seydou keïta- untitled (odalisque), 1957
henry matisse- odalisque au coffret rouge (1927),nice musée matisse
Milano: mostra fotografica di Teju Cole
Parigi: mostra fotografica di Seydan Keita
Seydan Keita e Teju Cole, due fotografi africani. Li ho scoperti in uno di quei giri labirintici che il mare del web permette mentre spalanca più di una finestra sul monitor e nutre il senso di vertigine che prende chi al timone del mouse gira e gira, con la rondella, e cerca e cerca. E a un certo punto è costretto a fermarsi per chiedersi: da dove ero partito?
Da una lezione di geostoria da preparare per la prima. Cercavo immagini d’Africa che dessero conto della realtà antropologica e variegata di un continente ricco e povero al contempo, che caccia via i suoi figli alla ricerca di terre promesse, lontane da guerre sommesse e dichiarate, da bande improvvisate e da eserciti organizzati. Lontano dalla fame e dal dolore. Per approdare in terre ostili se non per morire nel fondo del mare. Mediterraneo. Cercavo foto. Ma non i soliti stereotipi della sofferenza che rischiano di produrre in Pablo, Erica e Filippo, quelli in primo banco, per non parlare di quelli nelle ultime file, Elena, Margherita e Serena, cercavo foto che non producessero un’ indifferente lontananza o una pacificata assuefazione.
Gira gira la rondella del mouse, si ferma, guardo e riparto.
Vorrei qualcosa che li aiuti a capire quanto è complesso il mondo e li fermi a pensare. Ed ecco a un tratto mi si para davanti un’immagine che mi sorprende e mi sospende. Mi ricorda i ghirigori di Pablo, quello in prima fila, sul suo banco, fatti con paziente perizia, con la matita nera e poi cancellati con l’alcool e lo straccio bianco, per evitare una nota sul registro. Mi ricorda uno dei dipinti di Chagal per il Canto dei Cantici, 5, 2, 19 mutato nei colori, ma con la stessa carica onirica o uno dei tanti di Matisse che traccia segni esotici sulle pareti e sulle tende e gioca con l’accumulo di linee spezzate e curve.
Mi fermo davanti alla fotografia di Seydan Keita, trattenendo la meraviglia. Una foto che ha quasi sessant’anni e ha dentro di sé il dono dell’eterna bellezza nella sospensione del soggetto. Donna che disorienta nell’annullamento dei piani. La guardo in ogni dettaglio. Il viso, le mani e i piedi sembrano emergere dal drappeggio alle sue spalle. O da quello che l’avvolge? O da quello che la sorregge? È la molteplicità di segni che si compone in un ordine imprevisto, strano che interroga. Cerco informazioni e scopro che le foto di Seydou Keita sono a Parigi nel Grand Palais in mostra fino al prossimo 11 luglio. Il grande fotografo è morto nel 2001 e ha lavorato nel suo studio a Bamako, la capitale del Mali, trasformando i suoi soggetti, nel ritrarli. Tutti dovevano essere belli e la semplicità andava ricercata per donare il ritratto ai parenti o agli amici. Componeva circa quaranta ritratti al giorno.
Ingrandisco l’immagine e scopro sulla fronte della Donna Sospesa altri segni. Non certo disegni. Cicatrici in un viso che non ha sorriso, ma riflette una pacata staticità. Non guarda l’obbiettivo, guarda davanti a sé e forse cerca un senso. La sua posa non è accogliente. La donna sembra in attesa. Non aveva titolo quell’immagine nel 1957, poi è diventata Odalisca forse per il richiamo al dipinto di Matisse del 1927. O forse perché le odalische del Mali si rappresentano così da sempre.
Ho bisogno di altri elementi. Gira, gira la rondella del mouse, si ferma, leggo e individuo il sito del New York Times Magazine in cui uno storico d’arte commenta alcune fotografie di Seydan Keita:
http://www.nytimes.com/2015/06/28/magazine/portrait-of-a-lady.html?_r=0
E arriva una nuova scoperta. Teju Cole uno scrittore e fotografo nigeriano, naturalizzato americano, con settanta fotografie, è in mostra a Milano, presso la Fondazione Forma Meravigli, fino al 19 giugno.
