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03 – Low. David Bowie, RCA 1977
C’era una volta un aggettivo, passato di moda: “seminale”. Veniva usato per quelle opere che aprivano una nuova strada. Come questa.
Fra ispirazione e sperimentazione, Low si configura come una delle più brusche sterzate artistiche nella storia della pop music; Bowie veniva da Diamond Dogs, Young Americans e Station To Station, suoni abissalmente lontani, la sua fama derivava da Ziggy Stardust e dal Duca Bianco, ha appena compiuto trent’anni e disorienta tutti con il prodotto di una permanenza a Berlino lunga più di un anno.
Registrato al Chateau d’Herouville, in Francia, e mixato agli Hansa Studios berlinesi, Low ha un lato A di sette canzoni già destabilizzanti, che aprono la strada al colpo di scena dell’altra facciata: un’ambient music che piega verso la world music, con suggestioni balcaniche ottenute attraverso il trattamento della voce. Bowie scrive tutte e undici le incisioni, ma quello di Brian Eno non è un contributo limitato alla composizione di Warszawa; suona il piano, il mini moog, fa la seconda voce, qualcuno pensa abbia anche prodotto il disco, ma il produttore è Tony Visconti.
Carlos Alomar suona le chitarre; Dennis Davis le percussioni, George Murray il basso; fanno la loro comparsa anche Iggy Pop, e il chitarrista Ricky Gardener. Giusto ricordare anche Subterraneans, Sound And Vision e Bee My Wife.
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04 – Storm Front. Billy Joel, CBS 1989
Della decina di canzoni, ricordavo solo Leningrad.
Ma per far riaffiorare il ricordo di We Didn’t Start The Fire – testo martellante, che cadenza nomi e fatti essenziali a partire dal 1949, anno di nascita di Joel – sono bastati pochi accordi. E anche The Downeaster Alexa è presto risalita alla superficie della coscienza, grazie allo strepitoso assolo di violino (nei credits, l’autore viene tenuto anonimo).
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Prodotto da Mick Jones, ex dei Foreigner, Storm Front vede Joel alternarsi fra piano, Clavinet e Hammond, ai fiati ci sono i Memphis Horns, David Brown e Joey Hunting suonano le chitarre, Liberty DeVito la batteria, Schuyler Deale il basso. Alcuni arrangiamenti mi sembrano inutilmente fastosi, ma indiscutibilmente è un album confezionato con grande classe.
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Più che le parole l’ascolto!
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Rudi Ghedini