ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: “Andare per Salti” di Annamaria Ferramosca

 valentino d’alessandro

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Questa sera ruota la vena
dell’universo e io esco, come vedi,
dalla mia pietra per parlarti ancora
della vita, di me e di te, della tua vita
che osservo dai grandi notturni

Milo De Angelis

E’ questa l’epigrafe, la chiave per aprire le stanze dell’ultima raccolta di un’autrice che da tempo conosco e leggo.
L’indicazione della copertina, assolutamente priva di immagini, un velo bianco con due triangoli di azzurro agli estremi, e il rettangolo in cui è inscritto il nome dell’autrice, ci offre un verbo all’infinito e una modalità o una causa (per via di, a causa di…): ANDARE PER SALTI. Eppure non è così immediata la comprensione di questo consiglio! Andiamo noi per salti, dimenticando la nostra storia, dimenticando il passato che si costruisce attorno ad ampie voragini, a vuoti di memoria dove ognuno ricostruisce secondo la propria inclinazione fantasiosa? Oppure si tratta di affrontare il futuro, di fronda in fronda, scansando il contingente che sentiamo come pericolo e dunque oscurando l’essenzialità della nostra umanità? Serve staccarsi dal piano di appoggio per compiere un salto. Può essere il suolo dove nasciamo, cresciamo, viviamo, o anche quello della logica, o della irrazionalità. Anzi, la fantasia e il sogno procedono per salti e niente sembra mai incomprensibile e inaccettabile: attraversiamo tempo e spazi, nei sogni siamo in continuità qualsiasi cosa, mentre non così accade nella realtà che percepiamo come unica nostra materia corporea. La terrestrità in cui ci obblighiamo in vincoli, in misurazioni dei vincoli e dei legami, delle obbligazioni derivati dai doveri e dai diritti, che sono poi altrettanti doveri comportamentali, e mai ci si stacca liberandosi dai pesi che ci sovrastano, incombono ogni attimo sul nostro cammino, sulle nostre relazioni. Allora, come  il titolo scrive, l’andare per salti è forse un cedere, a favore della vita, un procedere nella nostra notte che vibra tempo e paure come fanno i folli, tra dettagli che normalmente sembrano vuoti, ma sono l’apparenza in cui stiamo chiusi, noi, i normali, con lo sguardo pietrificato su cose davvero insignificanti, mentre loro viaggiano, ad altissima velocità, oltre quanto ci cancella, ci rinchiude in una realtà che ci crocifigge. Mi domando, nel labirinto di Ferramosca, mentre percorro i suoi segni, quale sarebbe la dinamica di una relazione per salti, come si connetterebbe allo sviluppo ideologico ed emotivo di un bambino nel farsi uomo, oggi, e quale diversità da ieri deve superare, in un salto intimo e allo stesso tempo etico, e quindi condiviso, per sentire che in sé ha maturato quanto serve per compiere il suo cammino. Verso chi? Verso dove? Fino a quando?  E con chi? Come è possibile tenere stretti insieme vedere, sentire, comprendere? Quali e quante sono le modalità per percepire l’esattezza dell’essere  e dell’essere ciò che siamo, costantemente saltando di palo in frasca, perché questa è la vita. Un attimo infiliamo le mutande, l’attimo dopo corriamo in automobile, firmiamo un assegno, compriamo una pizza o una casa, abbiamo una sveltina per non dire di no alla fortuna, tiriamo sotto le ruote un cane o un immigrato, ci rifiutiamo di andare dal giudice,…nostro figlio scopriamo che non è nostro…Tutto in una perfetta imperfezione e irrazionalità di cui non sappiamo trarre il significato ultimo, non sappiamo capire cosa sia curriculum vitae e cosa sia questo andare mistificando ogni attimo dietro una visione che chiamiamo realtà comune. Per tumulti” e Per Spazi inaccessibili si tenta un progressivo  recupero di legami originali, primo quello con la madre, la sua sostanza più chiara. Il legame con la superficie terrestre, un’Itaca  petrosa e impietosa non alienabile, non cancellabile, che è poi l’estensione del nostro corpo interiore e fisico, anch’essi soggetti a tumulti, a sbalzi, anch’essi intricati grovigli di foreste entro cui piove incessantemente il cielo. E c’è una forza e allo stesso tempo una leggerezza provvidenziale nei versi della Ferramosca che le servono per muovere i suoi passi sul filo esiguo che connette corporeo e incorporeo, la nostra carne e l’idea di un assoluto dove prende forma ognuno di noi, come un imperfetto cosmo di stelle che sanguinano la loro morte in luce e cenere, come un carniere di uccelli del tempo, come noi fatti di sabbia e di fango. Tra paura e desiderio ogni movimento, incalzati dalle necessità  ci percuotono anima  pensieri e corpo, sismi che agitano le faglie instabili delle nostre emozioni. Per questo il suo linguaggio si fa plastico e modella la prensilità della poesia, per afferrare ciò che altrimenti sfugge anche se duole e preme nel fondo di noi stessi, o sulla nostra dura pietra, per liberarne l’essenza che si comprende essere la relazione con gli altri, con l’altro, anche l’altro se stesso, in cui (si)ritrae la bambina della meraviglie, mai scomparsa e raggiungibile in un salto, uno tra i tanti che l’autrice ci mostra e sono chiaramente salvifici, in una reciprocità che è il nostro corpo comune. Lasciate qui e là le frasi che l’autrice ci regala, e sono da decifrare, ci riportano a noi stessi, a quella costante ricerca che è nostra guida tra le ombre, in cui la vita ci approssima e ci costruisce o ferisce, sempre in-scrivendoci quel tumulto, quel sisma che si fa grafema sulla pietra, da cui far uscire  la storia che ci scrive e la geografia del nostro cosmo, una profondissima eco, un vortice e una vertigine quale sola è e può la forza gravitante del vivere e dell’essere.
L’andare per salti è il mio mai fermarmi, il voler cercare sempre nuove scene, nuovi luoghi dove rinascere, nuove epifanie. La stasi è il mio buio, la mia asfissia. Così questo andare sempre libero, a volte dissacrante, a volte nostalgico, sempre disarticolato, perfino illogico – per salti, appunto, che si rivelano pure tumulti del sentire – è la spinta che guida l’immaginario lungo gl’inaspettati incontri del quotidiano, mai previsti, mai preordinati, e vorrebbe invadere pure spazi inaccessibili, ritornare sui territori del mito, del sogno, anche su quelli della inevitabile ultima soglia.
Perfino le soste sono imprevedibili e disconnesse, ma forse hanno fili sottili che le uniscono, nelle riflessioni che seguono le scene della nostra deriva, della disumanità cui siamo giunti.
E la voce squillante della luminosa bimba Nicole è il suono invincibile dell’istinto vitale, che tenta di superare le ombre pessimiste sul possibile tramonto dell’homo divenuto insipiens. Mentre mai si arresta quella forza misteriosa della mano che, fiera d’essere sempre libera, continua a far colare segni sulla carta.
Queste, le ultime note che ci lascia la stessa autrice, e questo il suggerimento, per rileggere alcuni testi della sua raccolta, in un andare anche noi per salti, tra una sezione a l’altra, senza paura di perderci.

