paolo ventura
“Versi di-vini e Vini di-versi
Un’enoteca di parole, un modo singolare per marcare il dialogo antico intrecciato tra due lingue di verità, dal potere seduttivo, dall’essenza sovversiva e pacifica come lo sono il vino e la poesia. Piacere enoico e piacere della parola. Il canto ed il vino: ebbrezza e stupore. Poesie sul vino, ma anche e prima di tutto poesie, capaci di condurre alla festa dei sensi e dello spirito, e di accendere l’attenzione sull’urgenza di poesia e di parola, che sappiano correre il rischio fecondo della verità. Poesia che diventa esperienza comunitaria e conviviale, anche grazie al vino. Così è stato in occasione del XIII simposio eno-poetico, “Versi di-vini e Vini di-versi”, organizzato dal Centro Studi Alto Molise “Luigi Gamberale”.
Un appuntamento che ha riunito poeti ed artisti nella suggestiva Staffoli Horses, situata nella vallata di Staffoli, frazione di Agnone ( Is), a ridosso di un altopiano incastonato tra i monti molisani e abruzzesi. Ero tra gli ospiti dell’evento, coordinato da Ida Cimmino, presidente del Centro Studi. Insieme a me Marco Ambrosi, Andrea Cacciavillani, Angelo Cocozza, Maria Pia De Martino e Anna Maria Farabbi ( già protagonista nel 2007 a San Salvo). Una manifestazione volta, come nello spirito del CSAM, alla promozione della cultura, della poesia, svincolandola dall’ottica del salotto e offrendola come pane buono, per tutti: pane dell’incontro. Come diceva il poeta salvadoregno Roque Dalton García “la poesia è come il pane, di tutti”, quindi cibo necessario e alimento primario per il nutrimento di qualsiasi uomo. È proprio in occasioni come queste, in cui la poesia viene destinata come bene comune, che essa ritrova la sua importanza collettiva, la sua dimensione sociale. L’incontro attraverso i versi ha aperto il racconto, il dialogo, lo scambio di intenti, passione e responsabilità. Ci siamo detti che la poesia va letta e sostenuta, difesa e diffusa. Come ha sottolineato durante la serata anche Anna Maria Farabbi. Quasi una celebrazione, iniziata con i versi del Padre Nostro di Pier Paolo Pasolini: un omaggio al poeta in occasione del quarantennale della sua morte. Versi mai stanchi che hanno risuonato in tutta la loro spinta disarmante : poesia che scuote, fa parlare. Abbiamo sentito il canto, la voce. Ci siamo fermati. Abbiamo letto le nostre poesie, mettendole sul tavolo della condivisione perché tutti i presenti potessero mangiarne. La lettura ha guidato l’ascolto. È stato un modo di dare e di darsi con gratuità nella semplicità di ciò che si è, in un’atmosfera allegra ed aperta nella quale si sono saputi creare spazi di silenzio e di intimità, riscoprendo un senso quasi antico e necessario del condividere, del sentirsi uno.
Stefania Onidi
paolo ventura
da Affabulazione – Pier Paolo Pasolini
Padre nostro che sei nei Cieli,
io non sono mai stato ridicolo in tutta la vita.
Ho sempre avuto negli occhi un velo d’ironia.
Padre nostro che sei nei Cieli:
ecco un tuo figlio che, in terra, è padre…
È a terra, non si difende più…
Se tu lo interroghi, egli è pronto a risponderti.
È loquace. Come quelli che hanno appena avuto
una disgrazia e sono abituati alle disgrazie.
Anzi, ha bisogno, lui, di parlare:
tanto che ti parla anche se tu non lo interroghi.
Quanta inutile buona educazione!
Non sono mai stato maleducato una volta nella mia vita.
Avevo il tratto staccato dalle cose, e sapevo tacere.
Per difendermi, dopo l’ironia, avevo il silenzio.
Padre nostro che sei nei Cieli:
sono diventato padre, e il grigio degli alberi
sfioriti, e ormai senza frutti,
il grigio delle eclissi, per mano tua mi ha sempre difeso.
Mi ha difeso dallo scandalo, dal dare in pasto
agli altri il mio potere perduto.
Infatti, Dio, io non ho mai dato l’ombra di uno scandalo.
Ero protetto dal mio possedere e dall’esperienza
del possedere, che mi rendeva, appunto,
ironico, silenzioso e infine inattaccabile come mio padre.
Ora tu mi hai lasciato.
Ah, ah, lo so ben io cosa ho sognato
Quel maledetto pomeriggio! Ho sognato Te.
Ecco perché è cambiata la mia vita.
E allora, poiché Ti ho,
che me ne faccio della paura del ridicolo?
I miei occhi sono divenuti due buffi e nudi
lampioni del mio deserto e della mia miseria.
Padre nostro che sei nei Cieli!
Che me ne faccio della mia buona educazione?
Chiacchiererò con Te come una vecchia, o un povero
operaio che viene dalla campagna, reso quasi nudo
dalla coscienza dei quattro soldi che guadagna
e che dà subito alla moglie – restando, lui, squattrinato,
come un ragazzo, malgrado le sue tempie grigie
e i calzoni larghi e grigi delle persone anziane…
chiacchiererò con la mancanza di pudore
della gente inferiore, che Ti è tanto cara.
Sei contento? Ti confido il mio dolore;
e sto qui a aspettare la tua risposta
come un miserabile e buon gatto aspetta
gli avanzi, sotto il tavolo: Ti guardo, Ti guardo fisso,
come un bambino imbambolato e senza dignità.
La buona reputazione, ah, ah!
Padre nostro che sei nei Cieli,
cosa me ne faccio della buona reputazione, e del destino
– che sembrava tutt’uno col mio corpo e il mio tratto –
di non fare per nessuna ragione al mondo parlare di me?
Che me ne faccio di questa persona
cosi ben difesa contro gli imprevisti?
paolo ventura
Da Abse – Anna Maria Farabbi
A tredici anni sono uscita di casa
perché mio padre
non voleva che scrivessi poesie.
Avrei dovuto essere normale pratica e mite.
Da allora camminando mi sono chiesta
l’utilità se davvero esiste una mandorla atomica
nutriente della poesia.
E se il mio orto interiore
Un solo verso lavorato anni e anni
può barattarsi con l’espressione intima
di qualunque altra creatura.
Che sia davvero un bene un viaggio sacro un polmone.
Per questo ho studiato tanto le scritture degli esseri
non solo umani l’analfabetismo
anche quello delle ergastolane di San Vittore
il labirinto auricolare e le energie tattili dei ciechi
il linguaggio dei segni e il profondo ricettivo dei sordi
la notte nelle tempie fosforiche dei matti.
Questa creatura poesia è organica. Direi a mio padre così.
Ha una natura congiuntiva e irrimediabile.
Intensifica e implode. A volte schizza ori.
Gli direi di amarmi
con tenerezza conciliata ormai:
so liquefare un’ascia
assimilando il fiume.
Con l’umiltà di creare niente.
…………………………….diario di una figlia poeta