ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: “L’ingombro” di Simonetta Sambiase – Note di lettura

ariel de la vega

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C’è folla
nel ripostiglio gli abiti si stanno spintonando
spuntano alla rinfusa e vado fraintendendo
longitudine linguaggi e sei ante d’armadio
pieno di lavanda che toglie le tarme all’esistenza
i piumoni cadono dal sonno
arrivano i piedi freddi e si scalpellano alle scarpe
spazi ristretti e scampoli fuori epoca tutto un trambusto di tempo che ci fessura gli occhi
e che ci si alzi o meno dalle doghe dei letti
si andrà a finire male
il quale (poi ci prende) ad una ad una lentamente
mentre stiamo mangiando
e ci discolpiamo e perdoniamo
e beviamo il caffè

simonetta sambiase- l’ingombro pag. 23

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Appena apri la porta. Come un’aorta grossa t’investe ed è immediata la tua resa o la presa, d’atto e di coraggio, per assumere tutto. Perché di tutto e più di tutto c’è, dentro, l’universo umano, fatto di intrighi, di caos, di voler dire e non dire che confuso, un organismo copioso, ricco,  si implementa giorno dopo giorno e non si riesce a stragli dietro, figurarsi davanti! Nemmeno davanti ad uno specchio ciò che si vede è un io solo. Si sbaglia a voler credere d’essere in un cantuccio, minimo minimo c’è un rumore, un odore, o un topo-s(ssssssss) che ti assale e tu, in quel luogo, sempre originale, nel sottofondo grigio a volte ceruleo di un codominio irrispettoso, ti senti a cavalcioni di un aereo pensiero, che ti prende e disarciona dalle perdite e dalle rendite, dai rendiconti e dalle prevendite, dalla consuetudine inesatta di voler dire pane al vino e viceversa, perché non esiste più una cosa con la testa e sulla coda c’è sola una cometa che ci aspetta. La morte, un solitario brillio di un attimo che subito ti metti dietro la schiena, perché fa paura vivere con lei davanti agli  occhi e allora si dà giù di bisturi e lifting, di tinture e massaggi, di spa e spatapam e la palestra e la dieta, la corsa, gli abiti e i tacchi che allungano…E mentre metti punti all’indigesta presa di contatto con la resa inevitabile ti accorgi, a volte, non sempre , no no, di come sia sommaria la nostra vita per capi senza sommi e sommità e si aspetta, il più delle volte si aspetta, che tutto passi! Come se non fossimo noi gli artefici e  gli artifici che tanta artiglieria mettono in campo per destabilizzare il fermo stantio mondo di un ieri che sta stretto, troppo pieno di doveri e rispetto!
Intanto in co(n)fusione ci andiamo tutti, perché nascono alfabeti e gerghi tutti i giorni e se ascoltituttoinsieme, come capita spesso, chi parla ad alta voce, chi dentro la cuffia destra che ancora non hai tolta, dall’altro orecchio al telefono tuo figlio o la suocera, davanti agli occhi la pubblicità di una macchina magnifica e in sottofondo un marocchino o un moldavo che parla la sua lingua natale, finisce che rimescoli tutti e ne esce un’alfabetizzazione leopardata, dove l’oggetto si fa aggettivo o aggettante un verbo o un abbrivio, un brivido di fumo , che a sua volte si assume a colazione come un avverbiale  veleno, mentre il più sottile sta dietro il tuo paio d’occhiali che usi come antifurto contro chi vorrebbe scorgere e rubarti i tuoi cedimenti più intimi. Oggi, più caso fai al tuo fisico, più ti sfili da te stesso, ti sfidi a perdere chili e nel frattempo immetti ere di solitudine, tra muri spessi dove la bici è una cyclette che non ti porta mai da nessuna parte e tu che sudi e coli non respiri aria di campagna, non ti tuffi nel mare ma in una vasca che ti costa al mese quasi quanto un quarto di te stesso, perché noi tutti finiamo macellati ogni attimo, non lo stipendio,che è un compendio per dire  niente e meno di niente, se non portare distante proprio da quel tu che cerchi tanto, ma oltre tutto. Non sai più cosa dire, nemmeno tra te e a te stesso, perché l’ingombro si è fatto grosso grosso, un aneurisma al centro dello stretto in cui tu non puoi e non vuoi passare, preferisci remare in alto mare. Magro magro, segaligno e duro, un corpo crudo mentre il curdo da lontano si fa vicino dentro il pc. Un gran casino o un casinò royal, dove ti aggiri alla ricerca di un attimo, da appuntare o in cui puntare un azzardo, o di metterti in pausa e invece ti rattristi,ti ingrigisci e ti fai un gessato, doppiandoti nel petto, perché nell’angolo c’è anche la menopausa o la demenza senile e no, non si può proprio accettare di invecchiare, ingrassare, imbiancare…meglio morire, in un hotel sorbire il sorbetto della fine mentre uno sconosciuto ti misura la pressione.
Tutto starebbe nell’infischiarsene ma, pochi, pochissimi lo sanno fare e non è ovvio per niente perché da ogni parte sei soggetto a spinte, che ti rendono spine dentro la testa e ti crocifiggono come è già stato più di una volta fatto.
Tutto ci raggiunge e ci rotola addosso, srotolando la corsia degli incurabili che siamo tutti, che tutti abbiamo in corpo perché siamo esseri terrestri di natura ma originariamente siamo cosmici, per questo possiamo tradire o tradurre regole in gole di re e cambiare la mela del male con l’arancia originale, possiamo fiorire una terra nuova se solo diamo aria a questo intrigo del cuore e valvola per valvola , stantuffo per stantuffo ci intrufoliamo un po’ d’amore e di coraggio, che sbaragli l’orrendo e si rimiri l’orrido di un pozzo che non ha fondo ma non azzanna né ammazza, semmai ci ricicla in una continuità che non è storica o stoica ma vita che ci eguaglia. Perché alla fine qualsiasi cosa tu faccia, sempre tu senti, diceva in Storie di mediocre millennio l’autrice,

