el greco a treviso
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Se mai fosse possibile dividere in due un articolo, senza separarne il testo, in modo da creare non solo idealmente una prima e una seconda parte, un verso e un recto, questa sarebbe l’occasione giusta per farlo. La mostra “El Greco in Italia, metamorfosi di un genio”, allestita alla Casa dei Carraresi di Treviso, curata da Lionello Puppi e prodotta da Kornice assieme a Fondazione Cassamarca e Art for Public, presenta, infatti, in forma involontaria, due lati opposti, due volti tra loro assai poco somiglianti.
Nel primo c’è un’idea di mostra intelligente, nata per focalizzare di questo straordinario artista (1541-1614) il decennio trascorso nel nostro paese (1567-1576). Anni per lui cruciali e determinanti: da quando ventiseienne giunse a Venezia proveniente da Creta – possedimento della Serenissima dal 1204 al 1669 – sino al momento in cui, dopo il successivo periodo romano, partì alla volta della Spagna. Non meno della sua arte, la sua repentina trasformazione non finirà mai di sorprendere. Quello che arrivò, infatti, era un giovane artista formatosi stilisticamente a stretto contatto con i canoni della rappresentazione bizantina del soggetto, i cui registri figurativi prevedevano la fissità dell’immagine, pur già resa sensibile da una serie di stimolanti influssi veneti e padani, giunti nell’isola attraverso stampe e disegni. Le prime opere di Doménikos Theotokopulos, detto El Greco (articolo spagnolo e aggettivo italiano), mostrano un impianto compositivo ancora incerto nella prospettiva, se vogliamo anche sgrammaticato, però capace di manifestare la singolarità di un’andatura stilistica visionaria e di singolare fascino. Andatura che in seguito si trasformerà in corsa, spingendo il corpo pittorico in avanti, tra l’ammirazione e la perplessità dei suoi contemporanei. Un carico di umori, il suo, certo dettato dalla propria indole, ma alimentato, strada facendo, dal multilinguismo delle proprie fonti. Comunque impossibile da contenere all’interno dell’incorruttibile gabbia schematica dell’icona.
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La mostra di Treviso (aperta fino al 10 aprile 2016 – Catalogo Skira), si propone di evidenziare proprio questo: la “metamorfosi” di El Greco attraverso una serie di quadri convocati alle pareti per dar testimonianza della sua trasformazione, proponendo, inoltre, accanto ad essi, alcuni necessari raffronti con gli artisti che più lo influenzarono. Nei tre anni veneziani frequenterà la bottega dell’oramai ottantenne Tiziano, cogliendo il valore della luce, sia nel momento in cui essa si adagia delicatamente sulla forma, che quando la converte in ruvida essenza, sfaldando i contorni di ciò che rende visibile. Con massima attenzione osserverà anche la pennellata sferzante e l’incedere veloce delle ombre in Tintoretto. Non poco lo incanteranno, inoltre, i bagliori notturni di Jacopo Bassano. A questi si aggiungeranno le opere incontrate durante il suo trasferimento a Roma (1570): di Correggio e, soprattutto, quelle con i corpi sinuosi e allungati del Parmigianino. Rifletterà il Manierismo con un crescendo di arroventata autostima, come quando, in una lettera al Papa, si rende disponibile per una nuova impresa all’interno della Cappella Sistina da sovrapporre a “quel Michelangelo che non sa dipingere”. Cosa questa che gli costerà la permanenza a Palazzo Farnese, dove soggiornava grazie ad una lettera di raccomandazione di Giulio Clovio, il quale l’aveva presentato al Cardinale come “un giovane Candiotto (era nato a Candia), discepolo di Tiziano.
