anna taut
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il motto che mi lega e che mi libera, nella presente congiuntura è un farmi
una mia piazza pulita, dentro il mio spazio mentale mortale: (mentire, pare, in lingua
russa, almeno, è questo mio dire il superfluo): (e doppio giuoco che conduco
è qui): in questa brutta menzogna che qui scarico: (di un mio sublime motto
alternativo, parlerò in una prossima occasione):
non ho amato l’amore, ma l’osceno.
Voce stravagante dalla neoavanguardia quella del genovese Edoardo Sanguineti, poeta, artista, narratore di ritmi impertinenti e bugiardi. Scomparsa nel 2010, la sua personalità risuona ancora oggi come uno stimolo alla rinascita, ad una fuga dall’elegiaco poetare lirico e alla commiserazione del crepuscolare atteggiamento di nostalgia nei confronti di un’ “unica vera poesia”. “Torinese” nonostante la nascita a Genova, perché a Torino si compie il suo apprendistato culturale. Associato ad una poesia parodica, Sanguineti dà inizio alla sua produzione con “Laborintus”, scrivendo con un andamento contorto e misterioso da opporsi alla verticalità classica. Una personalità degna di nota proprio perché nuova, e il suo generarsi labirintico accompagnerà la sua poetica fino alla scomparsa e oltre. Egli danza nelle acrobazie della sua paratassi per giungere sempre al punto di partenza: la coscienza di un’umana esistenza intellettuale.
tutto sommato (scrisse), l’esistente, in generale (siamo nel ’26:
siamo nel mese di aprile), è una modesta imperfezione:
(modesta,
certo, a paragone dell’immenso non esistente, del puro e semplice
niente): è un’irregolarità, una mostruosità:
la voce mia, così, la mia
scrittura, orribilmente deturpano, lo so (per poco, ancora), la suprema
armonia dell’agrafia, dell’afasia:
(già rinuncio, dislessico, a rileggermi):
Scrive per reazione a qualcosa, si contorce fra la punteggiatura, gli incisi e i versi estremamente lunghi, come se il foglio non fosse sufficiente, con ironia, sarcasmo e, perché no, provocazione.
Lontano dall’ascensionale moto dantesco, lontano dalla propensione verso qualcosa di sublime, lontano da un modesto ermetismo lirico.
ritorna mia luna in alternative di pienezza e di esiguità
mia luna al bivio e lingua di luna
cronometro sepolto e Sinus Roris e salmodia litania ombra
ferro di cavallo e margherita e mammella malata e nausea
(vedo i miei pesci morire sopra gli scogli delle tue ciglia)
e disavventura e ostacolo passo doppio epidemia chorus e mese di aprile
apposizione ventilata risucchio di inibizione e coda e strumento
mostra di tutto o anche insetto o accostamento di giallo e di nero
dunque foglia in campo
tu pipistrello in pesce luna tu macchia in augmento lunae
(dunque in campo giallo e nero) pennello del sogno talvolta luogo comune
vor der Mondbrücke vor der Mondbrüchen
in un orizzonte isterico di paglia maiale impagliato con ali di farfalla
crittografia mascherata polvere da sparo fegato indemoniato nulla
Il poeta dell’osceno gesticola con le parole ci lascia ancora nel dubbio persistente: si sta prendendo gioco di noi?
Non privo di passionalità, il suo amore è intriso anche di un dramma vissuto con consapevolezza, ma comunque vissuto da essere terreno, ricco di domande, schemi che non coincidono con nulla e, nell’incessante turbinio dell’intelletto, Sanguineti tenta di mettere ordine, utilizzando parentesi, virgole, due punti. Non c’è volontà di essere virtuoso, erudito e ostentatore di retorica, c’è desiderio di comprendere, di far comprendere, o per lo meno di porre un problema in questione. Ma è così o… si sta prendendo gioco di noi?
la poesia è ancora praticabile, probabilmente: io me la pratico, lo vedi,
in ogni caso, praticamente così:
con questa poesia molto quotidiana (e molto
da quotidiano, proprio): e questa poesia molto giornaliera (e molto giornalistica,
anche, se vuoi) è più chiara, poi, di quell’articolo di dei giornali, se hai visto il «Corriere» dell’11,
lunedì, e che ha per titolo, appunto, «perché è difficile scrivere chiaro» (e che
dice persino, ahimè, che la chiarezza è come la verginità e la gioventù): (e che
bisogna perderla, pare, per trovarle): (e che io dico, guarda, che è molto meglio
perderla che trovarle, in fondo):
perché io sogno di sprofondarmi a testa prima,
ormai, dentro un assoluto anonimato (oggi, che ho perduto tutto, o quasi): (e
questo significa, credo, nel profondo, che io sogno assolutamente di morire,
questa volta, lo sai):
oggi il mio stile è non avere stile:
Questo quesito accompagna il lettore in ogni pagina che incontra; quanto c’è di ironico nei suoi numerosissimi versi? Quanto c’è di giocoso? Quanto è gioco fine a se stesso o quando il gioco diventa mezzo di comprensione? La poesia non nasce come indovinello, ma come mezzo di comunicazione. E fra parentesi, capoversi e suoni di ogni genere Sanguineti ha qualcosa da dirci che non confessa.
da che cosa (mi chiedo) mi cerco che mi scappo, così scappando, galoppando, sempre?
da me, lo so: (dal mio essere morto): (un molle morto): (scappo da una mia mala morte):
(che non è mica che mi insegue, poi): (e che non è che mi sta già alle spalle, adesso, probabilmente, nemmeno):
scappo dalla mia vita: (da te, cioè, che sei tu, la mia vita):
(se tutto questo ha così poco senso, che farci, allora?): scappo in me, scappo in te:
nel mondo tuo, nel mio: (io che ho pensato, persino, una volta, che dalla vita, ho avuto tutto,
avendo avuto te):
quando si arriva, c’è un grido: si dice tana: (è la fine, sul serio)
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Costanza Lindi
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anna taut
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Altri testi tratti da Mikrokosmos. Poesie 1951-2004, Edoardo Sanguineti
Radiosonetto
il mio libro sei tu, mio vecchio amore:
ti ho letto le tue vertebre, la pelle
dei tuoi polsi: ho tradotto anche il fragore
dei tuoi sbadigli: dentro le tue ascelle
ho inciso il mio minidiario: il calore
del tuo ombelico è un tuo glossario: nelle
xilografie delle tue rughe è il cuore
dei tuoi troppi alfabeti: alle mammelle
dei tuoi brevi capitoli ho affidato,
mia bibbia, le mie dediche patetiche:
questo solo sonetto, io l’ho copiato
dalla tua gola, adesso: e ho decifrato
la tua vagina, le tue arterie ermetiche,
gli indici tuoi, e il tuo fiele, e il tuo fiato:
Identikit
mi autoproduco, fragile, mi clono,
stacco me da me stesso, e a me mi dono:
mi autodigitalizzo, ologrammatico,
replicandomi in toto, svelto e pratico:
mi automaschero e, assai plasticamente,
sindonizzo il mio corpo, e la mia mente:
mi autoregistro, ormai, se mi iconizzo,
cromocifrato in spettro – e mi ironizzo:
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Edoardo Sanguineti, Mikrokosmos. Poesie 1951-2004- Feltrinelli 2004
a cura di Erminio Risso