PASSAGGI CON FIGURE- Elianda Cazzorla: Il colore delle conchiglie

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Tu sai cos’è la perdita?

Io no. Ma so che dopo hai un respiro incompleto, un respiro che non fai fino in fondo perché temi che Qualcuno possa portarti via anche quel po’di soffio che ancora ti rimane nel profondo del tuo essere, nel segreto delle tue viscere. Hai paura che  quel Qualcuno te lo strappi con la stessa violenza con cui si strappa una garza sfilacciata attaccata al pus di una ferita aperta. E c’è dolore.Perché hai strappato dal cestino della bici la mia borsa? Dentro c’era la foto di mia madre e la mia! Avevo diciotto anni su quel pezzo di carta.

– Ada ha fatto bene a seguire i miei consigli: il taglio corto, un po’ sfumato, la collana d’argento, per dar luce al viso, la maglietta nera, per far risaltare gli occhi scuri, sul fondo bianco dello studio… È il contrasto che ci vuole quando si scatta… Clic. Perfetto.-

Aveva detto il fotografo, dopo il clic. Fanno sempre così, ti parlano perché tu ti distragga e non pensi che sei in posa per una foto. Devi essere il più naturale possibile. Anche il dentista fa così, ti parla mentre scava e non puoi nemmeno rispondere. O fare qualche cenno col capo. A loro importa che tu sia distratta. Anche a te è servito questo…Vero? Io pensavo ad altro mentre pedalavo… e tu ne hai approfittato.

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Mia madre in quella foto aveva quattordici anni. Era su una banchina d’un porto, il mare scuro. Indossava il solito vestito di tante altre foto, marrone con il colletto bianco e le punte a becco d’oca.

-… per via del millerighe, non ce n’era e tua nonna l’aveva ritagliato da un altro vestito, ma la stoffa non bastava per le punte e così: zacchete!, un bel collo a becco d’oca. Collo con le punte quadrate. Altri tempi c’era la guerra e mancava tutto. Il caffè lo facevamo dalla cicoria. Era amaro… Ma questo te l’ho detto già tante volte. Però ero giovane: che bel sorriso!-

E compiaciuta si guardava la sua foto: prima l’avvicinava agli occhi e poi l’allontanava, sorrideva, apriva le spalle e acquistava un’altra espressione. Sembrava  più giovane, anche se non aveva più tutti i denti di quel giorno.

E quelle due foto, quand’ero in viaggio, nelle sale d’attesa di stazioni sconosciute, le mettevo vicine. Per far passare un po’ il tempo. Come nei cruciverba, intrecci le parole e hai nuove parole. Io giocavo con le immagini e cercavo una nuova immagine. Una foto accanto all’altra, Ada e Grazia, prima a destra e poi a sinistra, mamma e figlia, una sotto l’altra, a metà una sull’altra. Il risultato? Un viso impossibile, metà suo e metà mio. Nessun intreccio. E ora che mi hai portato via le foto, non potrò più fare quel gioco e devo ancora trovare la risposta: quanto c’è di diverso tra lei e me, quanto c’è di lei in me?

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Perché mi hai tolto il biglietto di saluti di fine anno della I B, con tutte le firme delle mie alunne. Carissima prof., noi ci prostriamo alla sua divinità. Le vogliamo bene anche se studiamo poco. E la mia foto con Mar, Jo e Binno, davanti alla torta-grattacielo, siamo tutti sorridenti e felici, un po’ come nelle favole. E come farò con tutti i numeri di telefono persi? I miei amici come li rintraccio, senza agenda?

Non hai portato via solo la mia borsa: hai strappato il mio respiro dal pube come garza sfilacciata. La ferita è aperta ed io non riesco a dormire. Per questo ti scrivo, in questa stanza d’albergo. Mi viene quasi da ridere: lettera ad un ladro. Chi sei?  Qual è il tuo indirizzo?

Avevo paura del silenzio di queste mura sconosciute. Avevo paura di chiudere gli occhi e vedere sul soffitto il tuo viso tra le chiavi del portone e della porta, del cancelletto e del garage, dell’auto e della bici. Il tuo sorriso beffardo nel cerchio delle chiavi e in lontananza una voce ironica:

– Giro. Giro tondo. Quant’è bello il mondo!

Avevo paura e non salivo. Son rimasta a dir sciocchezze nella hall. E ora  potresti andare a casa e rubarmi tutto. Ancora. Come in quella calda mattina di settembre, in cui cercavo di riconciliarmi col mondo appena sconfitta da un raggelante:

– Non si preoccupi.