 senti che fuoca e si muove
di vita segretissima flussa una galassia nera di sterno
si fa la strada tra costole di spine
e stanno a giurare tutti di non essersi mai smarriti
né per sorte né per satellitare rotto
questi cittadini del nuovo mondo millenario tacciano spesso
e si rimane a casa ad spettare che il peggio passi
di bene in meglio e a due a due
come noi due che ci perdiamo di smog arieggiandoci
in cortili stretti di parenti
arrivati all’improvviso per spedizione postale
che ci invadono la casa e gli affetti e ci travolgono
così che per confusione accarezziamo il gatto invece che il figlio
che chissà dove è apparso, di conforto e stupore,
insieme a parecchie vite nuove
già tutte fredde e dal corpo invecchiato.

Ma ciò che importa, che importa davvero, ribadisce nell’ingombro che noi siamo a noi stessi, è che se anche …

Hai scacciato il mondo ora?

Lui non ti ha scacciato dai suoi pensieri

                                           Ti tiene e ti tiene ed è questa la meraviglia.

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Da bere, tutto di filato  un liquido-libro che brucia, scalda, ustiona e ti mette sottosopra senza che tu possa opporti alla sua forza, una specie speciale, una viva ferocia d’amore che dal tuo sempre, altrove entra ,esce, va, fuori, rientra, dentro madentro assaje.

fernanda ferraresso

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matthias brandes

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#SaveAshrafFayadh

E come debbo dirlo a mio figlio
che c’è la confusione e ci sono i dolori
che c’è un carnefice ogni cento vittime
e la macchina del mondo gli si muove attorno
annudata in una foto porno che così nessuno la gira
e il male resta sempre acceso e silenzioso
sono gli altri a mandare lamenti, noi affrettiamo i passi

i martiri sono la noia di questa cultura
ma se sto zitta, dovrò dire pure qualcosa
a chi tra noi s’attaccato addosso il coraggio
e chiama tutti amico e amici,
finanche gli uomini segnati o le donne scese dalle zattere
e pare ci siano celle segrete
dove si mettono a far muffa certi matti
che non se sanno al sicuro in un confine,
a far recite di stivali e mitragliette
e di motovedette e paroloni d’ onor di stato .

