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Sandra, Sandra Federici, è una donna sui cinquanta: sembra una ragazza, eppure ha una vita pienissima, tre figli, un lavoro impegnativo e ha ripreso a studiare… E’ una donna apparentemente “normale” ma, per come vive, pare possieda un’energia inesauribile. Potrebbe essere mia figlia, ma la sento sorella: lei ha doti che quasi del tutto mi mancano, come il sapere mediare, l’essere tollerante, sapere vivere nella comunità senza differenziarsi troppo, pur mantenendo intatti i propri credo.
– Come fai Sandra a mantenerti in equilibrio, a portare avanti la tua vita restando almeno apparentemente serena?
La mia vita è frenetica visto che ho tre figli e faccio un lavoro impegnativo: responsabile della comunicazione di una struttura che si occupa di intercultura e accoglienza di richiedenti asilo. Come per tante altre donne, per fare “girare” tutto bisogna mettere in piedi un meccanismo perverso di suddivisione dei giorni, delle settimane, di attribuzione di porzioni di tempo a chi legittimamente dovrebbe riceverlo: i figli, il marito, il lavoro, la gestione della casa, genitori e parenti, le amiche, noi stesse. Ovviamente, il primo concorrente a saltare in questa lotta per il tempo della Sandra sono stata io. Quella malefica “legge morale dentro di me” non mi ha lasciato dubbi sul fatto che, avendo fatto quelle scelte, dovevo assumerne le conseguenze: questo è il prezzo che hanno. Rimettermi a studiare è stato soprattutto riprendermi un po’ di tempo per me, per fare una cosa solo mia, che mi piace. Avanzare nella mia ricerca con il supporto di studiosi che stimo mi dà soddisfazioni enormi. Certo, mi costa tante sere o albe davanti al computer, invece che in relax davanti alla tv o a passeggio. Però l’ho scelto consapevolmente.
– Certo il senso del dovere a volte ci perseguita. Le donne sentono di dover fare di più per essere accettate ancora oggi, per poter essere considerate “degne” di rispetto. Qual è il tuo rapporto con i tuoi figli? Sei riuscita a dosare il senso del dovere con quello del piacere nell’educarli?
Non sono mai riuscita ad accettare di non impegnarmi a fondo nelle cose: tutto deve essere realizzato con efficienza, senza sbandamenti, senza fare bidoni, senza trovarmi a corto di risposte. Faccio molta fatica a dire: non ce l’ho fatta. Ma a volte bisogna dirlo. Tutte noi guardandoci a vicenda siamo consapevoli che le donne sanno fare le cose: hanno la precisione e la velocità necessarie per lasciare un figlio a scuola, un altro all’asilo, andare al supermercato, sapere cosa comprare avendo in testa una fotografia della dispensa, sistemare la spesa con un minimo di ordine, andare a lavorare, organizzare la baby sitter per il pomeriggio, programmarsi per la riunione con le insegnanti, gestire la cena, organizzare il tempo che resta per far sì che i bambini vadano a letto presto e dormano le ore di sonno necessarie… Quello che mi fa rabbia è che il lavoro di gestione della casa non è quasi mai riconosciuto, è dato per scontato. I mariti dicono: se c’è bisogno lo so fare anch’io, ma non hanno il peso di essere il centro di tutto, ogni giorno. Ecco, questo essere il punto di riferimento, per me, è una cosa meravigliosa, che dà un valore enorme alla mia vita, ma è anche un po’ un peso, una grande responsabilità. Quando sono via di casa, dormo con il telefonino di fianco, perché può sempre arrivare un messaggino di uno dei ragazzi che mi chiede dove è una cosa, o di mia figlia che è preoccupata per un’interrogazione. Quanto al senso del piacere, ci sto lavorando. A me è stato insegnato che al primo posto stavano il dovere, l’impegno, l’umiltà: il piacere e la leggerezza li ho dovuti imparare negli anni, con fatica. Non ho recriminazioni contro i miei genitori, che ci hanno cresciuti con amore e sacrifici: a quei tempi e in quel contesto i valori erano quelli. Per questo ogni tanto mi guardo e mi vedo “pesa” con i miei figli, e cerco di “alleggerirmi”. Passare un pomeriggio a fare shopping con loro non mi viene naturale, ma quando succede riesco a prenderlo come un regalo anche per me.
