L’OCCHIO ALLA FINE DEL CANNOCCHIALE ovvero Del vedere delle donne -Milena Nicolini

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Sì, era, è ancora l’occhiello: Del vedere delle donne. Ma da subito avevo precisato: “non solo”. Ed ecco, infatti, uno sguardo che raccomando, pur maschile, quello di Paolo Gera. Sul libro di Tobia della Bibbia. E’, quello che mi e ci ha donato Paolo Gera, un lavoro ancora in fieri, un work in progress, che si preannuncia certamente forte e coinvolgente. Lo propongo dopo  questa mia premessa, forse troppo lunga, di cui mi scuso.

Dice Emma Jung, in Psicologia del Graal :

“Si suppone dunque che nella psiche vi siano matrici che servono da modelli per la comprensione del mondo esterno e per il comportamento da assumervi. Qualunque situazione può animare un simile typos, vale a dire che essa viene automaticamente compresa o affrontata in un determinato modo. (…) Il mondo archetipico esercita un enorme fascino, ha un effetto addirittura numinoso. E’ un mondo pieno di meraviglie che non solo ospita madri terribili e altri mostri, ma è anche, come la “terra dei vivi” celtica o come il paradiso, un luogo di beatitudine. L’idea di dover abbandonare questo mondo meraviglioso dà spesso origine alla più tenace resistenza perché ciò che se ne riceve in cambio è per lo più molto meno attraente. L’incanto di questo mondo è quasi sempre una delle ragioni per cui lo stadio infantile appare tanto speciale e desiderabile e il passo nella “vita” e nella realtà tanto difficile.”

Mi si permetta di allargare questa riflessione anche ai miti, ai grandi racconti epici, più o meno sacri, che ci fanno da fondamenta, e alle favole, alle narrazioni della tradizione: sono tutti intessuti di elementi corali primigeni, certamente primordiali, se non proprio archetipici. C’è una ‘selvatichezza’ che nessun circo può domare a significanza domestica. Più che attraenti, date le loro storie spesso dure, cruente, atroci (anche i paradisi, infatti, vengono quasi sempre perduti o, se riconquistati in versioni palliative, lo sono a prezzo di grandi sofferenze e prove e fatiche), li definirei difficili da rimuovere, cancellare o modificare, così come ‘norme’ e verità assorbite dall’ambiente formativo, tanto più inconsapevolmente quanto più profondamente. Li definirei  ‘intoccabili’, staticamente immobili e inamovibili nella loro intangibilità, come si dà distaccato, misterioso, impenetrabile il ‘sacro’, che ci ferma lo sguardo, ci piega in giù il mento, e che, anche se irritati o ribelli, raramente ci consente la profanazione. L’atteggiamento profondo al riguardo credo si possa visualizzare in quell’esigenza del bambino che chiede sempre identica la narrazione di una fiaba, ribellandosi anche solo all’introduzione di una diversa parola. Cambierebbe qualcosa, pur minima, e forse come il primo ciottolo di una frana potrebbe demolire una configurazione che ha dato, che dà una qualche coesione a elementi  caotici del mondo, verso una direzione, un senso contro l’impermanenza di tutto, contro la solitudine beota dell’uno, per la sapienza istituita dalla specie. Dice ancora Emma Jung:

” Quando durante un rituale viene rappresentato un mito o (…) si racconta una fiaba, per colui che prende parte al “rito”, per colui cioè che dal rito si lascia toccare, l’effetto terapeutico consiste nel fatto che attraverso questa partecipazione egli viene inserito in una forma archetipica di comportamento e sarà quindi in grado a sua volta di mettersi “in ordine”. (…) Questo senso di “appartenenza a un ordine” o di “divenire tutt’uno con una volontà superiore” è anche il contenuto dell’esperienza religiosa.”