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Ecco allora in mostra il prezioso altarolo della Galleria Estense di Modena di 1567/68, il cui nucleo centrale, assieme agli sportelli dipinti in entrambi i lati, è realizzato con sorprendente e immediata libertà espressiva, qui accanto al meraviglioso trittico del conterraneo Georgios Klontzas. Ecco L’ Ultima Cena della Pinacoteca Nazionale di Bologna (1567-70), il cui debito nei confronti di Tintoretto è evidentissimo. Lo stesso si può dire osservando la Guarigione del cieco nato, del 1573/74, eseguito quando l’artista era già a Roma. Mentre, quale punto inaugurante dei 37 anni trascorsi a Toledo, è presente a Treviso l’ Apparizione della Madonna a San Lorenzo (1576-78, solitamente a Monforte di Lemos): il Santo, nell’indossare una pianeta finemente decorata, acuisce il contrasto col cielo minaccioso presente alle sue spalle, che, nell’avanzare, pare voler inghiottire ogni altra luce.
Questo è il verso della mostra, il suo recto è meno luminoso. Non solo per tutta una serie di attribuzioni che probabilmente faranno molto discutere, ma per il numero di opere riprodotte in catalogo non presenti alle pareti. Assente è una delle quattro Crocefissioni, assente l’Annunciazione del Museo Thyssen di Madrid così come la Sacra Famiglia con Maddalena, di collezione privata; assente Il ragazzo che soffia su un tizzone acceso del Museo di Capodimonte di Napoli; assente, sempre del medesimo Museo, la Maddalena di Tiziano. Non c’è traccia neppure di un fondo oro degli esordi di El Greco: Dormitio Virginis mentre con vistoso ritardo è giunto Cristo Grand’Arcivescovo in trono e donatori di Michael Damaskinos, artista cretese. Tra un paio di mesi arriverà un dipinto bellissimo (pazienza per chi alla mostra c’è già stato): una delle versioni della Maddalena Penitente, proveniente da Budapest; per contro, tra una trentina di giorni se ne andrà l’altarolo di Modena. Mentre non compare in catalogo. Assente la Veduta di Toledo di Ignacio Zuloaga, però nel percorso espositivo compare un grande Ritratto di gentiluomo, attribuito a El Greco, sempre che non venga pubblicato nella seconda parte del catalogo non ancora disponibile. Un vero rompicapo, di natura enigmistica.
el greco-madonna penitente
el greco-la guarigione del cieco nato
el greco- l’ultima cena
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Però, lascia ancor più perplessi l’ultima sezione della mostra, anticipata da un comunicato stampa che annunciava: “Sono attese opere in anteprima mondiale di Bacon e Picasso”. Sappiamo quanto El Greco sia stato ammirato da tutta una serie di artisti impegnati tra fine Ottocento e inizi Novecento a tracciare la via delle avanguardie, scardinando le convenzioni accademiche del tempo. Furono loro a rivalutare la sua pittura, cogliendo in essa precise e utili anticipazioni. Da Manet a Kokoschka, da Cezanne a Picasso. Persino Kandinsky manifestò tutta la sua ammirazione. Quanta vicinanza, ad esempio, con i ritmi ascensionali dei cipressi dipinti da Van Gogh, a solcare la luce e la materia, mentre essa è ancora viva e incandescente. In lui sono riscontrabili le spigolosità e i volumi propri del Cubismo, ma anche le cromie acide e irriverenti dell’Espressionismo. Questo e altro ancora. Ebbene cosa succede in mostra? Viene, ad esempio, appeso senza vetro e fermato con dei lunghi chiodini, a riprova di una mancanza d’ansia assicurativa, un grande e ondulato cartone (preparatorio per un arazzo) riproducente Les demoiselles d’Avignon di Picasso, realizzato in collaborazione con madame Jacqueline de la Baume Durrbach, nel 1958, ben 51 anni dopo l’opera originaria, considerata vero punto di svolta per l’arte contemporanea. Picasso ne controllò l’esecuzione.
Non c’è Manet, non c’è Kokoschka, ovviamente manca Van Gogh, però ci sono due Crocefissioni attribuite con sicurezza a Bacon. Nel vederle, chi davvero ama Bacon, volge subito lo sguardo in un’altra direzione.
Silvio Lacasella
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Riferimenti in rete:
http://www.elgrecotreviso.it/le-opere