A COLPO D’OCCHIO- Silvio Lacasella: Ippolito Caffi – Tra Venezia e l’Oriente – Museo Correr

 ippolito caffi-venezia- il nolo al tramonto

ippolito caffi 3

ippolito caffi- venezia- canal grande

ippolito caffi-canal grande -venezia

ippolito caffi-  venezia- neve e nebbia in canal grande

1 Ippolito caffi

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Un diffuso ottimismo, alimentato da molta propaganda, andava ad unirsi all’ardore dei tanti patrioti che cercavano un momento di riscatto significativo dopo la batosta di Custoza, che aveva inaugurato poco meno di un mese prima e nel peggiore dei modi la terza guerra d’Indipendenza. Una serie di attese favorevoli, dunque, avevano accompagnato l’avvicinarsi del 20 luglio 1866.

Con poche eccezioni, infatti, pressoché tutti, a cominciare dall’ammiraglio Persano, erano convinti che quel giorno le cose sarebbero andate diversamente: l’obiettivo era l’annessione del Veneto all’Italia e per ottenere questo risultato si era scelta la battaglia in mare, contro la flotta dell’Oesterreich-Venezianische Marine, peraltro composta in gran parte da ufficiali ed equipaggio proveniente dall’area veneta. In pratica, nella parlata, c’era più cadenza veneziana nelle navi austriache che in quelle italiane, salpate in direzione di Lissa dal porto di Ancona.

Come sappiamo, quel giorno segnò una nuova sconfitta, tingendo di sangue le acque del mar Mediterraneo, al largo dell’isola dalmata, alla fine di un conflitto navale dagli esiti disastrosi. In poche ore di combattimento morirono seicentoventi uomini, tra ufficiali e marinai, contro i trentotto della pur esigua flotta dell’Impero austriaco. Tra le cause, un comando militare presto rivelatosi non all’altezza della situazione, una flotta navale numerosa ma inadeguata, l’inesperienza dell’equipaggio e, in una qualche misura, le difficili condizioni del mare.

Dopo un’ora di cannoneggiamenti, alcune bordate colpirono la Re d’Italia, una delle dodici corazzate italiane, danneggiandone in modo irreparabile il timone. Le cronache raccontano di una maldestra operazione di arretramento che trasformò la fiancata della nave in un facile bersaglio. A quel punto, per Vicenzo Vianello, al comando della nave nemica, speronarla fu estremamente facile. In pochi minuti lo squarcio la fece prima capovolgere e poi inabissare. Morirono 391 persone.

Tra queste, un pittore, cinquantasettenne: Ippolito Caffi, bellunese di nascita, salito a bordo per documentare nei propri taccuini, con provata destrezza e originalità, quelle che avrebbero dovuto essere le fasi più spettacolari di un’impresa destinata a rimanere storica. Egli partì accompagnato da un forte coinvolgimento emotivo. Il suo  “en plein air”, infatti, non si era mai accontentato di bloccare con impressionante rapidità il passaggio della luce ma, quando non lo portava in prima linea, lo coglieva a ridosso di un particolare evento atmosferico o a tremila metri dal suolo, nella cabina oscillante di una mongolfiera. Il 21 giugno 1866,  scriverà a Giuseppe Codemo: “Ti assicuro, mio ottimo amico, che ci sono certi momenti della vita che il pericolo, qualunque esso sia, è nulla al confronto del compenso che se ne può trarre per l’arte, e pella gioia di un’artista”.

Trascorsi ventitré anni dalla battaglia di Lissa, Virginia Missani, sua moglie, decise di lasciare “in dono alla città di Venezia tutti i quadri, i disegni e gli studi del suo sempre lacrimato marito”. Poco più di centocinquanta opere, centocinquanta anni fa. Un prezioso lascito e una ricorrenza ideale per la mostra ora aperta al Museo Correr, promossa dalla Fondazione MUVE in collaborazione con Civita Tre Venezie e a Villaggio Glogale, a cura di Annalisa Scarpa, studiosa attenta del pittore (visitabile sino al 20 novembre – Catalogo Marsilio).

