A Umberto Eco sarebbe piaciuta molto la mostra che Forlì dedica a Piero della Francesca, negli ampi spazi dei Musei di San Domenico, visitabile sino al 26 giugno. Fu proprio lui, infatti, giusto quindici anni fa a Bilbao, nel corso di una conferenza, ad auspicare la nascita di “un museo che serva a capire e a godere di un solo quadro” così da evitare il disordine visivo che questi luoghi spesso trasmettono al visitatore.
Col pensiero rivolto alla Primavera di Botticelli, riteneva fosse necessario accostare a questo quadro le opere degli artisti che ispirarono il pittore con una serie di informazioni storiche sull’epoca in cui egli lavorò. Senza trascurare innesti culturali non secondari legati alla quotidianità. Eco alla fine aggiunse: “Vorrei vedere nelle ultime sale, tutto ciò che mi può dire qualcosa sull’eredità di Botticelli, sino ai Prerafaelliti”.
A Forlì il visitatore non troverà antichi ricettari o stoffe del tempo. Nonostante questo, l’ossatura centrale di “Piero della Francesca – indagine su un mito”, voluta da Gianfranco Brunelli e sostenuta dalla Cassa dei Risparmi di Forlì, nel presentare un numero contenutissimo di opere del grande artista del Quattrocento, riesce a diramarsi in varie direzioni. Dopo una suggestiva e lunga rincorsa, nella quale originali, riproduzioni, documenti e fotografie, si alternano in voluto disordine temporale, il percorso espositivo s’incanala con precisione, formando tre bacini di raccolta. Nel primo troviamo coloro che a Piero indirizzarono la via: Paolo Uccello, Filippo Lippi, Beato Angelico, Fra’ Carnevale, Andrea del Castagno. Artisti osservati a Firenze, dove si era recato nel 1439 a seguito di Domenico Veneziano, per la decorazione del coro della chiesa di Sant’Egidio, in quella che fu la sua prima vera trasferta fuori dalle mura di Borgo Sansepolcro (dove era nato attorno al 1412).
beato angelico-imposizione del nome al battista
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A Borgo Sansepolcro, importante punto di transito commerciale tra i porti dell’Adriatico e quelli del Tirreno, Piero non mancherà di tornare alla fine di ogni importante incarico: a Urbino presso la corte di Federico da Montefeltro; a Ferrara da Leonello e Borso D’Este; a Rimini da Sigismondo Malatesta; a Roma da Pio II; ad Arezzo (1452) per eseguire il suo massimo capolavoro, il ciclo di affreschi dedicati alla Leggenda della vera Croce, nella cappella maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo.
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giovanni bellini- il cristo in pietà
dettaglio
giovanni bellini- compianto
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Un secondo importante momento espositivo presenta coloro che, di lì a poco, ne subirono il fascino. In moltissimi gli saranno debitori, tra questi, Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti, Marco Zoppo, Luca Signorelli, Bartolomeo della Gatta, Palmezzano, Melozzo da Forlì, sino a Giovanni Bellini, in terra veneta. Opere di assoluta qualità, scelte con attenzione, non pochi i capolavori. Tra le assenze, Pisanello e Mantegna.
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campigli- le cucitrici
felice casorati-ritratto di silvana
seurat- poseuse de profil
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Il momento della riscoperta, iniziata dalla metà dell’Ottocento sino a gran parte del secolo successivo, dopo oltre duecento anni di oblìo, caratterizza l’ultima, vastissima sezione della mostra. Dai Macchiaioli, con Lega, Cecioni, Signorini, a Puvis de Chavannes, Degas e, soprattutto, Seurat. Ma l’aria sospesa e metafisica, la capacità di sintesi, gli equilibri spaziali, la purezza della linea, la solennità dei soggetti, gli armonici sviluppi prospettici presenti in tutta l’opera di Piero, posti come regola compositiva, incanteranno una larga fascia di artisti del Novecento, nel momento in cui, placati i tumulti delle avanguardie, sentirono la necessità di ricongiungersi con la grande tradizione figurativa. Ecco allora Guidi, Morandi, Casorati, Carrà, Donghi, Ferrazzi, Sironi, Campigli, Semeghini, Gentilini, il periodo figurativo di Capogrossi, Felice Carena, Cagli e molti altri, sino a Hopper e Balthus. Sorprende l’assenza di De Chirico. “E’ come entrare in una galleria degli specchi”, ha sottolineato Enrico Paulucci, chiamato per l’occasione alla guida di un comitato scientifico assai nutrito.
