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PETER PAN NON È CHE UN NOME
Poesie (1970-2009) di Leopoldo María Panero
selezione, cura e traduzioni di Sebastiano Gatto e Ianus Pravo
prefazione di Leopoldo María Panero
postfazione di Ianus Pravo
con due opere di Misha Bies Golas
Testo spagnolo a fronte
Edizioni del Ponte del Sale
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La pubblicazione di questo lavoro su Leopoldo María Panero, il più grande poeta spagnolo vivente, è molto importante per me. Riesco finalmente a dar continuità al mio lavoro per far conoscere al pubblico italiano questo grandissimo autore (precedentemente avevo tradotto “Narciso nell’estremo accordo dei flauti”, e “Dal manicomio di Mondragón”, esperienze bellissime, il cui valore è sopravvissuto al tristissimo comportamento dell’editore Azimut). Presto riuscirò a pubblicare anche “Senz’arma che dia carne all’imperium”, un libro scritto a quattro mani con Leopoldo (sto lavorando alle bozze, l’editore sarà la Società Editrice Fiorentina). Penso che forse è utile proporvi lo scritto che segue, la mia introduzione del 2005 a “Narciso nell’accordo estremo dei flauti”: presenta l’autore e racconta il mio primo incontro con lui, avvenuto il 31 maggio del 2005, quando andai a trovarlo al manicomio di Las Palmas. Grazie a tutti per l’attenzione.
IL PRIGIONIERO VIETNAMITA
“Ho la mia pipa d’oppio accanto a un libro di metafisica tedesca. Il tempo, e non la Spagna, dirà chi io sia”.
L. M. P.
Leopoldo María Panero apre la porta di vetro della sala d’aspetto dell’ospedale psichiatrico S. Francisco de Paula, in Tafira, Las Palmas, e mi viene incontro deciso. Sono le nove del mattino. “Mi accompagni in città? Qui è pieno di pazzi. Mi inviti a pranzo?”.
Attraversiamo il cortile. Il cielo è grigio. Alcune palme respirano nel vento. Lo seguo fino alla porta della sua stanzetta, vi entra e ne esce dopo pochi secondi con una grossa borsa azzurra piena di libri. Un’infermiera lo ferma nel corridoio. “Leopoldo, hai fatto il letto? Hai preso la medicazione?” (“Tutta la mia stanza piena di fumo, cicche dappertutto, il letto sfatto”, “Globo rosso”, 1989). Lui ci tiene a presentarmi, lo farà con tutti gli infermieri in cui ci imbattiamo. “Questo è un mio amico. Tradurrà i miei libri in italiano. È un poeta, eh! Non è un giornalista”, e al pronunciare la parola giornalista storce la bocca. Ci allontaniamo in fretta quando un’altra infermiera inizia a gridare: “Panero, un’altra volta hai bagnato tutta la stanza!”. È molto arrabbiata. Facciamo chiamare un taxi, il centro di Las Palmas è piuttosto lontano, forse una decina di chilometri. Un infermiere ci blocca mentre stiamo salendo sulla vettura. Leopoldo ha dimenticato delle pastiglie. Dobbiamo tornare dentro. Mentre Leopoldo prende la medicazione, un ragazzo di venti o venticinque anni mi recita i versi che dice di aver composto. “Ho orinato sulle mie mani per riscaldarle”. Un’infermiera giovanissima accarezza i capelli di una paziente altrettanto giovane che piange disperatamente.
Prendiamo il taxi, andiamo in Calle de Triana, nel centro storico. Leopoldo inizia a fumare la prima sigaretta (in dodici ore ne fumerà più di duecento, io gli ho portato una stecca di Camel). “Leopoldo, oggi ho mal di gola…”, gli fa il taxista, “almeno apri il finestrino…”. Continua a fumare imperterrito. Abbasso lentamente il cristallo dalla mia parte.
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