ISTANTANEE- Fernanda Ferraresso: AL MUSEO DELLE RELAZIONI INTERROTTE di Mia Lecomte

museo delle relazioni interrotte -zagabria

insieme-museo di zagabria

Esiste davvero, a Zagabria, il Museo delle Relazioni Interrotte, dove una storia, una storia d’amore finita, diventa arte nell’attimo in cui viene esposta, perché le cose, tutte le cose che abbiamo incaricato e caricato di un messaggio da portare, un messaggio d’amore, e poi abbiamo strappato e gettato quando l’amore è finito, sono ancora carichi di quella emozione, sono i fantasmi di quel passato che attraverso di loro trapela.E persino lo scaffale di un museo, il luogo più asettico e lontano dalla storia stessa che porta, tanto quanto lo è una pagina bianca di un libro, che poi si fa stanza di ascolto e di visura di quel catasto dei sensi che noi siamo sempre, diventa la scintilla scatenante quello sguardo che si lancia dentro di noi, tende il filo su cui incamminarci perché niente è stato buttato, tutto la mente ha conservato attraverso archivi che vivono in noi, sono le nostre cellule fotosensibili al ricordo e la memoria ne è bacheca viva, che si modifica, cammin facendo ogni attimo. Una storia, una storia d’amore come quella che giustamente riconosce Carlo Bordini nella testimonianza a chiusura del libro, non finisce mai o meglio, come spesso scrivo è infinita, perché sta in: dentro ogni cosa, dentro il nostro sguardo che scatta dentro di noi e lancia dovunque i suoi aggettanti filamenti, che a loro volta sono appunto getti d’amore, ancora un altro, anche dentro il ricordo. Una storia d’amore non è mai finita ma, appunto, infinita. La rifiniamo plasticamente come una scultura che modelliamo con la nostra stessa argilla sensibile.
Al Museo di Zagabria, ognuno può donare un oggetto, frutto della sua relazione interrotta (che appunto non significa finita: interruptus, rotto tra) come a suo tempo, quando diedero inizio a questa particolare raccolta fecero i due ideatori, una coppia che mise in mostra tutte le proprie personali “attrezzature” d’amore nel momento della loro separazione, per superare quella crisi luttuosa e facendone, di fatto, un’esposizione d’arte o meglio l’arti-ficio per elaborare il loro lutto. E questo è proprio il fulcro dell’arte: il lavoro sulla separazione, non sull’abbandono, perché quanto è stato dato, donato, vissuto in una relazione, sempre amorosa, anche quando è dolorosissima, terribile, non può essere perduto ma lavorato, elaborato, ripercorso, ristrutturato, oscurato e illuminato, rifratto, dipinto, architettato, tessuto, ricamato, fotografato, riscritto, reinventato, tracimato, potato e potabilizzato…è, ed è sempre.
I luoghi che abbiamo percorso si fanno oro e logìa di quei percorsi non orologi, ma nuovi  anelli  e lettere in cui altre chiavi di lettura ci offrono una descrizione  attraverso una scrittura maturata in noi che ci spieghiamo, nel nuovo significato di un gesto, di uno sguardo, il senso che ci ha maturato dentro, alla luce che, come è scritto in quarta di copertina, ha seguito il dettato: …non osi la luce separare/ ciò che il mio grande vuoto ha unito. In apertura della raccolta, una nota di Mia Lecomte, l’autrice del libro AL MUSEO DELLE RELAZIONI INTERROTTE, edito da LietoColle, spiega con chiarezza quanto riporto senza cambiare una virgola, senza aggiungere un fiato a quanto lei ha magistralmente e con semplicità esposto e chiarito, prima che ognuno si addentri nella lettura, cioè nella percorrenza dei luoghi della poesia e del libro, con tutto quanto ne conseguirà strada facendo.