 

ippolito caffi-regata in canal grande- venezia

Ippolito-Caffi_Venezia_Regata-in-Canal-Grande

 

Definirla, così com’è, una mostra a chilometro zero evidenzia un dato di fatto e una enorme contraddizione, essendo stato Caffi, oltre che patriota e attento osservatore, un instancabile viaggiatore. Le pareti del Correr ne documentano, oltre all’andatura stilistica, gli innumerevoli spostamenti, all’interno di opere capaci di trasformarsi all’occorrenza in una sorta di campionario visivo per rinfrescare la memoria, così da poter riproporre quei luoghi e quelle atmosfere anche a distanza di tempo, con la freschezza e l’audacia di un reporter.

Finalmente oggi, in una pacata rilettura delle vicende artistiche legate all’Ottocento italiano, sul quale sempre peseranno inevitabili parallelismi europei, si riconosce a Ippolito Caffi lo sforzo che egli compì per far deragliare la sua pittura dal binario canalettiano sulla quale vistosamente scorre. Verrà certo influenzato anche dagli innovativi ritmi cromatici di Corot, incontrando probabilmente le sue opere nei lunghi soggiorni romani; meno da Turner, con cui condivide una precoce abilità nell’uso della prospettiva e il desiderio di trasferire sulla tela la forza dell’evento, sovente reso ancora più emozionante da suggestive atmosfere notturne. Tuttavia del grande inglese non assorbirà l’effetto panico contenuto sia nella rappresentezione del dramma, quanto nel più rassicurante dei soggetti. Così come, c’è da credere, non può aver visto quei pittori americani a lui contemporanei, come Thomas Cole o Frederich Edwin Church, che al pari di Caffi, istintivamente trasformano la scena in un fotogramma cinematografico.

 

ippolito caffi-roma- colosseo illuminato a fuochi di bengala

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ippolito caffi- parigi- boulevard et porte s. denise

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ippolito caffi- egitto-carovana nel deserto

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ippolito caffi- isola di rodah

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ippolito caffi- costantinopoli- l’ippodromo

Ippolito-Caffi_Costantinopoli_ippodromo_1843_

ippolito caffi-egitto-il vento simun nel deserto,

Ippolito califfi 2

Parlare di “fari” nel caso di un pittore sceso dai monti (e questo non è certo un male, se Tiziano fece altrettanto), aiuta a ripercorrerne velocemente la biografia. Alcuni li avrà incontrati a Venezia, quando sedicenne vi giunse, per frequentare l’Accademia; molti altri durante l’inesauribile sua attività di artista-reporter, a Londra, a Parigi, in Spagna, nel sud Italia. Verso Oriente (1843): Malta, Atene, Costantinopoli, Smirne, Efeso, Alessandria, Il Cairo, Luxor, Gerusalemme, sempre dipingendo, prendendo appunti, riempiendo decine di taccuini (alcuni ora esposti al Correr).

Sino alla tragica fine, patriottica, emblematicamente risorgimentale, quasi fosse un sottotitolo alla sua opera. Una fine inseribile nei quadri che egli non fece in tempo a dipingere e che pure ci sembra di aver visto, magari accompagnati da un racconto di Camillo Boito, dai versi di Aleardo Aleardi o da un tempestoso incedere verdiano. Come loro, forse più di loro (senza dubbio più di Verdi) Caffi non tradirà mai l’elemento reale, pur cogliendo in esso la circostanza insolita e rara: la neve sui tetti veneziani, l’eclissi di luna, il bagliore dei bengala ad illuminare a festa la più profonda delle notti. Vi sono artisti che strappano la superficie alle cose per coglierne la sostanza interiore, ed altri, come Ippolito Caffi, che paiono accarezzare esclusivamente la parte esterna dei sentimenti, mentre in realtà, così facendo, stabiliscono con essi un rapporto diretto, facendo proprie le parole di Paul Valery: “ La pelle è ciò che di più profondo c’è nell’essere umano”. D’altronde, dalle profondità dell’animo, persino la più segreta delle emozioni, risale per respirare.

 

Silvio Lacasella

 

caffi

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