Sandra Federici ,Vittoria Ravagli, Marilena Lenzi, Donata Lenzi, Gabriella Montera
https://cartesensibili.wordpress.com/2012/11/12/tempiquieti-vittoria-ravagli-perche-ancora-una-giornata-su-joyce-prima-parte/
-Sandra negli anni.2005-2009 è stata assessora alle P.O. a Sasso Marconi. Ha fatto un bellissimo lavoro di cui noi donne del gruppo Gimbutas – e non solo noi – abbiamo potuto apprezzare l’impegno. In quegli anni il sindaco era una donna e sono state possibili iniziative di particolare interesse per il mondo femminile: incontri, convegni, e una forte condivisione dei fatti pubblici, una politica vissuta così come sarebbe bello che fosse sempre. Le donne, quando sono sole in una giunta, possono spesso fare ben poco e tutto diventa frustrante e difficile. Lei era tra noi; piazze e luoghi pubblici hanno avuto il nome di donne, la sala di lettura Joyce Lussu, la piazzetta Marija Gimbutas.
Sandra, hai nostalgia di quel periodo?
La cosa che ho apprezzato di più di quel periodo, a parte avere realizzato progetti come l’Aula della Memoria, il Premio Città di Sasso Marconi, lo Scaffale delle donne in biblioteca, è stato l’aver conosciuto tante persone del paese con le quali prima non avevo contatti personali, non essendo io di origine “sassese”. Mi sono inserita davvero solo in quegli anni, e soprattutto ho potuto creare legami di amicizia che mi hanno permesso di vivere momenti piacevoli e profondi, per me di grande valore.
– Con tuo marito portate avanti un impegno importante che vi tiene sotto l’occhio a volte critico della gente che spesso giudica senza sapere, senza conoscere. Nel lavoro a volte avete avuto momenti difficili e ne siete sempre usciti, forti forse anche del vostro rapporto di coppia. Ci dici un po’ della vostra esperienza attuale?
Mi occupo della comunicazione nell’ambito della cooperativa che abbiamo fondato io, mio marito e altre persone 20 anni fa. I temi sono molto delicati, negli ultimi anni, in particolare l’accoglienza dei richiedenti asilo. Poniamo molta attenzione a non semplificare, né da una parte che dall’altra. Partiamo dal punto di vista di chi lavora nell’accoglienza, vede il problema dal di dentro, e sa che non ci sono soluzioni facili. Ad esempio, se alcuni abitanti di un paese della provincia in cui apriamo una struttura di “accoglienza diffusa” si spaventano perché si trovano improvvisamente come vicini di casa 10 ragazzoni del Mali, non sono da ignorare pensando che siano dei razzisti. Il loro disagio va ascoltato, perché legittimo, e su questo bisogna lavorare. E in questo la comunicazione è molto importante, l’apertura di spazi di dialogo, di lavoro comune. Quasi sempre i risultati sono positivi.
– Riesci a tenere lontano dalla tua casa il dolore delle situazioni in cui spesso siete immersi senza restarne fuori ma senza vivere un costante lutto che per i ragazzi potrebbe diventare presto il bisogno di fuggire?
Facciamo un po’ fatica in effetti. A volte i discorsi “passano” dentro la casa. Ma i ragazzi sono grandini ormai e sanno gestirlo, certo noi dobbiamo sempre rassicurarli ed essere disponibili a rispondere alle loro domande.
– Con tutto il lavoro che hai cosa ti ha spinto ad impegnarti per il dottorato……? Tuo marito, i tuoi figli, hanno capito questa tua scelta?
A un certo punto, avvicinandomi ai 50 anni, e dopo un periodo di “riflusso” dentro casa, ho sentito che dovevo stabilire delle gerarchie tra i famosi concorrenti che si spartivano il mio tempo. E ho capito che mentre costruivo la mia famiglia e la mia vita professionale avevo per tanti motivi messo da parte una grande passione che avevo sempre avuto: la ricerca. Allora ho pensato di riprendere tutto il lavoro fatto nel campo del fumetto africano, le informazioni raccolte, le relazioni, per realizzare una ricerca in ambito universitario. Mi sono detta: o adesso o mai più, se non lo faccio mi resterà sempre il rimpianto. Ho iniziato e sto andando avanti, anche se la mancanza di tempo mi mette in difficoltà. Ma quando un mio testo viene approvato dai miei tutor, provo una gioia profonda. Ognuno si diverte a modo proprio… Ma non sono l’unica: nel dottorato ho diverse colleghe della mia età. I miei hanno fatto un po’ fatica. Approvato a parole, ma sotto sotto un po’ subito… Pian piano però sto facendo capire che se rinunciassi per loro, lo vivrei come una profonda ingiustizia, e sarei frustrata: solo se prima realizzo me stessa, posso dare qualcosa alla mia famiglia. Infatti, mia figlia, che ha “l’occhio lungo”, quando mi vede stressata e “pesante” con loro, mi dice “mamma, hai rotto, vai un po’ in Francia a studiare, chiuditi in biblioteca così ti calmi e sei più contenta…”
– Oltre a Pietro di 12 anni, hai un figlio di 18 anni ed una ragazza di 17. Sei soddisfatta dell’educazione che avete saputo dar loro riguardo al rapporto tra uomini e donne? ti sembrano sufficientemente preparati alla vita? Troppo spesso mi pare di capire, di vedere, che questi nostri giovani uomini sono preservati da noi stesse e in qualche modo privilegiati, rispetto alle donne, nonostante le nostre idee..Li teniamo “al riparo” come sentissimo che sono più bisognosi ed è un errore enorme. Cosa ne pensi di questo stillicidio incalzante di morti, di femminicidi?
