charlie terrell
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Ogni volta che pensavo a Chiara, mi ritornava potente la sua immagine di ragazza molto giovane, con un grande mantello spagnolo rosso fiamma legato in vita, a ricoprirle in sghembo la sottana nera. Era una festa, a Le Voci, era il premio Giorgi del 2000 direi, quando a vincerlo fu Ivan Fedeli e lei era tra le poete segnalate.Il suo percorso poetico, quello poi di scrittrice, è stato interessante; ha seguito l’evolversi della sua vita ed ancora i ricordi vivissimi non mancano: a Ca’ Vecchia con poeti d’avanguardia ed in ogni incontro pubblico. Siamo state anche su posizioni duramente diverse eppure ci siamo ritrovate con amicizia e sintonia profonda. Lo studio di Joyce Lussu, l’impegno contro la violenza sulle donne, il femminismo, l’amore per il bello. Da qualche mese però, a quell’immagine di giovane e bella donna del sud, si sovrappone Chiara con uno smisurato pancione, finalmente in gioiosa e serena attesa… Il regalo tanto desiderato è arrivato. Federico è nato.
Tu sei per me, Chiara, un misto di donna antica e moderna, e a volte una prevale sull’altra. Una me la porto dentro, quasi parte di me, l’altra a volte l’ho sentita dura, combattiva, troppo. L’ho sentita lontana. Oggi invece mi sembra che tutto si sia addolcito, riequilibrato, tu sei Chiara e basta, la bravissima Chiara. Cosa pensi di questo mio sentire?
Mi fa piacere questa tua descrizione, e ricordo ancora lo scialle rosso di quel periodo. Si sono sempre stata combattiva ma nel senso più positivo, ho sempre cercato di tenere fede a quello che mi ero prefissa, per esempio fare questo lavoro, che non è per niente scontato, è una battaglia faticosa per cui devo continuare ogni giorno a combattere. Certo questo precariato mi ha tolto molto, ma non volevo che mi togliesse anche il desiderio fortissimo di diventare madre, che finalmente è stato raggiunto.
Spesso si dice che ad una donna, per affermarsi, è necessario un impegno superiore a quello che servirebbe ad uomo, perché deve vincere resistenze e preconcetti. È così anche per te?
Come donna ho fatto uno sforzo immane per raggiungere degli obiettivi che agli uomini sono più facilmente a portata di mano. O meglio, per raggiungerli senza scendere a nessun compromesso, conservando la mia onestà intellettuale, evitando qualsiasi raccomandazione e soprattutto senza perdere il mio credo politico. Sono sicura che è anche questo il motivo, al di là delle contingenze storiche della crisi, che mi ha portata ad essere ancora precaria a 40 anni. Non mi sono accontentata, non sono scesa a compromessi. Volevo fare questo lavoro e sto riuscendo a farlo, con i salti mortali, ma ci sto riuscendo. È una bella soddisfazione non dovere dire grazie a nessuno, se non alle persone come te, che in me hanno creduto fin dall’inizio sostenendomi con il loro affetto. Per quanto riguarda inoltre il mio campo specifico, la ricerca, inutile dire che l’Università è il luogo che meglio rappresenta la situazione italiana: gerontocratica, maschilista, patriarcale e discriminatoria. Non premia quasi mai il merito ma solo le logiche di casta, e questa è la tristezza più grande. Più in generale, se sei una donna, gli intellettuali uomini ti guardano come un’aliena, perché in fondo tu sei prima di tutto una donna, e quello che dici è secondario rispetto a questo. Ti prendono meno sul serio di quanto farebbero con un uomo e lo dimostra anche il soffitto di cristallo delle nostre carriere.
Quando vieni tra noi, a Sasso, tutte ti trovano incantevole, preparata, profonda. Penso all’ultimo incontro su Camille Claudel… Queste presenze, sempre ” regalate”, richiedono un grande lavoro. Certo vivere anche per te non è facile. Creare entrate sufficienti senza un “lavoro fisso”. Il tempo ti manca, eppure ci sei sempre. Ci dici del tuo lavoro? Credo sia molto importante che racconti la tua esperienza.