fernanda ferraresso

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valentino d’alessandro

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…per salti…da una sezione all’altra alcuni testi  dalla raccolta Andare per salti di Annamaria Ferramosca

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zoom su tutte le città ferite a morte
nella polvere scompaiono le scene come fossero
bagliori di una notte mai trascorsa
se mi abbracci anche una sola volta
la guerra scompare

abbracciati fuggiamo dagli scannatoi
da chi sogna di farsi cadavere tra cadaveri
abbracciati fuggiamo dall’empietà
di ricondurre i corpi negli spazi della prenascita
ci guardiamo nel fondo nero del bosco
confusi abitanti del caos
boia e animali sacrificali
mentre il fiotto soffoca il respiro
dei boschi dei nidi
di ciò che resta delle case
dove avevamo in mente di ritornare
come spiegheremo ai figli l’allarme ininterrotto
se non sotto una maschera di vergogna
chi ritirerà la posta dalle cassette
mentre le arance rotolano dal cesto?

.

la ferocia dei muri

dunque cosa è stato fin qui questo mio vivere?
forse soltanto un foglio bianco di vertigine
con lievi tracce di nero di sillabe

oggi queste imperfette pagine darei
ultimi panni dello snudarmi
a quanti non ho saputo accogliere
(in quanti amici non ho riconosciuto
tracce d’amore già nel nome)

tanto sprovveduto è stato l’attraversare
il rombo delle strade senza avvertire
i passi accanto…………….gli urti gentili
tanto distratto il camminare
nella nebbia dell’inquietudine
senza vedere appigli braccia tese
solo la ferocia dei muri

degli altri conosco davvero poco
solo un brusio dal mare di smartphone
più nessuno sguardo che mi parli
senza bisogno di parole
so che hanno il pianto in gola e sporadici
sussulti automatici
semiviviamo sotto cieli sbarrati

non resta che svegliarci dal grande sonno
insieme vigili a custodire
la forma semplice del pane a fare
la terra chiara di gratitudine

insieme
per quel bagliore all’orizzonte

.