Non era servito vestirsi con particolare cura, scegliere gli abbinamenti di colore tra camicia e pantaloni. E  anche la borsa! Non avevo ottenuto nulla. La preside, col sorriso meccanico, che  fa tutto per il tuo bene, non mi aveva dato le classi che avrei voluto.  E mentre pedalavo pensavo: e chi se ne frega, a casa c’è mamma, anche se per pochi giorni, e mangeremo la pasta al forno, tutti insieme.  Ora mi fermo in merceria e, come m’ha detto,  compro cinquantaquattro bottoni per le federe del corredo. Saranno vent’anni che devono essere attaccati. Venti. E le federe sono ancora nuove e quante tovaglie! Ventiquattro. Quando le userai? A pranzo mangio un toast, perché gli altri non ci sono. Niente tovaglia. A cena, con Binno che macchia e il tempo che non c’è per lavare, meglio la tovaglia di plastica, facile da pulire. Oggi invece, pasta al forno, tutti insieme su una tovaglia di cotone cento per cento. Alleluia! E chi se ne frega se quella… preside  mi dà quello che non voglio. E  poi tra due ore parto. Via da tutti, a Bellaria a respirar zefiri di aggiornamento.

E lì in quell’incrocio tra via Falloppio e via Belzoni, in quell’incrocio scoppiettante di ovuli maturi, lì proprio lì, approfittando della mia distrazione, ti sei avvicinato e con repentina destrezza mi hai accarezzato. Macché! Lì proprio lì,  con repentina destrezza, mi hai strappato la  borsa.  Facile. Io in bici e tu un motorino.

– Al ladro! E` un ladro. Acchiappatelo!

Devo partire, non è giusto, ho appena preso i soldi dalla banca. Sono tanti per me.

– Afferratelo!

E dietro di me una vespa con un signore di mezza età. Mi sorpassa e  urla:

– Non si preoccupi, lo prendo.

Pedala, pedala. Ma dove si è ficcato, con tutti questi portici. L’ho perso di vista. Eccolo. Si ferma una Passat.

– Signora, cosa le è successo?

– Vede quel motorino, alla guida c’è un giovane con un kway viola e verde. Ha in testa il cappuccio. Quel giovane m’ha rubato la  borsa.

E mentre parlo ti vedo sbucare. Hai cambiato direzione. Giro la bici, mi metto in mezzo alla strada. Sei abile, mi scansi. E incontro il tuo sguardo. Un’espressione tagliente. Hai gli occhi blu. Un attimo e corri via veloce. Dietro di te la vespa, la bici, la Passat. Tutti dietro di te. Qualcuno ti prenderà? Cavaliere inesistente con l’elmo in nailon viola. Siamo quasi tutti vicini all’incrocio, lo stesso di prima. Abbiamo fatto un bel giro.

Giro. Giro tondo. Quant’è bello il mondo!

Mi fermo. Non ce la faccio più. Ho il fiatone. All’incrocio scoppiettante li ho persi tutti.

Tutti giù per terra. Dove sono andati, a destra o a sinistra? Possibile che fossero tutti d’accordo. E ora? Vado in banca? Telefono a casa? Vado in questura? Forse lo prendono, forse non ho perso le chiavi, la patente, la carta d’identità, il tesserino del codice fiscale, due penne: una in lacca cinese e una stilografica Columbus.

E lui scrive: ha la faccia da poliziotto, i capelli corti, lo sguardo fermo, senza titubanze. Un po’ come il tuo. E gli dico:

– Mi scusi ma sul portachiavi c’è scritto Miami, una sola parola, la capitale della Florida, e non mi ami, mi staccato da ami, voce del verbo amare, come lei ha scritto.-

– Io scrivo quello che lei mi dice. Quali erano i numeri del libretto d’assegni? Me li elenchi.

– E se le dico che non li ricordo?

– Ok Me lo dirà poi. C’era altra roba in quella borsa in pelle scamosciata beige con profili in cuoio che le è stata asportata in via Falloppio.

– Sì. Ma che importa fare l’elenco. Non ritroverò più nulla.

– Io scrivo quello che lei mi dice. Che tipo di motorino, era?

– Tipo Ciao .

– Era un Ciao o un tipo Ciao? Cosa ha letto sulla banda trasversale?

-Cerchiamo di ricostruire. Io sono in bicicletta e inseguo un malvivente come lei lo chiama, che per me ha la faccia di un normale, non è drogato, né è criminale, o almeno segni sul cranio non gliene ho visti. Mi scusi non ho fatto in tempo. L’ho inseguito fissando Piaggio, scritto sulla sua sella, ma non sono riuscita a leggere Ciao sulla banda trasversale del motociclo… e non so nemmeno se potesse esserci una banda trasversale… e forse non c’era nessun motorino… forse un ladro, camminando,  mi ha strappato la borsa e mi ha mi ha detto: -Ciao! Ma era un ladro? Non è che fosse un passante? Perché mi vuole indisporre, io sono stata derubata. Mi è rimasto impresso il suo viso nella sfida, il modo in cui con le mani stringeva il manubrio, il  sorriso di chi crede in sé. Ma questo non le serve, vero? Vuole…

– Basta. Ha parlato troppo. Vorrà dire che lo riconoscerà in tribunale!