Eppure non si possono ignorare tutte le rielaborazioni, riscritture, rappresentazioni di miti, leggende, fiabe e altro che nel tempo sono state operate in tutti i linguaggi dell’arte, del pensiero, anche della scienza, da Bernini a Jung, da Wagner a Pasolini, da Propp a Hölderlin. Anche riscritture molto ardite, quasi mai, comunque, decisamente sovversive . Credo siano inevitabili quanto necessarie, proprio per mantenere viva quell’antica ‘verità’, e la sua forza e la sua energia a tenere compatto il mondo dentro una decifrabilità, incarnandola ad esempio in un tempo  attuale o  arricchendola di nuove esperienze e complessità razionali, ideali ed emozionali. Qualcosa di sedimentato come un profilo genetico, che si dispone, però, a possibili mutazioni  di  caratteri in superficie. A volte, però, le mutazioni sono tali da aprire nuovi sviluppi alla specie. Non è impresa frequente, né facile da agire. Come andare a mettere le mani in faccende religiose o etiche. Perché non si intende qui riferirsi a certe provocazioni di tipo dadaista o pubblicitario, dove è lo scandalo in sé a dover significare e non il suo contenuto; ma ci si riferisce a quei ribaltamenti da cui non si torna più indietro, come quelli proposti da Nietzche, e a  quegli svelamenti  da cui non si può più prescindere, come quelli mostrati da Freud.
Paolo Gera, di certo, non sovvertirà la trama mitologica del terreno su cui posiamo i piedi, ma spesso ci trascina ad affondare il bisturi in certe figure e vicende del mito per arrivare a elementi profondi che ci corrispondono oggi, ci significano in un rapporto biunivoco di passato e presente, come accade quasi ad ogni poesia del suo L’ora prima. A volte, però, come questa, ci porta anche a vedere  un trompe-l’oeil  che non avevamo notato, non solo perché ben mascherato dalla tradizione di lettura, ma anche perché così  naturalmente reso dalla scrittura  che l’ha posto in fabula con la immediatezza ambigua della vita reale. Paolo Gera ha riscritto il biblico Libro di Tobia. Mi è sembrata subito una sovversione, un gesto soprattutto polemico e politico. Poi sono andata a rileggere il Libro di Tobia. E mi ha sbalordito. Dice Tobi nel Libro di Tobia della Bibbia:
Ai tempi del re Salmassar, io avevo fatto del bene ai miei connazionali. Davo il mio pane a chi aveva fame, e i miei mantelli a chi non aveva da vestirsi. Se vedevo il cadavere di qualcuno dei nostri gettato dietro le mura di Ninive, accorrevo a sotterrarlo. Un giorno, il re Sennacherib fu sconfitto in Giudea (…). Furente d’ira, tornò in patria e fece uccidere molti Israeliti. Io andai a prendere i loro cadaveri e li seppellii. Sennacherib li fece cercare, ma invano. 1, 16-18
E qui non può non venire in mente l’evangelo cristiano, come un appoggiarsi alla solida parete della Parola che ha preceduto, profetica. E passano in second’ordine puntualizzazioni come ‘miei connazionali’, ‘nostri’, così come, abituati alla connotazione universale del messaggio cristologico, non teniamo conto, nei vangeli, della posizione circa il coinvolgimento o meno dei ‘gentili’.
Dice ancora il Libro, alla fine:

Quando morì sua madre, Tobia la seppellì accanto al padre. Poi lasciò Ninive e andò ad abitare con la moglie nella Media. (…) Prima di morire venne a sapere della fine di Ninive. Vide arrivare in Media gli abitanti di Ninive, deportati da Ciassare, re della Media. Egli lodò Dio per tutto quello che aveva fatto agli abitanti di Ninive e dell’Assiria. Fu contento che Ninive avesse avuto quel destino e benedisse il Signore. Amen. 14, 12, 15.

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La parete diventa ombra convessa e si resta senza appoggio.

