che si perde  in centomila rivoli fatti di dispiaceri che solo nel tempo si sono quietati, altre volte si sono ancor peggio annodati per scattare come fionde pronte a colpire quando meno lo aspetti, e ti rendi conto che il provvisorio è la traduzione esatta di improvviso, e fragilità è la condizione con cui ricominciare, pagando sempre e solo di tasca propria, dalla propria vita, non da un estratto conto. Ma ciò che sottolinea ogni sua raccolta, delle due citate, è che quanto accade è il debito da pagare per un disimpegno personale e collettivo. In effetti i suoi testi, quasi istantanee scattate con mano ferma,  rilevano in pochi tratti di luce e oscurità le malattie di cui ci siamo infettati. La storia che esce dai suoi versi, non resta confinata a questo o quel paese ma a questo e quell’attimo che molti di noi hanno vissuto ora dopo ora, purtroppo perdendosi, dal nord all’est, all’ovest o al sud. Migrazioni e semplicità, le stagioni e la natura come maestre, il silenzio e le declinazioni sonore delle acque. Il giallo delle fotografie, datate, è colore della testimonianza che, nel tempo, data la sua osservazione  delle trasformazioni ambientali e sociali ed è metodo di impostazione per creare  nel libro citato,  ritratti precisi proprio come l’ultima raccolta in cui le inquadrature a campo corto o cortissimo, ripercorrono ancora una volta le strade delle relazioni, con i luoghi, gli altri, e noi stessi, ancora una volta nelle fenditure del tempo. Le immagini sono brevi, ben delineate, come lo skyline delle montagne in cui l’autore abita e quasi ne senti anche la temperatura, stagione per stagione, dentro il dialetto di un buon numero di poesie.
 La vita al grezzo, di cui l’autore scrive, si finisce col riconoscerla come la nostra, incapaci di far fruttare una parola tanto quanto riesce un albero,  elargendo vita a vita. Noi, siamo l’unica specie dei viventi che abbia scordato questo essenziale principio e a questo credo ci rimandi ad ogni pagina l’autore.

 Fernanda Ferraresso
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francesco michielin
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Da Declinazioni imperfette
ALBUM RITROVATO
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(degli avi)
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Dei miei avi ben poco
conosco. Dolore
se penso alla sorte del primo
di cui danno segno le carte.
“Degli esposti”
grande stirpe senza potere
famiglia o buffoni di corte
aveva per blasone vergogne
paure ed errori sociali
di un tempo affamato.
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(foto di famiglia)
 .
Quello a destra accasciato
con i capelli all’umberta, rotondo
è lo zio in Canadàl’altro in piedi, alle spalle
è lo zio morto in Russia.Io non ci sono
ma assomiglio a mio padre
quello muto, a sinistra
rispetto alla nonna.
.
(autoritratto)
 .
Avevo vent’anni, anni fa.
Ascoltando oggi
una canzone di allora
dico che è vecchia
oppure un classico,
io che avevo vent’anni
quell’allora lì
non sono né l’uno né l’altro.Passeggio sul corso
della vita (schivando, rischiando)
sbagliando i calcoli
al fegato. Ostento
quel tanto di pancia, supposta
garanzia per essere credibile
quando proclamo
 la mia ignoranza.
.
giovanni trimeri
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Da La vita al grezzo.
Abitudini
(trattoria in tre quarti)

I

All’ora solita, i soliti tre anziani
il lungo, il largo e l’altro, con il bastone
ultimi di una banda di musici
sfiatati posteggiatori di pensieri
da panchina piazzale seminario,
hanno deboli cenni d’intesa
alla zuppa, al pollo.
Gli occhi altrove, nei segreti
nei chissà dove o si godono
nello specchio in fondo alla sala
il teatro delle gambe sotto i tavoli
o tra i tavoli e lo specchio indagano
le ombre di una prossima disfatta.
Si parlano senza ascoltarsi
sottotitoli e scontate didascalie
di fantasmi e fantasie
che pesano sui bancari in piedi
con il buono pasto già compilato
per un posto buono per quattro
e due chiacchiere a difesa
della sentenza degli sguardi.
Ogni tavolo è fuori tema
ogni tavolo è un rivolo minimo
di vita ch si perde tra le stoppie
di un tempo a disco orario.
.
(avviso)

Nella casa che vigila sui campi
è rimasta una lampada accesa
da giorni, settimane, forse mesi.
Tutto è immobile intorno allo sguardo,
solo il teatro dei gatti frastorna la notte.
Una di queste mattine, copione
già scritto, rivisto e vissuto
qualcuno con sorriso straniero
verrà a spegnere la luce, inclemente
ad affiggere il cartello «si vende»
per avvisare i gatti e i forestieri
per metter paura agli ultimi vecchi.
.
(ritardo)

Vengo dopo tutti i giorni ammaestrati
a chiedere come perché e per chi
dubitare, urlare per pentirmi
ogni volta che qualcosa non torna
siano gli anni gli amici
le parole serene
per chiudere a viso aperto il discorso
in un tramonto senza uscita
forzare il silenzio per poco o nulla
stravedere
per una voce due passi lontana
che cambierà la musica e finirla
con il lutto di questo incedere
tra versi giaculatorie
velenoso frutto del tempo mesto
che ormai segna ogni passo.
Allora aspettatemi ad un tiro di sasso
dalla meta, dove si è quasi arrivati
ma si teme l’imprevisto, l’ultimo,
ad un abbraccio dalla roccia
dove il vento frantuma le parole
e impone il silenzio dell’assoluto
per questo appuntamento ho speso
le energie migliori, per quella vetta
per quel vuoto che contiene il tutto.
.
per Dio
IV (partenze)

Quelli che in una qualsiasi mattina
non hanno più aperto la porta di casa
tu certo sai dove sono andati.
Allora informali che hanno lasciato
un finestra socchiusa, un discorso sospeso
un conto da saldare, la biancheria
stesa tra i giochi di mosche e farfalle
il sole che li aspetta
per le solite ore delle chiacchiere
degli affanni
e un cuore che in qualche angolo lotta
con la sua tristezza.

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Giovanni Trimeri è nato a Fonzaso nel 1953. Si occupa di gestione di beni e di attività culturali, con particolare riferimento ad iniziative teatrali, esposizioni, incontri e attività di promozione del libro e della lettura. Ha scritto testi teatrali e storie per bambini, canovacci per spettacoli di teatro di figura, rappresentati in Italia e all’Estero. Ha curato diverse miscellanee di studi e numerosi suoi scritti sono presenti in antologie, cataloghi d’arte, riviste e giornali. Dal 1983 al 1993 è stato redattore di «abiti-lavoro, quaderni di scrittura operaia». Tra le sue pubblicazioni, oltre ad una ventina con l’editore “Pulcinoelefante”, si segnalano: Cani, gatti e aquiloni. Storie per bimbi cattivi e buoni (1988), Il panico dei pollai (1991), Luoghi d’uso (2000), Bibliotecaos (2005), Geografia minima (2007), Declinazioni imperfette (2013).

2 Comments

  1. “il provvisorio è la traduzione esatta di improvviso”. queste parole, Fernanda hanno la bellezza icastica della Verità che, in senso heideggeriano, si svela improvvisa. Improvvisa appunto.
    Sono affascinata da questa poesia dai toni dimessi, ma animata dalla forza robusta di ciò che ha profonde radici e sa di terra, di vino, di storia, di un mondo potente anche se silenzioso. O forse proprio perché silenzioso.

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