roberto kusterle- i segni della metembiosi-quartetto
Prologo
Il tempo, in noi, penetra sempre in una dimensione mentale che è il ricordo. Un momento, a volte anche il più insolito e banale, può, inevitabilmente, diventare un “ricordo”. La memoria che non contempla i momenti vissuti e induce a dimenticarli, semplicemente li annulla. Al contrario, la memoria che rammenta dona ad essi un’inaspettata immortalità. Non ci facciamo caso nella nostra quotidianità e viviamo sempre immersi negli affanni del Presente, quasi fossimo totalmente racchiusi nella nostra contingenza, ma dentro la nostra mente è contenuto un potere enorme ed esso ha, appunto, il nome di ‘memoria’, un potere che può, talora, trasformarci in padroni di quel tempo che sempre pare sovrastarci e renderci passivi di fronte ad esso. E’, infatti, la memoria ad avere il vero potere di annullare o di eternizzare il Tempo–per–l’uomo. Nella dimensione del ricordo, il momento diviene un sentire:è fonte di nostalgia, di malinconia, di tristezza, di letizia. Ricordando, proviamo gioia o tristezza, in una parola: viviamo. Sorridiamo, sovente, sui ricordi e li guardiamo con un tono di amarezza che ci pone di fronte a questa verità: il tempo è passato e non abbiamo più il modo di riviverlo né di cambiarlo, ma solo di rammentarlo. Eppure, quando rammentiamo, il momento passato diviene quanto mai ‘nostro’ e non siamo più solo noi ad appartenere ad esso: vi appartenevamo quando lo vivevamo, ma quando lo rammentiamo, il rapporto si inverte: è col ricordo che l’uomo, infatti, si riappropria del proprio tempo, lo umanizza, fa sì che il cronologico scorrere divenga un tempo ‘umano’. La magnificenza del tempo si risolve, così, nella potenzialità umana di rammentare e nel ricordo l’uomo può arrivare a modificare il tempo che ha vissuto: lo idealizza, lo peggiora, lo arricchisce, lo impoverisce ovvero crea una sorta di doppia dimensione in cui da una parte vi è il momento realmente vissuto e dall’altra il momento per come viene rammentato e, quindi, ri-vissuto. L’uomo non si è mai accontentato di essere cittadino di un unico mondo: egli è, per sua natura, abitante di due mondi. Il sinolo di mente e corpo vive una dimensione materiale ed una propriamente mentale in cui memoria, immaginazione e desiderio si vanno a condensare. Da una parte, vi è il rapporto tra l’uomo e il suo pianeta, l’uomo e la sua materialità, l’uomo e il proprio corpo; ma dall’altra ecco un essere che vive una relazione col proprio anelare: egli non si accontenta del suo Presente e della sua immediatezza, esige di andare oltre fino ad esplorare galassie e a mandare satelliti nello spazio, in una realtà che è altra e diversa da quella della propria terra. Non pago di quanto ha nel Presente, vuole ipotizzare un Futuro e, così facendo, reclama il proprio Passato, fondamento di quanto avviene e di quanto avverrà. Il Passato è la vera origine di un individuo e senza la memoria non può dirsi esistente neppure la mente umana stessa. Rammentando il passato, l’uomo si riappropria veramente del tempo che era scorso e diviene parte attiva e non solo passiva di esso.
Solo ricordando, possiamo, sia pure per un attimo, uscire dal correre frenetico del Quotidiano, fermarci, riflettere, riscoprirci uomini e, infine, meditare sulle cose andate, su quel che siamo stati, sui nostri errori, sui nostri successi, in una parola: su noi stessi. Può apparire una scontata banalità, ma è proprio ricordando il passato che capiamo quel che ora siamo. Non possiamo farne meno: il nostro essere presente coincide con quel che rammentiamo del nostro essere stato. L’immagine di quel che siamo stati, per come noi la proiettiamo in noi stessi, da’ una rappresentazione della nostra intera personalità. La “persona” nasce, dunque, nell’uomo quando questi si accorge di non vivere ancorato solo ed unicamente nella dimensione del contingente, ma vive perché è stato prima.
L’uomo non abita l’immediato, l’uomo è il suo passato.
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Il tempo, un bambino…
Il tempo per Eraclito è simile ad un bambino che gioca con gli astragali e gli astragali siamo proprio noi. L’intero mondo, il nostro Cosmo, appartiene ad un bambino che si diverte. Ad un gioco, ad una burla, ad un sorriso appartiene la nostra esistenza. Il tempo scorre, va via e noi veniamo messi, tolti e rimessi dalle nostre posizioni di gioia o di dolore. Viviamo dentro le regole di un gioco: la cosa dovrebbe allietarci, ma, in realtà, ci sgomenta. Un’intera esistenza gettata a divertire un fanciullo! E’ davvero abominevole come conclusione di una risposta data alla domanda sul senso del vivere. Il tempo, però, a ben riflettere, è proprio così: simile ad un bimbo che ruota e colloca le nostre vite lungo percorsi e contesti che solo esso decide. Il gioco continua e non ha mai fine, in un fluire dove passano, sostano e vanno via non solo i piaceri, ma anche i dolori. Il tempo non è solo la mannaia che pone fine ad un momento di gioia e di serenità; il tempo è anche un farmaco per la tristezza, una liberazione dalla malinconia. Ci affidiamo al tempo quando soffriamo e al tempo chiediamo che il momento passi in fretta e che l’animo si risollevi presto. Malediciamo questo fanciullo quando non siamo più freschi, ridenti ed entusiasti del vivere come potevamo esserlo in passato, ma chiediamo allo stesso bambino di aiutarci negli istanti di angoscia o di disperazione. Il tempo indossa la maschera del Giano bifronte: farmaco e condanna, a seconda dei casi. Il tempo è condizione sine qua non del nostro agire, ma è anche consolatio.