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Forse dipende tutto dal fatto che anche noi siamo una stanza arredata e addirittura strutturata con oggetti emotivi e cassa di risonanza che vanno in frantumi e, spesso, serve quel frantumarsi per tornare ad essere, ad amarsi, ad amare quanto sta in un cambiamento, per quanto doloroso o addirittura orribile esso sia, per comprendere cosa sia perdere e cosa sia essere, senza lamentarsi soltanto, senza chiudere gli occhi davanti a se stessi e alla propria sofferenza ma cercando con pacatezza di comprenderla, attraverso gli alfabeti di cui si dispone, in ogni preciso attimo e ci scambiamo o ci scambiano di posto, lungo il medesimo scaffale, o una città, nel bianco del foglio come uno spazio urbano, dove sta il lupo e il figlio di quel luogo, dove il tempo sta fermo, nel suo perenne agguato dentro di noi che stiamo a guardia del nostro emporio d’amore fattosi per errore, per una luce inclinata o incrinata, il freddo museo di un attimo, o l’orrore che ci distrugge.
Un testo, questo di Mia Lecomte, che ti porta con sé tutto il tempo della lettura mentre, quasi senza accorgertene, ti apre ambiti dentro lo sguardo, ti mostra con una “ripresa soggettiva” quanto in te è attorno a te e  ti appartiene, è la tua stanza d’ascolto, proprio come lo è la poesia di Mia.
Ah! Dimenticavo di ricordare, e si osserva bene nei testi proposti, che pur essendoci le lettere maiuscole ogni tanto a caporiga, mancano sempre le virgole e soprattutto mancano i punti, proprio come questo che segue e mette fine al mio testo.

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Da AL MUSEO DELLE RELAZIONI INTERROTTE, di Mia Lecomte

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…Verneigen wir uns
in jede Himmelsrichtung
und gedenken wir seiner
Einsamkeit
Wie der unseren

…Inchiniamoci
in ogni direzione del cielo
a commemorare la sua solitudine
come la nostra

                        Rainer Malkowski

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Rendez-vous
(Paris, metro Châtelet)

Ogni città ha il suo rosso
Sta appuntato alla meglio si apre a fiore
per permetterti di trovarla un tal giorno
perché tu possa arrivare sia puntuale
riconosca facilmente la città come tua
grazie al segno
Non è lei
tu non sai che ripeterti
non è il rosso il colore prescelto
non avrebbe dovuto sbocciare là sopra
esibito come un ultimo cuore di panno
Per non dire
dell’idea malinconica dell’incontro

.

Diorama
(Paris, quai d’Anjou)

Metà della casa affaccia su una città
una metà su un’altra
La prima città si riconosce dai pesci
in penombra bocca a bocca
si identifica in un fiume giocattolo
lentamente trascina un solo colore
L’altra città si divide fra menta erbe matte
qualche spiga una volta anche un ramo
di glicine d’oleandro
Questa metà della casa sulla tua città
quest’altra metà sulla mia
sul confine tutto interno al guardare
ci affacciamo rivolgiamo le spalle ad entrambe
a fronte a retro dell’abitare che ci abita
la testa è coda attorno al desiderio
una città sta di qua di qua l’altra
incontro al tuo al mio

.

L’ultima
(Paris, rue des Écoles)

Dopo la cena allo stesso modo
abbiamo pensato che sotto i vestiti
era arrivato in ritardo il sacrificio
del corpo del sangue in remissione
per noi e per tutti era tardi per la
benedizione pensavamo sei arrivato
troppo tardi quasi amore sotto
i vestiti per una nuova alleanza
Abbiamo piegato i tovaglioli
ci siamo alzati l’uno all’altra
ci siamo offerti appena più in alto
questo è il mio sangue il mio corpo
da ora invecchia in memoria di te

.

Neverland
(London-Oxford, in treno)

per I., M., A.