Ci sono eroi, figlio mio, che danno a tutti il bacio del buongiorno
anche a quelli che hanno costretto ad un solo pezzo di cielo.
Ed adesso, che pensiamo alle offese
mentre ci sono città che gridano
e paesi che giocano solo al lotto nelle ore d’ufficio
mostriamoci generosi o almeno tentiamoci
che tutto arriva piano e ci prende di faccia senza più ingannarci
ora che finalmente le vie brevi sono diventate lunghe
mettiamoci a dare un po’ d’onore almeno ai buoni e agli infelici.

*

Chi fiore, chi è stato strappo
ognuno cede la terra a chi è appena nato
un tale confondersi figlia e figlio con i miracoli
e gli sciocchi
negli atti concavi e convessi
per amore tutti cercano calore
che non è mai abbastanza
come la giovinezza e i treni lunghi dove incontrarsi e i cortili
abbiamo avuto quella grazia di guardarsi chiamandosi a lungo
salvo un ricordo nel muro ma si allaga la memoria
che mi sbalordisce di passati e lontananze nello stesso tetto
l’adolescenza è stata il mio paese di cuccagna
cinquecento nomi appena nati per chiamarti
rispondevi che ero le tue braccia anche appesa ad un chiodo
per sempre
io sono la tua Alice scalza
il punto di carne marzolino mese dopo anni
qui sono
fra barbe bianche e tinti capelli sulle spalle
è passata ogni sete
in un’acqua lenta che dai tubi ci scende ancora accanto.

*

Sono gli oggetti che hanno cura dei ricordi
i misteri gaudiosi delle nonne e gli alfabeti degli affetti
ne rimane una traccia negli occhi carbone o cielo
di fosforo, tanto azzurri che rivoltano il fuoco dei sensi
che poi vanno sempre più veloci e in fuga
che ci fanno spellate leonesse mezze zoppe
a svernare di odissea in odissea senza più fretta
il caos è passato e il giro della terra che pesa
non ci risarcisce manco il nulla se non tutte le scuse
ci perdoniamo poco e sempre
o ci si perdona sempre di troppo nulla
che ci ha migrato la via e le speranze antiche.

 

8 Comments

  1. Sono doppiamente emozionata. In primis, perché considero le Carte come uno dei luoghi alti della poesia ed esserci ospitata è per me un onore “alto”. E poi per la lettura di Fernanda che ha la proprietà dei moti dell’anima che ben appartengono all’Ingombro e che ogni volta, in ogni scritto, le fa irrompere in tutte le Carte. E qui ritorno al primo dei ringraziamenti.
    Grazie di cuore, grazie.

    1. il ringraziamento è a te che hai davvero elaborato e costruito un archiscrittura in cui il mondo abita in tutte le dimensioni che oggi ci sfuggono per mancanza di sguardo, di ascolto, di partecipata manutenzione dell’essere noi un solo corpo che vive. Grazie. Piaciuto davvero moltissimo. ferni

  2. Non è un caso che tu abbia vinto il Premio di Poesia Renato Giorgi – Edizione 2016. Un Premio non meritato ma meritatissimo. E mi piace pensare che lo sapevo, e al momento in cui ti dissi che L’ingombro avrebbe vinto. Questa nota di Fernanda dona alla tua Opera un lustro in più se possibile. Credo sia questa la più bella raccolta poetica che tu abbia scritto. Grazie Simonetta e grazie a Fernanda che come sempre non si risparmia. Un abbraccio a voi

    Federica Galetto

  3. Premio meritatissimo Federica, concordo con te sul fatto che questa raccolta, sino ad oggi, è anche per me l’opera migliore di Simonetta a cui auguro un crescendo continuo.

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