Non ho il tempo di riprendermi, con un sospiro, da quella minaccia, che mi si avvicina un altro poliziotto. Mi sento il viso in fiamme. Vorrei solo alzarmi e andarmene… Cosa vorrà? Mi chiedo. Lo guardo in viso. É sorridente, ha gli occhi buoni, forse un po’… strabici.

– Signora, tenga.

– Cos’é?

Gli chiedo incuriosita. Mi sfoglia davanti agli occhi un libricino dalla copertina blu e gialla, scorgo delle vignette. Non capisco.

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– Signora, si chiama Occhio, se lo studi  attentamente scoprirà, é scritto qui, quattordici situazioni da gestire, diciotto regole d’oro da applicare, novantasette consigli da utilizzare.

– Mi scusi, ma continuo a non capire?

– Guardi qui a pagina tre. Guardi il disegnino. Cosa vede? Una vecchietta a cui viene strappata la borsetta. Lo scippatore é in motorino. Una situazione simile alla sua. Bene, se legge nella pagina accanto, scoprirà quello che non deve fare. Stia a sentire: Gli scippatori generalmente operano in moto o motorino, quindi, per quanto abili e spericolati, hanno bisogno di un minimo di spazio per agire e di manovra per il mezzo; fate il possibile per non lasciarglielo.

– Ha capito? Non lasciare lo spazio di manovra al ladro.-

– … … …

– Perché mi guarda così? La cosa migliore é che si compri un marsupio. Le sto dando un consiglio da fratello. Nel nostro Occhio c’é scritto: Si tratta di cambiare alcune abitudini, abbandonare quelle non più compatibili con l’attuale condizione di vivibilità delle nostre città, assumere dei comportamenti che via via diventano meccanici, in sintonia con le mutate esigenze. É chiaro, stia più attenta e vedrà che non avrà più scippi.

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Tre giorni fa ero in riva al mare e ti ho visto scendere dalle nubi a bordo del tuo Ciao. Nel cielo livido a chiazze d’ombra, quando appariva la luce del sole, le nubi mandavano bagliori blu, come lame appena affilate da un arrotino pignolo. Sottili e taglienti. Allora ho sentito il tuo sguardo sulla mia carne. Con la mano ho fatto visiera davanti agli occhi e ho mandato via la tua immagine. Ho raccolto una conchiglia nera, piena di sabbia umida. L’ho scossa un po’ e ne ho accarezzato i solchi. Chissà in quale solco sono. È dunque questa la vita? Una conchiglia nera piena di sabbia umida. E la tua? Sei sempre sul motorino? Vivi sempre rubando? Mi ha detto il poliziotto che sei metodico: ogni lunedì quattro borse. Poi riposo. Mercoledì quattro. E riposo. Furti a singhiozzo. E i singhiozzi delle donne che derubi li hai mai sentiti? Sono sommessi? O urlano le donne. Forse tu hai altri singhiozzi e li nascondi dietro quello sguardo tagliente?  Ma perché devo capirti io e non puoi farlo tu? Ieri ho raccolto un’altra conchiglia,  era grigio perla. E stamattina una beige. Le ho messe vicine, sul tavolo. E` strano, a distanza di  ore, son quasi diventate tutte dello stesso colore. Pensi anche tu che il tempo possa cambiare il colore al dolore, come i giorni alle conchiglie?

Un saluto

Ada

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spiragli

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Elianda Cazzorla
( testo e immagini)

2 Comments

  1. Accidenti Elianda quanto sei originale !!!!! Mi piace il tuo modo di scrivere così inusuale !!!!!! È veramente molto personale !!!! ( originale , inusuale , personale :…. ale , ….ale , ….ale) . Volevo comunque dirti Che mi piace !!!!! Ciao Cara Elianda ! Grazie per averti Inviato lo scritto di Ada. Buonanotte !! Lia

  2. Ciao Lia! Scopro solo ora le tue parole e ti ringrazio. A volte sai, mi chiedo se scrivere non è solo un bisogno narcisistico… e allora mi dico che non serve proprio a nulla. Se invece dà qualche riflessione a qualcuno/a e piacere a qualcun altra/o… allora diventa felicità. Grazie

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