Sì, è vero, la concezione del tempo era tribale; era normale riferirsi essenzialmente all’interesse del proprio gruppo quando si parlava di bene/male, giusto/ingiusto. Ma come è vicino all’oggi di tanta Europa, di Trump, della politica muraria di Israele & company  la lode finale di Tobi!
Tutto torna, allora, tutto era ed è come Paolo  racconta. Soltanto diverso lo sguardo, autonomo da strati e strati di letture che vedevano solo i pesci del trompe-l’oeil. Non è tanto per la contestualizzazione all’oggi che opera Paolo, la quale annoda alcuni fili intrecciati dalla storia sulle terre di quella vicenda. E’ più per un’operazione che chiamerei  ‘tergicristallo’, che, cioè, ha tolto alla vista l’abitudine a vedere solo pesci. Voglio dire che Paolo non cambia la storia:  quella resta com’è stata narrata, gli atti, i gesti, le scelte; è la profondità dei contorni che cambia e quindi quello che diventa sfondo e quello che emerge in superficie: anatre invece che pesci, per cominciare. Poi anatre e pesci in un’alternanza aperta, di antitesi e dialettica. Cambiano anche i luoghi della psiche dove Paolo va a sollecitare, incidere. Leggiamolo. Dopo, andate a rileggere il Libro di Tobia della vostra Bibbia.

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LIBRO DI TOBI

( fischiettando Garry Owen come fosse un canto palestinese )
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Tobi seppellisce i cadaveri
non lo fa per mestiere
ma perché non sopporta la solitudine di un uomo finito.
-Parla – gli dice quando gli è sopra.
-Vai a casa a mangiare e dormire -.
Nessuna risposta.
Però lui ci prova ogni volta
anche se l’uomo non ha più la testa.
Tobi lo fa per rispetto alla persona che è morta.
E pensa che gli uomini non parlano molto,
ma urlano e l’urlo più forte è la guerra
che poi se li prende.
A volte chi è morto è una donna con labbra socchiuse
a volte un bambino con gli occhi stupiti.
-Ma svegliati – dice alla donna.
-Ma gioca – dice al bambino.
Siccome non crede sia morto
lo solletica dietro l’orecchio
per essere proprio sicuro.
*
Se trovano Tobi che scava una fossa
lo impiccano al cornicione.
Lo impiccano in alto così che nessuno gli possa parlare.
E Tobi lo sa che sarebbe più solo
dei morti giù in terra
ma non può farci niente.
E’ più forte di lui
che è forte perché un morto è pesante da sollevare
e lui lo solleva.
Più è piccolo il morto e più le sue braccia fanno fatica
e quasi si spezzano tanto è pesante.
*
Sono due uomini morti
uno accanto all’altro.
La stessa lingua da vivi
ma non si parlavano.
Non hanno divise diverse
uno ha una maglietta con coca cola
l’altro con un big mac mezzo mangiato.
Sono uguali da morti
e forse lo erano anche da vivi.
Ma non si parlavano e si sono uccisi.
Quello con la coca cola mangiava big mac.
Quello col big mac beveva coca cola.
-Svegliatevi! Svestitevi! – dice Tobi.
Poi scava una fossa più grande
e li fa scendere insieme.
Li mette abbracciati per sempre.
*
( disimpegnandosi )
continuare  il silenzio è una maledizione
non so se sono muti gli altri o sordo io
ho lasciato il pranzo
ed ho seppellito l’ultimo
strangolato al centro della piazza
così mi sono steso nell’orto e  dormendo ho aspettato i passeri
le loro piccole merde bianche sugli occhi
ora  non vedo che bianco
un giorno la bile del pesce o dell’angelo mi scollerà
vedrai
non vorrò più vedere che al di là del mio naso
la mia pace domestica
*
(Come donne che cantano davanti a lavatrici in funzione)
Piega il capo e dice sì,
ma appena lo sposo le si avvicina
morto stecchito dal letto rovina.
Sette mariti hanno scelto per Sara
e tutti finiscono dentro una bara.