Quando si hanno figli maschi e femmine, si tende a responsabilizzare di più le femmine, anche perché spesso sono più svelte, pratiche, fanno meglio le cose. Consapevole di questo, ho sempre fatto attenzione a non chiedere di più a mia figlia che agli altri due. Non so se ci sono riuscita. Il tema pari opportunità è sempre stato presente in casa, per loro è abbastanza naturale. E’ una questione di cultura. Il dominio maschile, come dice Pierre Bourdieu nel suo libro straordinario “La domination masculine” è sempre stato “nell’ordine delle cose”. Lui la chiama “violenza simbolica”, violenza dolce, invisibile alle sue stesse vittime, che si esercita per le vie puramente simboliche della comunicazione e della conoscenza, e che è basata su categorie applicate, purtroppo, dalle stesse vittime, come se fossero naturali. Grazie al femminismo, si pian piano si è rotta questa naturalezza del dominio maschile, costruita e mantenuta storicamente nel corso dei secoli. Ci sono casi eclatanti come la recentissima candidatura di Hillary Clinton alla Casa Bianca, ma la società tutta sta cambiando, le donne si ribellano in maniera naturale a questa violenza culturale. Purtroppo, però, gli uomini sono spesso impreparati. Alcuni di loro, che non riescono ad accettare questo cambiamento, trasformano la violenza simbolica in violenza reale. Io mi sono data questa spiegazione al fenomeno terribile dei femminicidi.
– Sandra, vorrei che tu scegliessi una poesia da regalarci, una poesia che ti ha detto molto e ancora ti dice…
Eccola, è una poesia di Anna Maria Farabbi:
andrò dalla vecchia
consegnandole il mio tempo
in una ciotola d’argilla
al mio fianco il fiume scende
con dentro la montagna liquefatta
cercheranno la mia essenza acustica
e la migrazione della mia rondine interiore
Anna M. Farabbi – Solo dieci pani – Lietocolle
Cara Sandra, grazie di queste tue franche risposte che potranno interessare forse tante altre donne apparentemente “normali”.
In movimento verso la realizzazione di un sogno o tese per raggiungere un traguardo difficile, potranno trarne energia ed avere conferme: sì, con volontà e determinazione, si possono superare enormi ostacoli.
Oltre i doveri, non dimentichiamoci mai di noi stesse…
Vittoria Ravagli
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Sandra Federici è una giornalista, dal 1999 ricopre l’incarico di Direttrice della rivista Africa e Mediterraneo (http://www.africaemediterraneo.it/it/la-rivista/ ) . Questa rivista è un semestrale che dal 1992 presenta dossier su temi legati alla cultura e società dei paesi africani e alle migrazioni internazionali soprattutto tra Africa ed Europa. Dal 1995 è pubblicata dalla cooperativa Lai-momo di Bologna. La rivista è realizzata da un comitato di redazione ed è sostenuta da un comitato scientifico internazionale. Africa e Mediterraneo applica un sistema di peer review per la valutazione degli articoli proposti. Pubblica articoli sull’ espressione artistica africana in tutte le sue forme, tra cui la letteratura, il teatro, la danza, il fumetto e l’arte. Essa analizza anche il fenomeno dell’immigrazione europea, da un punto di vista culturale. Sandra Federici ha esperienza nel coordinamento di progetti europei in collaborazione con le organizzazioni europee e africane. Esempi di tali progetti includono l’educazione per lo sviluppo, le ricerche europee, la cooperazione culturale e lo sviluppo delle migliori banche dati pratiche sulla base di progetti di dialogo interculturale in Europa. Prepara un dottorato presso l’Université de Lorraine ( co-tutela con l’Università Statale di Milano). La sua tesi si occupa della produzione di fumetti di autori africani. (https://univ-lorraine.academia.edu/SandraFederici)