tu che solo-con-le-parole

entriamo nel giardino senza recinti senza cancelli
nella navata senza velarci il capo
non sovrastano altari né piedistalli
d’improvviso non hanno senso

resta la nostra marcia

tu
tu cammini convinto tu nel dubbio
tu vai solitario tu vuoi un appoggio
tu attendi una nascita tu una rinascita
tu voglia di comunicare tu di ascoltare
tu sai convincere tu ti lasci convincere
tu il disperato tu che sai sollevare
tu che sai cosacome dire
tu che sai ripartire
tu che non sai comequando
tu che sai ideare poi fare

resta un delirio?

tu
entriamo nel giardino senza cancelli
senza conoscere orario di chiusura
nessun divieto affisso di frastuono o uso d’armi
d’improvviso…………….non hanno senso

resta la nostra marcia

tu
tu voglia di terra da coltivare tu da conquistare
tu lanci parolefrecce tu ne sei ferito
tu vuoi lasciare un segno tu lo stai cercando
tu contempli tu interroghi
tu insegui la realtà tu l’utopia
tu nato leader tu solo gregario
tu solo volontario tu solo contro tutti
tu clown per mestiere tu inconscio comico
tu modello da imitare tu solo mimo
tu aguzzino tu vittima
vera o consenziente (lo sai solo tu)

resta la poesia?

tu
tu fuori dalle riserve dai recinti
tu fuori dalle guerre dai labirinti
tu fuori dai ripari dai raggiri
tu contro la violenza l’indifferenza
tu per l’uguaglianza nella differenza
tu non per la tolleranza ma per l’indulgenza
tu che pensi non ti fai pensare
tu che sbagli rifletti e fai riflettere
tu che scrivi per salvare bellezza
e per liberarti non per liberare
tu che chiedi perdono ancora per gli uccisi
tu che
solo-con-le-parole solo-con-le-parole

.

valentino d’alessandro

.

ora che mostro viso e braccia aperte

s’accendono i corpi le voci
più libero il pianto più intense le carezze
apro armadi nel petto e
vado per salti
dimentico zaino zavorra
virgole punti de-finizioni
tanto so che l’altrove
mi tiene d’occhio e

dorme la mia bambina delle meraviglie
ancora irrubata dal mondo
intatta nel suo pianeta
cosa devo farci io con questo spudorato pianeta
cosa devo farci con il terribile che infuria
con le solite frasi il solito sgomento
con quella spes ultima illusione
cosa devo farci pure con la poesia

tanto so che la nave
sta trascinando al largo
nel muto acquario dove ci ritroviamo
come all’origine nudi
finalmente originali miseramente
splendidi nel nulla

.

a Nicole del mattino

bello vederti bere l’aria
mentre salti sul mondo
s’accendono le arance
ti svegliano ti svelano
una terra d’incanti di festa
senza ombre né memoria

ammutolisco sulle frasi che lanci
verso la mia disfatta geometria
mi indichi il segno del silenzio
io tua piccola alunna tu maestra
mi metti seduta spossessata di storia
sotto l’arco del tuo tempo abbagliante

vedo con le pupille lunari dei gatti
torcersi i meridiani unirsi i continenti
sotto i tuoi passi di conchiglia
brillano nel tuo mare
isole che non raggiungo

.

area domestica con segnali
in ombra queste dita inumate nella carta
l’imprecisione del profilo dei monti oltre il vetro
nella nebbia il ponte che frana e quei visi
esposti all’insulto dei naufragi
avevi spalle robuste
e la sana ironia che alleggerisce il giorno
voce rassicurante siamo avanti avanti
verso incredibili traguardi la tavola di Mendeleev
ancora saltellante di vuoti luna e marte in attesa
silicio e robot e bellissimi i nostri profili ibridati
nei campi l’humus intossicato
là dove le radici geologiche dei passi
s’allungano di sete verso i pozzi in seccume
riarsa di sangue la terra
la carta pesta e dimenticata
come i graffiti sulla roccia
smunti arresi
questa la fine della nostra casa?
cerchio di fuoco allo scorpione?
il televisore di là rimasto acceso

.