Piega il capo e dice sì.
Accanto al letto s’accuccia Asmodeo
uccide il marito, ne fa un trofeo.
Sette mariti hanno scelto per Sara,
non uno finisce in piedi la gara.

Piega il capo e dice sì,
ma il demone ghigna e scuote la testa,
lo sposo stramazza e non c’è più festa.
Sette mariti hanno scelto per Sara,
non fanno in tempo a dire: “mia cara…”.

Piega il capo e dice sì.
Il primo ed il terzo vecchi e bavosi
di prender la vergine sono i più ansiosi.
Sette mariti hanno scelto per Sara,
pace dei sensi Asmo’ gli prepara.

Piega il capo e dice sì.
secondo e quarto son giovani e forti,
si slacciano in fretta e sono già morti.
Sette mariti hanno scelto per Sara:
in fretta la morte il giovane impara.

Piega il capo e dice sì.
Il quinto ed il sesto sono borghesi
e Sara è il profitto dei soldi spesi.
Sette mariti hanno scelto per Sara:
Asmodeo raìs di questa tonnara.

Piega il capo e dice sì.
il settimo infine è solo un ragazzo:
la morte lo toglie dall’imbarazzo.
Per Sara hanno scelto sette mariti
e tutti all’inferno sono finiti.
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( annuendo e ammiccando )
lo chiamano Asmodeo
ma moltitudine è il nome del demone
mille e mille donne che piegarono il capo e dissero sì
e Sara docile figlia
tutta la rabbia negata
dalla dovuta obbedienza
ha trasformato nella nera mano protesa
inconsapevole porta sbarrata
nell’unghia affilata che trafigge il cuore
di chi pretende senza dare
*
( tempo primo )
La serva  le sputa e dice:- Pazza!
E’ il tuo malocchio che gli uomini ammazza!
Nella stanza del padre Sara sale,
vuole impiccarsi, finirla col male.
Ma pensa che il padre avrà disonore:
di darle la morte prega il Signore.
*
(intermezzo )
Tobi tenendosi stretto al muro rientra  dal cortile in casa e nello stesso istante Sara esce dalla stanza del padre. Soglie.

*
( facendo le parti )

Tobi ha un solo figliolo di nome Tobia e Tobia ha un solo cane di nome Tobi.
Tobi:- Io sono cieco. Tu sei solo un ragazzo. Ma devi andare in Kurdistan dal mio amico Gabaele. Non è curdo. E’ uno dei nostri. Gli ho lasciato in deposito dieci monete d’argento e tu le riscuoterai.
Tobia:- Non mi conosce. Non vorrà darmele.
Tobi:- Guarda questo foglio strappato a metà. Combacerà perfettamente con la parte in suo possesso. La mia firma, la sua. La strada per il Kurdistan è lunga e poco sicura. Devi trovarti un compagno.
Tobia:- Mi accompagnerà Tobi. E’ astuto e fedele.
Tobi:- Figlio di un cane!  Hai fatto bene a chiamarlo col mio nome. Rinsalda i vincoli della famiglia. Aguzza le orecchie, fiuta intorno. Ma un cane segue, non indica. Sulla strada trova un compagno che ti faccia da guida. Bada che sia della nostra stirpe. Controlla.