Il limite del tempo è ciò che, in fondo, ci rende veramente umani e accomuna, come tali, tutti i nostri destini. Siamo tutti padroni del nostro spazio, talmente padroni da poterlo percorrere in lungo e in largo, in qualsiasi direzione si voglia, ma non sempre potremo dirci, allo stesso, modo padroni del nostro tempo, anche quando ci pare di impiegarlo nel migliore dei modi. La differenza sostanziale tra il tempo è lo spazio è fondamentalmente questa: lo spazio ci concede la padronanza delle sue direzioni; il tempo conosce, invece, una sola direzione: esso va solo avanti!
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roberto kusterle- i segni della metembiosi-l’incontro nel bosco
Nostalgia, anello di congiunzione tra felicità ed infelicità…
Un momento felice diviene ricordo, un ricordo provoca nostalgia e la nostalgia porta con sé tristezza e malinconia. Attraverso il ricordo, ciò che prima era motivo di felicità, se confrontato con un presente più iniquo, si tramuta in fonte di nostalgia e, quindi, di tristezza. Euripide fa esclamare al coro, durante una sua Ifigenia, quanto sia invidiabile il Fato di chi è sempre stato infelice, fino a farne l’abitudine e quindi a non accorgersi neppure del suo stesso malessere. L’abitudine è, così, davvero tanto grande nel suo essere ‘dolce forza’. Il vero dramma sorge quando una persona, un tempo felice, si ritrovi a non esserlo più e a fare il serrato ed implacabile confronto tra un passato sereno ed un cupo presente. Il ricordo di una felicità autentica passata diviene, dunque, fonte di infelicità.
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Il ricordo e la società
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Il ricordo forma la coscienza di esser parte di una ‘classe’ ancor più della consapevolezza di appartenervi per motivi politici, sociali e contingenti.
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Il tempo, Tyche…
Tucidide ha forse dato una visione dell’uomo tra le più felici e realistiche: l’uomo è, per antonomasia, un calcolatore. Egli cerca sempre di calcolare le proprie mosse ed il proprio destino. Il calcolo è raziocinio, ma anche strategia e progetto. Nella capacità di calcolare, l’uomo cerca di anticipare le mosse, di prevedere il proprio destino, di essere, in una parola, padrone del proprio tempo. Proprio quando, però, si manifesta l’intelligenza più fine dell’essere umano, giunge il limite più alto ed invalicabile al suo operare: la “Tyche”, la Fortuna, la Sorte. Condivido pienamente la riflessione che Lesky fa a proposito della Tyche tucididea: essa non è un principio divino né, tanto meno, metafisico; essa è il realistico Imprevisto che giunge a sconvolgere i piani più calcolati e minuziosamente dettagliati dell’uomo. Così è stato per Pericle e per la sua eccellente e sottile strategia militare per vincere la battaglia contro Sparta. Il grande statista impersona, in Tucidide, il polo dell’uomo-calcolatore che apre una dialettica di incontro/scontro con la Sorte. Da una parte lo studio della situazione, l’articolazione delle mosse da mettere in campo; ma dall’altra ciò che piomba e risolve o distrugge: l’inaspettato imprevisto. La politica è calcolo, pensiero che spiega le ali dell’intelligenza umana assieme alla consapevolezza che le ali possono essere tarpate nella maniera più improvvisa e assurda. Pericle non poteva immaginare la peste, non poteva ipotizzare che le carenze igieniche della evacuazione di massa dal “fuori dalle mura” al “dentro le mura” di Atene avrebbero favorito il diffondersi di un epidemia, la quale avrebbe, da sola, smontato un’eccellente strategia bellica, che, nel tempo, secondo appunto i calcoli più minuziosi ed astuti, avrebbe potuto portare ad una vittoria sicura. La Tyche ha sconfitto non solo Pericle, ma con lui l’intelligenza umana che aveva pianificato o osato pianificare il destino.
La Tyche di Tucidide, in fondo, altro non è che l’Aion di Eraclito: una mano che sposta pedine e che reclama la sovranità del regno.
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roberto kusterle-segni di pietra- l’eco della partenza
La morte che mi piacerebbe avere…
Non sono credente e mi dichiaro normalmente ateo, eppure, quando penso al senso del vivere e del muovere e perire delle cose, mi piace pensare anche all’Eterno. Mi piace immaginare, pensare o, forse, pure sperare che nel momento della morte vengano come delle luci, degli enti, i quali, come in una spirale, corrano ad avvolgere e a circondare l’anima di chi trapassa nell’atto di tranquillizzarla, malgrado la drammaticità del momento. Mi piace pensare che uno spiraglio di luce apra come una porta e che quegli enti ci accompagnino verso la soglia. Mi piace, infine, pensare che avvenga come un abbraccio tra il defunto e l’Eterno, che il muovere delle cose ceda il passo ad un presente che non muore, un istante che dura e che perdura. In un simile abbraccio, immagino l’anima che guarda scorrere la sua vita terrena e in quel momento realizza che la sua esistenza non altro è stata se non un ciclo che giunge finalmente al proprio compimento e che, per quanto possa esser parsa negletta, dolorosa o semplicemente insignificante, abbia, in realtà, avuto un senso autentico, il senso di un mero ricordo….
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Gianluca Mungo
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roberto kusterle- quelle poesie dal mare