Piango la forma della vostra infanzia
fino a confonderne le dimensioni
eravate piccolissimi
indovino le dita trasparenti
le ciglia appena la nuca
Ve ne stavate nella vostra scatolina
chiusi dalla mia fragile magia
un due tre corpi bambini
piangendo non riesco a ricordare
la misura della voce le parole
e per favore come ridevate
Ricordo quest’unica canzone
la cadenza è quella della polvere
non è la morte la ragione
dice non è di morte che si muore
poi riattacca il ritornello
La vostra infanzia era tonda spigolosa
un prisma un uovo in un triangolo
io piango il coro che saremmo stati
lala lala lala voi tre con me
la polvere in sospeso
la ragione vera

.

Tatoo
(Paris, Île St Louis)

Sostieni l’assedio
sulle sponde circondate dall’acqua
tra una corrente di pesci rupestri
che sbiadiscono ai ponti
smuovono l’isola dal profondo
La balena con i piraña
i granchi le sardine molluschi
tutti in circolo
fanno dell’isola un corpo
dell’acqua la sua pelle fregiata
di pesci mansueti e terribili
stretti attorno
lo avverti si riproducono
nel verso più interno al respiro

.

Tre tempi per l’addio
(Pisa , aeroporto)

1-

 “…ci passiamo parole che appartengono ad entrambi,
le stesse parole comode, calde, un po’ logore che hanno
costruito le nostre vite, una proprietà in comune di
immagini, significati e sentimenti; quando mi manca
una parola in un messaggio è perché tu la stai usando
nella risposta, dove puntualmente la ritrovo.
E questo se da un lato semplifica le cose, dall’altro le rende

terribilmente dolorose…”

.

.

Meglio quando avevamo due alfabeti
saremmo ancora nelle nostre case io e te
giocando al mondo con i propri sassi
che uno sa lanciarlo nel giorno preferito
e l’altro altrove è svelto nel piegarsi
che uno va reggendosi prima su una gamba
e l’altro salta intanto su quell’altra
Non avremmo mai avuot ragione di partire
per ritrovarci insieme in tutte le parole
di farmi notare le vedi che sono le stesse
e io ti prego per tutti e due ti prego
è meglio credimi se non la saranno mai

.

Appassionata
(Genova, Palazzo Reale)

Il pesce rosso cresce in proporzione alla vasca
viene configurandosi in una geometria di pulsioni
trattenuta esattamente nell’idea dei suoi limiti
un’impronta circorscritta in uno stampo di sangue
consapevole del piacere angusto degli spazi
che allaga vigile fino al punto in cui il suo tocco
si traducesse in un bacio tutto squame roventi
un amplesso di un muto tendente al carminio

il pesce è freddo ha freddo
sprofonda riaffiora nella sua circolarità intransigente
nel destino di un altrove riadattato ogni volta al millimetro
freme saldo al di qua dello slancio più saturo conclude
quel che eccede trascolora si disperde quel che è suo
ma non ha niente a che fare col suo rosso

.

P.S.
(Lugano-Chiasso, in treno)

Perdonami se sono di nuovo felice
si è passati dall’inverno che hai perso
poi qualcosa è cambiato
neanche tu te lo sapresti spiegare
ma non piango più così spesso
ricomincio a dormire su un fianco
non potresti mai crederci
ma la luce è tornata alla luce
anche il tempo indispensabile al tempo per
riprendere un’altra volta il suo posto
regolo il volume alla radio l’acqua in gradi
del dolore ho fatto mediocre poesia
e il gatto l’abbiamo seppellito nel fiume

.

Controtempo
(Lugano, Parco Ciani)

A un certo punto dell’invincibile
si assesta il finale nero su bianco
lì crollano le torri
i cavalli raggiungono la fiera
tutti gli alfieri si credono re
i re sospettano dei pedoni
e fra le regine
le due regine ferme
con malagrazia dentro al corpo
a distanza delle stesse mosse
cala il primo bianco di una nebbia
s’alza per intorno come nero

.