*
( stravedendo o come può innamorarsi un ragazzo )
Non hai occhi che per lui
senza neppure averlo guardato
il tuo compagno trovato per strada
è una vera guida
se ti chiedessero è alto è basso
è grasso è magro
il colore degli occhi o i capelli
chi sa
un contraccolpo di fiducia
ti fa vedere soltanto
un bel gonfalone gonfiato dal vento
quando gli hai proposto di pisciare insieme
sbirciando hai potuto vedere una circoncisione di luce
uno spruzzo di arcobaleno
ma la tua carne scoperta ha creduto
al prodigio di un fratello maggiore
e la famiglia si è rinsaldata
mentre lui dorme
il cane che di giorno uggiolava
si accoccola e vi unisce
al mattino mentre ti stiri
lo trovi già pronto
e prima del caffè ti chiede di metterti dietro
e di tirare su forte la zip del corsetto
ti fa impazzire quando per divertirti
si esibisce nel numero del gallo
che piega a scatti le lunghe braccia
e intorno mille piumini gli partono nell’aria
non hai il coraggio di chiedere il trucco
e Tobi gira e salta impazzito
e a qualcuna ci arriva
la ingoia e sternuta.
*
( come un viso che si infrange o alla Boccioni )
non so se mi prende
nel gorgo tutto si scompone
scomposta l’acqua in sprizzi e goccioline
il mio corpo scomposto cerca di fuggire
scomposto dai riverberi dell’acqua
un pesce squame scomposte
mi morde i piedi e cerca di scomporli
ma il compagno non si scompone
e compone un piano per il pesce
mi ricompongo
i miei piedi fuggenti sono saldi sul greto
ed ho il pesce siluro
sicuro tra le mie mani grate
sconfitti i denti e le correnti
*
(intermezzo)
Per andare in Kurdistan ci vuole un angelo dalle ali raccolte, un ragazzo ed un cane.
Con un pesce siluro si va più spediti.
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( come un ragazzo che si circoncide da sè )
Sette mura di cinta ha Ecbatana
sette mura di sette colori
colore di sangue
colore di voglia
colore di fame
colore di soldi
colore di lutto
colore di terra
colore di tutto
Tobia le attraversa
come se passasse ad una ad una
la morte dei sette mariti
e da ragazzo che era
diventa un uomo stirpato
e vuole rinsaldare la famiglia
*
( come se si andasse al proprio matrimonio armati di kalashnikov )
Sara mi è sorella ad Ecbatana
Sara è figlia di Raguele
fratello di mio padre ad Ecbatana
Raguele mi  ha ospitato ad Ecbatana
e secondo la legge della stirpe
mi deve dare in moglie mia sorella.
Bada Raguele!
La legge dice che lei deve sposare
tra i consanguinei quello più vicino
ed io sono il fratello
pena di morte per il padre
che la legge non rispetta
se non volessi darmi Sara come moglie
ma Raguele ha riguardo per la legge della stirpe
e ora io ho paura della sorella Sara
e dei suoi sette semi sputati nel deserto
ed il compagno mi ha dato le interiora del pesce catturato
da bruciare su braci prima di abbracci e baci
e appestare Asmodeo e scacciarlo e affogarlo.
Pregheremo il Signore prima di unirci
e faremo l’amore non per vizio ma per forma
e avremo figli che saranno fratelli
e tutti ci ameremo come in un carrarmato.
Solo una lacrima rimane appesa
alla forca degli occhi
quando apro la porta della stanza nuziale.
*
( annuendo e sputando )
ti lascio credere siano stati i fumi del fiele
a scacciare il demonio
ma è stato il miele versato dai tuoi occhi a sciogliere me.
Non so se di terrore o di pietà verserai una sola goccia di miele
e poi sarai come tutti gli altri.
Per un istante credula
quella goccia d’oro mi legherà sino alla morte
mi spingerà la testa stupida
a piegarsi in tutti i mille sì
di quella goccia serberò il ricordo nei giorni di festa
perché tutte ronzeranno intorno a dirmi che va fatto
ma nei giorni feriali
arato il pavimento
lucidata la terra
i seni prosciugati dal marito
una dozzina di figli a fottermi
invocherò il mio demone andato
vero assoluto amore
mia ribellione
e fiori rossi colti lontano dal grano
getterò
all’ombra resa aguzza dalla sera.
*
( maledicendo gli stranieri )
Tobi nel buio si è  agitato
ha sentito già da lontano
il cigolio del cingolato
ha chiamato la moglie che dormiva
nel cortile arriva il carramato
adorno di fiori d’arancio
scendono di slancio Tobia e la sua guida
scende Tobi il cane
scende Sara in catene
che a suocero e suocera
deve volere già bene
la famiglia è rinsaldata
i vincoli sono vincolanti
gli affetti affettati
sentimenti economici ed economia dei sentimenti
solo padre Tobi sta sulle sue
perché non vede se il compagno di Tobia
sia curdo o della sua consorteria
ma quando il compagno gli dà dieci monete
che lui riscosse da Gabaele
lo riconosce come l’angelo Raffaele
manifestato in tutta la sua potenza commerciale
e ora che ha stirpe e pensione
gli chiede di sciogliere le merde d’uccello
e di vedere la sua comfort zone.
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( liberando le ali )
Angelo Raffaele:- Ecco. Ti sfrego il pesce puzzolente sopra gli occhi. Stupido uomo, vuoi riaverli per vedere uno straccio di pace domestica e la coperta tarmata della famiglia. Gli occhi sono fatti per vedere la guerra. Io guarisco. I cadaveri che ti sei stancato di seppellire verrano qui a cumuli.
*
( come in una disputa tra matematici)
Tobi ( tornato alla vista):- Hallelujah! Ogni problema alla fine è risolvibile!
Tobia ( dando delle pacche affettuose al carramato):- Sì! Non ci sono più problemi!
Sara ( solo pensandolo):- E’ evidente che i problemi esistono…
Raffaele:- Io vi dico nel nome di Gödel che non tutti i problemi sono risolvibili. Dio dovrebbe aver creato tutto, dunque anche i problemi. Ma Dio non vuole o non riesce a risolvere i problemi? Nel primo caso sembra che non se ne occupi e lasci la loro difficile risoluzione agli uomini. Nel secondo caso i problemi sarebbero sorti prima di Dio e ne smentirebbero l’esistenza.

