andrè beuchat- la maison aux quatre vents
“…ora
che d i v e n t i prossima
del mio corpo rendi lieve ogni traccia…”
Anonimo.
.
Dunque ieri è accaduto, nel pomeriggio: lei ha chiuso l’ultima cartella. Tutte le battute infilate alle dita delle mani, come i gioielli vistosi che indossava, esibendo un fidanzamento che non ha mai smesso di praticare: quello con la vita, attraverso l’arco del tempo che in lei trovava asilo ed esilio. Disperata e innamorata, attraverso una parola maledettamente sempre intonata e fiera, spesso terribilmente tenera e acuta, riusciva in pochi tratti a raggiungere chi l’ascoltava.
Per Il Ponte del Sale, che la contattò attraverso Marco Munaro, scrisse una lettura del II Canto dell’Inferno, quasi di getto, ispirata, dettandola all’interlocutore, che l’ascoltava senza parole, senza fiato, per poter tenere il suo passo.
Avrebbe dovuto poi venire a Rovigo, per la presentazione del libro , con gli altri autori, Maretti, Caniato, Anedda, Farabbi, Bressan,Villalta, interpellati per quei primi sette canti dell’Inferno dantesco, che aprivano la collana La Bella Scola. L’aspettammo a lungo, ricordo, fuori dal teatro del Lemming, anche se faceva freddo. Aspettavamo tutti lei. Stava male e non se la sentì di venire. Ha scritto pagine che sono seminagioni d’erba sapiente, ha lasciato porte spalancate sul mondo di quel nostro prossimo che non configura nazioni o schieramenti politici, ma si lascia chiamare l’esercito degli ultimi, si è addirittura lasciata fotografare in tarda età, completamente nuda, e disarmando e mostrando l’irraggiungibilità di un pianeta, il corpo, mai praticato davvero, in tanta esposizione filmica e fotografica.
Ha parlato degli ultimi, i folli, a cui nessuno dà retta, quelli che hanno perduto la retta via, il corretto giudizio. Eppure noi lo siamo tutti, ultimi, e nessuno di noi può ritenersi estraneo alla vicenda che accomuna i diseredati, gli ammalati a quei folli che tutto questo promuove in un’ottica di fanatismo che si pavoneggia da democrazia e civiltà.
Alda Merini ha scritto la sua lettura del Canto II dell’Inferno, il suo lo viveva attraversandolo nell’ustione del fuoco che abitava ogni giorno e lei traduceva nella bellezza della parola disadorna ma vivissima, come una veste che non insegue la moda, ma è modo di vivere.
In La Terra Santa, del 1984, scriveva
Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello di Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.
.
CONTINUA QUI : https://cartesensibili.wordpress.com/2009/11/02/poesia-follia-fines-tra-lio-e-dio/
basterebbe leggere anche solo “La terra Santa” per capire che la Merini era meritevole del Nobel!
hai proprio ragione Maria Pina, ma sai, le donne…hanno mille croci in più, soprattutto se folli e povere…ne hai mai viste al Nobel?