Credo che siano davvero poche le persone che mettono energia e passione nel lavoro che fanno, anche quando lo fanno senza retribuzione. Negli anni ho cercato di mantenere vivo questo spazio di volontariato perché per me è davvero “politico”. Col tempo ho visto tante persone che come me continuavano a fare il lavoro desiderato, a non abbandonare il lavoro culturale, ma magari avevano le famiglie che dietro le sostenevano e davano loro una mano economicamente. Purtroppo io non ho avuto questo sostegno e ne ho sentito molto la mancanza. Non tanto del sostegno economico, perché non mi è mai dispiaciuto fare mille lavori per mantenermi, ma del sostegno emotivo sì. Fortunatamente ho delle carissime amiche e tante estimatrici/tori che negli anni mi seguono e mi incitano a tenere duro. Se non fosse per questo gruppo, per questa “famiglia interiore”, sicuramente non ce l’avrei fatta e avrei abbandonato questo percorso faticosissimo, o magari sarei emigrata all’estero, come hanno fatto tanti amici e colleghi.
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Quali sono state le tappe più importanti della tua vita? quelle di cui ti va di scrivere?
Sicuramente l’arrivo a Bologna e l’approdo in una università creativa come il Dams, che mi ha aperto a una cultura multidisciplinare. Ancora oggi penso che il Dams sia una delle facoltà migliori di tutto l’ambito umanistico, insieme a Filosofia. Al Dams puoi studiare di tutto e diventare davvero un/a operatore/trice culturale a tutto tondo. Poi l’incontro con Roberto, che è stato il mio compagno per più di dieci anni, ha suggellato la mia vocazione per la ricerca. Un incontro fortunato e rarissimo, che mi ha permesso di comprendere le mie doti nella scrittura saggistica. È stato anche un maestro, oltre che un compagno di vita. Sono stati anni intensissimi, ricchi di manifestazioni, letture, discussioni politiche e filosofiche. In quegli anni ho scritto tantissimo, ho imparato a fare ricerca d’archivio, a scrivere saggistica, a cercarmi dei maestri e delle maestre fuori dai contesti accademici, ho scoperto il femminismo. Insomma sono uscita da me stessa e sono andata verso gli altri, verso il sociale. Per questo motivo la scrittura letteraria e poetica, che era nata come “ferita” di un’infanzia così sofferta, è riuscita a rimarginarsi e ho deciso di non scrivere più di me. Ho sviluppato un grande senso della privacy. Anche questa intervista è un grande peso, perché non riesco più a parlare di me in prima persona, lo faccio solo perché me lo hai chiesto tu. Questa decisione è avvenuta soprattutto dopo la morte prematura di mia sorella, che era una giovanissima e geniale intellettuale, ed aveva prima di me, fatto il Dams a Bologna, sognando di fare ricerca e di vivere facendo cultura. Di alcuni dolori, credo sia necessario tacere. Qualche anno dopo, leggendo le Memorie di una ragazza per bene, mi sono molto identificata in quel passaggio in cui Simone de Beauvoir decide di vivere finalmente la sua vita fuori dalle convenzioni borghesi dopo la morte dell’amica Zaza.
Riesci ad essere coerente con le tue idee femministe nella vita che conduci?
Penso proprio di esserci riuscita. Per me le amiche e la sorellanza sono la parte principale della mia esistenza. Spendo molto tempo a coltivare le relazioni amicali e intellettuali, che credo siano fondamentali per vivere bene. Ad esempio, quando scelgo una casa in affitto, cerco sempre qualcosa che possa avere uno spazio per ospitare gli amici e le amiche che mi vengono a trovare. Sono loro la mia “famiglia interiore”. Coltivarli è come fare giardinaggio, un’altra grande passione che devo purtroppo limitare in città. Adesso che sono anche madre, si apre una nuova sfida, quella di far crescere mio figlio libero dagli schemi stereotipici imperanti.
Vorresti vivere altrove?