Arte “non eloquente” come la intenderà nel 1950 Bernard Barenson, per la sua volontà di anteporre all’irregolarità degli stati d’animo l’alto valore del progetto compositivo. Dice Berenson: “Le sue figure si contentano di esistere. Esistono e basta. Non si danno nessuna pena di spiegare, di giustificare la loro presenza”. Con altre parole l’aveva detto Vasari: “Maestro raro e divino nelle difficultà de’ corpi regolari, e nella aritmetica e geometria”.
Un’avventura vissuta nella mente, dunque, seguendo un preciso progetto, fatto di pause e di trattenute accelerazioni. Cadenze scandite da ampie campiture cromatiche, inserite per rafforzare l’immagine. Alla rivalutazione, nel 1927, contribuirà in modo determinante la biografia di Roberto Longhi che individuerà nella sua arte la “sintesi prospettica di forma-colore” che sarà poi di Cezanne. Arcangeli farà il nome di Mondrian.
“Nascondeva sotto alle apparenze chiare e ordinate, una disciplina di ferro e un ritmo infallibile” scriverà Sironi. Mentre Casorati vedrà in lui “l’esempio più chiaro dell’equilibrio compiuto, offerto da una solennità spontanea e naturale”. Balthus si ricorda ventenne in visita agli affreschi di Arezzo: “A quel tempo nessuno conosceva il pittore che veniva trascurato: soltanto adesso si è scoperto il suo genio”. All’improvviso, la modernità di Piero della Francesca (morto nel 1492) aveva prodotto in molti artisti la sensazione che egli fosse “ancora vivente e in grado non soltanto di riposare sul proprio passato ma anche di provvedere al proprio avvenire” (Longhi).
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piero della francesca- polittico della misericordia
A Forlì, proveniente dalla Pinacoteca di Sansepolcro è giunto lo scomparto centrale del Polittico della Misericordia, un prestito sorprendente. La prima grande prova documentata dell’artista (1445). Guardandola si ha la sensazione che Piero nasca già maturo. Persino il fondo oro, impostogli dalla committenza, assume una veste grafica e luminosa. Il manto aperto della Madonna si trasforma in cupola, la testa in lanterna o fulcro, le braccia in leve di una bilancia; i fedeli inginocchiati in pesi cromatici perfettamente equilibrati. Le ombre sono tenui. L’immobilità emette il suo respiro.
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piero della francesca- madonna della misericordia- elemento centrale del polittico
piero della francesca- san girolamo e il donatore
piero della francesca- sant’apollonia
attribuito a piero della francesca-madonna col bambino -newark
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A questo sublime capolavoro si è pensato di accostare il San Gerolamo e un devoto, proveniente dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, nel cui paesaggio retrostante è possibile rintracciare punti di collegamento con le ricerche novecentesche. Non una, ma due opere, Umberto Eco avrebbe gradito ugualmente. A queste si è aggiunta una tavola raffigurante Sant’Apollonia, fatta arrivare da Washington e una Madonna con Bambino da Newark, attribuita all’artista da Roberto Longhi. La Madonna, più che distaccata e assorta sembra svagata e assente, le sue mani sono gommose e hanno qualcosa di innaturale. Il corpo del Bambino presenta sproporzioni anatomiche evidentissime e imbarazzanti. Se realmente è di Piero, pur della sua “operosità giovanile”, a noi tutti che lo amiamo immensamente non poco dispiace.
Silvio Lacasella
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Riferimenti in rete:
http://www.mostrefondazioneforli.it/it/il_complesso_di_san_domenico/
http://www.mostrefondazioneforli.it/it/calendario_eventi/
http://www.fondazionecariforli.it/downloads/files/6_MELOZZO%20FOLDER%20GRANDE.pdf
Una splendida presentazione ed una ricca scelta di immagini. Questo paese così ricco di bellezza e così poco amante dell’arte, così poco rispettoso della conservazione, della salvaguardia dei reperti che appartengono all’umanità futura. Grazie per questo amore che si legge passo passo nell’articolo e per la precisione della lettura.
Rita Trani
Grazie a Silvio che, per primo si è rimesso in moto con la passione che sempre lo anima per far rivivere queste carte ancora sensibili a quanto l’uomo produce e ha prodotto nel tempo per tutti, non solo per se stesso. Una lezione di memoria e un attraversamento che avvicina e raccorda tutto quanto ancora, per fortuna, anima l’arte e la vita pungola a cercare. Un grande grazie a Silvio.
Mi è piaciuto leggere questa presentazione precisa e accurata che riesce a porre in relazione l’antico con le sue declinazioni più recenti, permettendo così, anche a chi non è un profondo conoscitore d’arte, di leggere i profondi legami che legano gli artisti gli uni agli altri nel tempo. Però la pittura di Campigli accostata a quella di Piero della Francesca mi sembra mostrare tutti i limiti del pittore novecentesco. Ma questo è il mio personale punto di vista. Grazie.