CINEMATOGRAFIA E DINTORNI- Adriana Ferrarini: L’ODIO DELLA BANLIEUE

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Il 3 maggio di quest’anno lo storico Andrew Hussey scriveva sul “Guardian” un articolo dal titolo: A vent’anni da L’ODIO, che cosa è cambiato?

L’ODIO è un film in bianco e nero del 1995 scritto e diretto da Mathieu Kassovitz (vincitore del premio per la miglior regia al 48º Festival di Cannes), ambientato nella banlieue parigina, che ebbe un grande successo di pubblico all’epoca. Racconta di tre giovani, un nordafricano, un nero e un ebreo dell’est, tutti abitanti della banlieue e tutti pieni di rabbia contro la polizia, ma soprattutto contro una società che li ha spinti al margine.

Andrew Hussey, dopo aver rammentato che nel 1995 Parigi fu percorsa da una serie di sanguinosi attentati in coincidenza con le politiche di austerità dell’allora primo ministro Juppé, racconta del suo viaggio, a 20 anni di distanza,  in quello stesso quartiere di periferia dove venne girato il film. Ci vuole un’ora, dice, per arrivarci dalla stazione di Saint-Lazare e dapprima si resta stupiti da come tutto sembri gradevole: case curate, giardini ben tenuti. Ma, appena arrivati, tutto cambia: il quartiere è un esempio di squallida edilizia economica degli anni 60 e ha ora l’artificialità di un set da fantascienza. Senza senso appaiono i giganti affreschi dei poeti Rimbaud e Baudelaire sulla piazza del mercato che per gli abitanti della zona non significano niente.

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Lo storico inglese gira per il quartiere in compagnia di uno degli attori del film, Abdel Moulah Bouloudji e gli chiede che cosa è cambiato rispetto a 20 anni fa:  “Non molto. Anzi, niente” è la risposta  e intanto una macchina della polizia in incognita li segue. Ancora più negativo è il fotografo Gilles Favier che lavorò nel film di Kassowitz: secondo lui L’Odio era un film sull’amicizia e la speranza; ora, dice, potresti fare un film solo sulla disperazione.

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Ma allora mi chiedo, se gli abitanti di Chanteloup sono ancora fieri di quel film che diede loro per la prima volta visibilità e parola, non è allora su questo diritto, sul diritto di esprimersi, sulla parola agli esclusi, di chi è spinto ai margini, che bisognerebbe investire di più – o perlomeno oltre – che sulle politiche della sicurezza? La violenza, lo sappiamo, è l’arma terribile di chi non è riuscito a farsi sentire, ma vuole e deve, deve essere ascoltato. Ci piaccia o no.

Le banlieue parigine hanno tassi di disoccupazione che rasentano il 60%. Se il lavoro è il modo attraverso il quale sentirsi parte del mondo in cui viviamo, quale può essere il sentimento di appartenenza di chi il lavoro non ce l’ha e ha perso anche la speranza di averlo?

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E’ la storia di una società che precipita e che mentre sta precipitando si ripete, per farsi coraggio, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio

Con queste parole si chiudeva il film. Non possiamo permettere che con queste cali anche il sipario sul nostro mondo troppo teso alla ricerca della sicurezza per essere davvero al sicuro.

Adriana Ferrarini

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Riferimenti in rete:

http://www.theguardian.com/film/2015/may/03/la-haine-film-sequel-20-years-on-france

https://www.youtube.com/watch?v=js2_hBDi2LI

https://www.youtube.com/watch?v=sU66neLSfHQ

 

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