Vorrei tornare a vivere in campagna, dove sono nata e cresciuta. Oppure sul mare. Ho passato l’infanzia in una casa di campagna a 10 minuti dalla spiaggia. Un bel privilegio avere entrambe le cose. Ma ciò che poi mi è mancato nell’adolescenza è stata la grande città, con i suoi stimoli e le sue occasioni di conoscenza. Ci può essere molta tristezza in campagna, quando si è adolescenti per esempio, ci si sente tagliati fuori da tutto. Ma nell’infanzia credo sia fondamentale, per imparare i ritmi della natura e delle stagioni. Ho passato l’infanzia in campagna, anche lavorando la terra, facendo l’orto, raccogliendo le olive e le fascine per il fuoco, facendo l’olio e le passate di pomodoro, pestando il vino con i piedi nel torchio. Ricordo al mattino che aprivo la finestra della camera e vedevo la contadina già al pascolo con un grande gregge di pecore. Oppure quando andavo a rubare l’uva e la frutta dalle campagne intorno a casa mia. Quando andavo a raccogliere le more e gli asparagi per la frittata. Piccole cose, che sembrano molto idilliache, ma in cui c’erano anche rapporti sociali profondamente brutali, contadini analfabeti, bestie ammazzate per fare il pranzo di Natale… uno dei ricordi più forti è il lamento del maiale sgozzato che urlava per ore perché non si rassegnava a morire dissanguato. I miei, che erano due professionisti, avevano fatto questa scelta controcorrente, della casa in campagna, in tempi in cui ancora l’idea era quella di stare in città. Da un lato questo ci ha permesso di vivere a contatto con la natura, ma dall’altro ci ha portato a vivere un’infanzia priva di stimoli culturali. Fortunatamente, libri in casa ce n’erano, perché vengo da una famiglia di maestri e professori. E leggere mi ha salvata.
Parlaci del Festival La violenza illustrata
L’ho ideato e diretto per sei edizioni, è stata una grande avventura e una buona intuizione. La Casa delle donne lo sta portando avanti egregiamente e credo sia una testimonianza importante nella lotta alla violenza contro le donne, perché usa il linguaggio dell’arte, della cultura, per fare prevenzione. È un modo per festeggiare una giornata libere dalla violenza, riprendendo in mano le proprie vite e ricordando a tutti che le donne non sono vittime, ma possono essere autrici consapevoli del proprio cambiamento, e dunque di quello di tutta la società. In una parola, il femminismo è proprio questo.
A tutte le donne che ho intervistato ho chiesto di regalarci una poesia a cui sono particolarmente legate. Lo chiedo anche a te.
Erica Jong, Per tutte quelle che sono morte
Per tutte quelle che sono morte denudate, rasate, rapate.
Per tutte quelle che hanno invocato invano la grande Dea
solo per aver la lingua strappata alla radice.
Per tutte quelle che sono state trafitte, torturate, spezzate sulla ruota
per i peccati dei loro Inquisitori.
Per tutte quelle la cui bellezza suscitò il furore dei torturatori;
per tutte quelle cui la bruttezza fu condanna.
Per tutte quelle che non eran belle né brutte, ma solo donne orgogliose.
Per tutte le abili dita spezzate dalla morsa.
Per tutte le braccia morbide strappate dall’alveolo.
Per tutti i seni in boccio dilaniati da pinze incandescenti
per tutte le levatrici uccise per il peccato di aver fatto nascere l’uomo in un mondo imperfetto.
Per tutte quelle streghe, mie sorelle,
che respiravano più liberamente avvolte dalle fiamme, sapendo, mentre abbandonavano le spoglie femminili,
e la carne bruciata cadeva come frutta nelle fiamme,
che solo la morte le avrebbe mondate del peccato per cui morivano
il peccato di esser nata donna,
che è più della somma delle parti di un corpo femminile.
Grazie Chiara, credo proprio che questo sia il tuo tempo; tu sei una di quelle che sa dare luce.
Vittoria Ravagli
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CHIARA CRETELLA, dopo il dottorato di ricerca in Italianistica, è attualmente Assegnista di Ricerca di sociologia con un progetto di studio in gender studies presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna.Fa parte del CSGE-Centro studi sul genere e l’educazione del medesimo dipartimento. Lavora come organizzatrice culturale free lance e come formatrice sui temi della violenza di genere. È autrice di numerosi saggi cui alterna una vasta attività giornalistica. Collabora con la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, per cui ha ideato e curato sei edizione del Festival La violenza illustrata.