Capisco che non basta più il web, né la rondella del mouse che gira e gira, e una domenica mattina di maggio, parto per incontrare le immagini, a pochi passi dal duomo nella galleria di via Meravigli al numero 5.
elianda cazzorla, dal forma meravigli, milano 2016
Nelle quattro sale della galleria 1 le foto sono distribuite per intrecci analogici che la creatività di Teju Cole ha individuato nell’arco di due anni, nei suoi innumerevoli viaggi, tra il 2014 e 2015. C’è solo una foto del 2013 con uno stesso soggetto illuminato in modi differenti che permettono di amplificarne il senso. Provo a identificare i titoli da dare alle sale e nel farlo capisco che sfuggono a classificazioni unitarie. Potrebbero essere: 1) la stanza dello sguardo e dell’atto del vedere; 2) la stanza delle chimere; 3) la stanza del quotidiano nella sofferenza e nel disordine. E la quattro? Non trovo la categoria. E mi restano fuori il meraviglioso, la foto d’arte, il dettaglio, il surreale, gli sconosciuti di spalle, le città. Anche altre due visitatrici guardano, si fermano, leggono e cercano i legami. Entrano in una sala, poi tornano indietro. E su una delle due compare un sorriso e dice:
– Ah! Ho capito cosa vuole dirmi. Però, non ci avevo mica pensato!
E il gioco della scoperta dei legami tra una foto e l’altra diventa gratificante. A guardarle bene, alcune foto sembrano banali, quasi brutte, non composte, con soggetti dispersi, proprio all’opposto di Seydan Keita e delle sue geometrie destabilizzanti, della ricerca del bello, e invece le foto di Teju Cole diventano gioielli preziosi nel momento in cui si leggono le didascalie. Pagine del suo diario visivo, frammenti che illuminano il significato dello scatto, di quale racconto è portatore o di quale riflessione,o di quale ricordo. Teju Cole suggerisce un modo per fermare il pensiero su pezzi di mondo bloccati nel loro movimento continuo. All’uscita dalla galleria sfoglio il volume che Contrasto pubblica: Punto d’ombra con più di duecento foto di Teju Cole. Lo apro in treno, una volta che il viaggio è incominciato, ritorno su alcuni passaggi in mostra, per capire gli intrecci e le analogie di avvicinamento di alcune immagini con altre. Costruisco nuovi legami. In un gioco infinito. Di punto d’ombra e di fili di luce. Che potrò moltiplicare in classe.
Nelle ultime pagine del volume Punto d’ombra, da cui sono state tratte le sei immagini , pubblicate In punto d’ombra- Contrasto – Roma 2016,Teju Cole dà una chiave di lettura per comprendere il suo progetto poetico che riproduce la realtà con le parole e le immagini.
Sono affascinato dalla continuità dei luoghi, dalla linea del canto che li collega tutti. (…) L’esperienza umana varia enormemente, nella sua forma esterna, ma a livello emotivo e psicologico abbiamo molte similarità gli uni con gli altri. Che fossi in un borgo di Vals in Svizzera o in un grattacielo che torreggiava su milioni di persone a San Paolo, il mio pensiero costante era sempre come mantenere quella linea. Il viaggio è per me un privilegio e una responsabilità. In ogni istante sono intensamente consapevole che guardare è vedere solo una frazione di ciò che si osserva. Anche nell’occhio più attento c’è un punto d’ombra. Cosa si perde?
Elianda Cazzorla
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Riferimento in rete
http://www.formafoto.it/2016/04/punto-dombra-teju-cole/
Grazie per questo stupendo regalo. Avevo già visto e ammirato alcune foto di Seidan Keita, ma Teju Cole è una scoperta assoluta. Come tu scrivi esattamente queste foto ricevono dalle parole a lato tutto il loro profondo senso, che è quello incongruo, stratificato della vita e dell’occhio che la vede e indaga.
Articolo interessante dove le immagini vengono descritte con il cuore e con l’anima , dove le immagini riescono a trasmettere un intreccio di emozioni che si coglie sin dalle prime frasi dove la descrizione delle foto e di quello che rappresentano coinvolgono emotivamente il lettore.
Si. Sì, e’ proprio cosi! Adriana e Nunzia: Intrecci, stratificazioni di cuore e anima, di segno e senso e il lettore entra nell’occhio di Teju Cole, moderno flaneur, guarda quello che lui vede e poi scopre che nel punto d’ombra c’è la possibilità di ricostruire altro, con i propri vissuti e associazioni. Vi consiglio il romanzo ” Città aperta” Einaudi, in cui tutto questo avviene, con le sole parole e Teiu Cole ci dà la possibilità di immaginare quel che non si vede. Ecco un estratto. http://www.einaudi.it/var/einaudi/contenuto/extra/978880621221PCA.pdf
Grazie Elianda per il suggerimento.Lo leggerò sicuramente ha una scrittura che davvero cattura.
Cara Ferni, se non lo trovi, ora che lo finisco, sono a pag.103, te lo passo.
no, tranquilla l’ho trovato, ma grazie del pensiero
http://www.ibs.it/code/9788806212216/cole-teju/citta-aperta.html