 

Annamaria Ferramosca, Andare per salti –Arcipelago itaca 2017
Introduzione di Caterina Davinio

 

9 Comments

  1. La tua lettura, cara Fernanda, aggiunge dense riflessioni e inevitabili domande, come ogni poesia richiede, intorno al mio andare. un andare disconnesso per scene e temi, ma che si muove per fili comuni sottesi, che tu hai saputo dipanare e che ogni lettore, spero, potrà ritrovare rispecchiandosi.
    Grazie per questo empatico sentire che conferma la mia ricerca come necessaria, perchè profondamente compresa. un caro saluto,
    Annamaria Ferramosca

  2. Grazie Fernanda, per avermi fatto conoscere la parola di Annamaria Ferramosca. Un poeta che denuncia ” la ferocia dei muri” non può che essere vicino al mio modo di sentire le cose in questo alienante presente. Ieri al’ospedale, aspettando che qualcuno concludesse un esame, una donna che stava aspettando il suo turno, ha parlato per un’ora al cellulare dei suoi problemi che per la verità non sembravano così grandi se paragonati a tutto il dolore che si trovava in quel luogo. Io mi drizzavo sulla seggiola nella sala d’aspetto e cercavo di captare le sue parole, mi spingevo quasi ad entrare telepaticamente nella conversazione, non tanto per curiosità quanto per partecipazione. Ogni giorno così ci capita di affacciarsi sui bisbigli dei cellulari in cui ognuno si rinchiude senza avere più nessuna reale comunicazione che non sia quella con il proprio spazio di conforto. Queste persone camminano rapidamente e poi ogni tanto si fermano per un attimo in più di concentrazione o semplicemente per grattarsi o mettersi meglio l’auricolare. Sarà questa la nuova andatura del futuro, un aderire alla terra solo per strisciare, una sedentarietà a singhiozzi, altro che nomadismo, per seguire un cavo invisibile che ci collega ad impegni affrettati o a ad affetti impegnativi. Uno solo o con più diramazioni. L’adesione alla terra invece è proprio quello del bambino che salta con gioia, che si spinge per un attimo verso il cielo, ma soltanto quando sente di essere nuovamente catturato dal suolo prova il culmine della felicità. Chi vede per le strade un adulto che procede per salti? Sarebbe anche un salto nel tempo, per ” non sentire l’orribile peso del tempo che spezza la schiena e vi piega a terra”. Ma sì, ha ragione Baudelaire sono anche gli ubriachi che procedono a salti, sconnessi dal concetto utilitaristico del tempo, portati chissà dove dalla propria forza immaginativa. Si fa un piccolo salto anche quando si incontra una persona che non si vede da tanto tempo, per felicità e sorpresa, prima di gettarsi in un abbraccio. La dimensione del salto è quella che ci fa rinunciare al nostro continuum identificativo, professionale, sociale, monosentimentale, per aprirci all’incontro con i tu di cui parla Annamaria Ferramosca ed è sorprendente come questa intenzione rispecchi la poetica e la morale di un’altra Anna Maria che proprio di questo imprescindibile aprirsi ai tu del mondo parla nei suoi “pesci rossi” di questo numero. Bello e riconciliante.

  3. con Anna Maria dei …pesci rossi, è un anno che cerchiamo di incontrarci. Io sono restia a muovermi, la mia vista non è affidabile di notte e sono sempre più recalcitrante a mettermi in viaggio da sola per distanze di una certa entità. I treni ormai li elimino, con tutto il tempo che ci ho perso un tempo, adesso non ne ho più voglia di attese, ritardi, e anche incidenti…
    Abitiamo lontane e lei non ha molto tempo, io nemmeno e dunque ci scriviamo o ci inviamo messaggi…anche perché Anna si ritiene preistorica, ed è un abuona scusa per non utilizzare le tecnologia a disposizione.
    Le parole saltano da qui a là ma noi, noi saltiamo con loro? Un volto offre la temperatura di una sofferenza , di un malessere, di un distacco, ma le parole riescono a barare…Non so dire fino a che punto ormai sentiamo l’uno dell’altro i problemi. A me capita di sentirlo senza parole, anche se ultimamente salto e salto, persino lontano da me stessa, in una misura che non abbia misura, tutto ormai mi sta stretto, strettissimo!
    f

  4. Annamaria dei salti. Mi sei saltata profondamente dentro. Corpo emozione cervello. Ecco, allora, la Potenza della poesia, che puo’ recuperare le abissali distanze della rete e mettere pelle a pelle. Mi fa felice sentire che questi vuoti tra noi queste solitudini d’esclusione… ce ne accorgiamo, non stiamo lì a subire passsivamente. La tua lunga teoria di ‘tu’ apre tante finestre. Andrò a cercare il tuo libro. Grazie.

  5. Cri Paolo e Beatrice, stiamo condividendo anche insieme a Fernanda, questa capacità della parola poetica di superare indifferenza e sovrastrutture, errori e superficialità, per farci sentire vicini come fossimo amici da sempre. E questo a dispetto della deriva rischiosa del virtuale. Semplicemente, il monitor non esiste, esistiamo noi, con le nostre parole che ci attraversano, con questo potente legame che ci fa riconoscere e ci riscalda. Sono io che vi ringrazio!

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