Tobi, Tobia e Sara si guardano intorno smarriti. Sara sorride tra sé.
*
( ultime parole di Raffaele )
Io sono oltre l’uomo perché sono ogni uomo. Io sono oltre le stirpi perché ho in me il sangue di ogni stirpe. Io sono il Meticcio. Questo vi dico: è ora di andare oltre le tradizioni e di spezzare il guscio del passato. Io non guarisco piccole ferite. Io trascino via tutto.

Tobia lucida il carramato. Sara lava i piatti. Tobi abbaia a Tobi che abbaia a sua volta.

Note al testo

1- Emma Jung, Marie-Louise von Frantz, Psicologia del Graal, Giovanni Tranchidia Editore,  Milano 2002, pag. 47
2- 
Ibidem, pp. 39-40
3- Paolo Gera, L’ora prima, Rossopietra, Castelfranco Emilia, 2016
4- La Bibbia in lingua corrente,
Editrice Elle Di Ci, Leumann, Torno 1985, Tobia, pp. 1125- 1140
5– 
Ho in mente la xilografia di Maurits Escher, Convesso e concavo, 1955
6– Ho in mente la xilografia di Maurits Escher del 1938 Cielo e acqua.

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Paolo Gera, modenese d’adozione, ma ligure d’origine, insegna a Carpi e spesso dimora a Genova, dove si è laureato in Lettere Moderne con Edoardo Sanguineti. Da sempre attivo in cose di teatro, interessato a molteplici ambiti culturali e alle loro connessioni, per cui organizza eventi, ha pubblicato i romanzi: Zaum, Edizioni Clandestine, 2002; Il calore sbagliato, on line copylefteratura.org 2013; la silloge di poesie L’ora prima, 2016. Più recentemente si è dedicato alla lettura critica di testi letterari, saggi, e di scritture in genere, che compaiono nei contesti più vari, dai muri metropolitani al webb. Il testo di Paolo Gera qui presentato è inedito.
(vedi anche https://cartesensibili.wordpress.com/about/)

*

Riferimenti in rete:

Libro di Tobia

Fai clic per accedere a 00164ita_978-88-89227-73_tb.pdf

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