CV
(Milano, corso Monforte)
È da subito nata altrove giusto in tempo
per accendere sottosopra ogni nuova sua casa
attaccarla ad un filo perpendicolare alla soglia
con le scarpe rovesciate con le ombre che oscillano

per gli studi avrebbe avuto l’attenuante di un alibi
dei più semplici che non suona neanche la sveglia
il lavoro a seguire una solenne fatica di crederci
ogni volta la stessa e declinata all’inverso

attitudini
qualche anno fa sapeva essere più intelligente
un certo modo civettuolo di rivolgersi a dio

esperienze
quel suo trisavolo che per primo ha infilato
la testa nelle fauci di un famoso leone

.      .
.

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Mia Lecomte, AL MUSEO DELLE RELAZIONI INTERROTTE– LietoColle editore 2016

.      .
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Mia-Lecomte

Mia Lecomte, nata nel 1966,  vive attualmente tra Roma e Parigi. Poeta, autrice di narrativa, di testi per l’infanzia e di teatro, tra le sue pubblicazioni più recenti si ricordano: la silloge poetica Intanto il tempo (La Vita Felice 2012); la raccolta di racconti Cronache da un’impossibilità (Quarup 2015); e il libro per bambini L’Altracittà (Sinnos 2010). Le sue poesie sono state pubblicate all’estero e in Italia in numerose riviste, e in raccolte antologiche, e nel 2012, a Toronto, presso Guernica Editions, è uscita la sua antologia bilingue For the Maintenance of Landscape. Traduttrice dal francese, svolge attività critica ed editoriale nell’ambito della comparatistica, e in particolare della letteratura transnazionale italofona: è curatrice delle antologie Ai confini dei verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere 2006), Sempre ai confini del verso. Dispatri poetici in italiano (Éditions Chemins de tr@verse 2011) e con Luigi Bonaffini A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy (Legas 2011). È redattrice del semestrale di poesia comparata “Semicerchio” e di alcune riviste letterarie online, fra cui il trimestrale di letteratura della migrazione “El Ghibli”, e collabora all’edizione italiana de “Le Monde Diplomatique”. È ideatrice e membro della Compagnia delle poete (http://www.compagniadellapoete.com/).

2 Comments

  1. E’ bello questo scrivere di uno spazio intimo che si allarga alla casa, alla città, condizionandone strutture e visioni. Le abitazioni, le strade e i monumenti cambiano aspetto se sentiamo il rosso profondo o se invece inganniamo noi stessi nell’illusione di un affetto raffreddato. Il rito del sacrificio passionale diventa una rappresentazione da miscredenti. Ed è vero che in una vita insieme l’alfabeto si impoverisce diventando comune e si è trasportati in uno stanco e meccanico scambio di parole, in una fiacca e coatta parodia di comunicazione, come i personaggi del teatro di Samuel Beckett. Dunque continuano nei loro giri questi pesci rossi che possono baciare solo il vetro della separazione.
    Le poesie di Mia Lecomte fanno male tanto sono vere, fanno male i punti che suturano le sue memorie personali a quelle di ognuno di noi.
    Al Museo di Zagabria io manderei un disegno che feci in tempo di abbandono: c’è un uomo nudo che non solo piange , ma che letteralmente fa acqua da tutte le parti.

  2. Spaesamento e chiusure che fioriscono tutt’intorno e tuttodentro come cespugli spinosi. Un volo d’uccella stordita senza rotta sul nostro tempo. Con la potenza oniricamente surreale di un certo Cortazar. E un linguaggio di parole comuni, eppure straordinariamente portatrici di dolore, da doverle dire belle, mentre invece tracciano segni che non si riconoscono più. Linguaggio apertissimo a più sensi, sempre dentro un malessere irriducibile, ma al tempo stesso difficilissimo da definire, decifrare. Luminosa la poesia finale. Non proprio fuori o oltre. Ma intanto un ‘no’.
    Bea

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