LUOGHI ABITATI- Anna Maria Farabbi : CASA DI CURA PER ANZIANI con Marco Molinari

michelle bonev- foto di scena goodbye mama

foto di scena goodbye mama.

Attraverso ancora la società, luoghi, dimensioni del lavoro cercando la voce dei poeti, affinché possiamo riceverne luci limpide e significative. La poesia conduce l’individuo a un incessante esercizio interiore, di auto osservazione e lettura del mondo, di partecipazione e di inevitabile coinvolgimento non solo emotivo. Queste mie letture del e nel mondo del lavoro, oltre a porgerci spicchi di vita del nostro quotidiano, affidano a chi incarna la poesia un’utilità sociale: rimettono, cioè, in gioco la consistenza preziosa del vivere la poesia. Già nelle precedenti puntate, incontrando la fabbrica con Nadia Agustoni, Fabio Franzin, Lamberto Dolce, abbiamo sentito acutissimi punti di vista, lucidi cannocchiali dentro cui e con cui, individuare ombre, voragini, sofferenze, ma anche proposte salvifiche. (https://cartesensibili.wordpress.com/luoghi-abitati/)
Marco Molinari ci accompagna questa volta all’interno di una casa di cura: vediamo anziani, necessità, slacciamenti, isolamenti, memorie vaganti, radicate, evaporanti, assieme a un personale che argina, cura, emana calore e parola.
In una società che invecchia vertiginosamente come la nostra questa tematica è più che mai urgente
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Lavorare all’interno di una casa di cura per anziani è stata una tua scelta o una casualità?

È stata una pura causalità, considera che sono entrato per la prima volta in una struttura per anziani il giorno in cui ho partecipato al concorso che poi mi avrebbe consentito di fare questo lavoro. In quel periodo facevo concorsi di tutti i generi per trovare un’occupazione.

Se avessi la possibilità di un’alternativa ottima, con pari retribuzione economica, ma diversa collocazione, te ne andresti? Perché?

No, non lo farei perché ora questa attività mi piace molto e inoltre ha carpito qualcosa del mio spirito che è prigioniero dell’ordine e della routine di questa grande casa.

A distanza di anni, ritieni che gli operatori di una casa di cura per anziani debbano avere qualità particolari? Quali e perché?

A questa domanda risponderei di getto che sì, per lavorare in una casa di cura per anziani occorre possedere una grande umanità, una pazienza di Giobbe, il rispetto e la curiosità per le storie di vita. Prosaicamente, però, bisogna confrontarsi con la realtà, per la quale per molti si tratta di un lavoro come un altro; sarebbe importante però che venisse svolto con la giusta professionalità e passione. Attenzione: un generico slancio fraterno di compassione nei confronti della persona anziana e malata non basta, anzi ho visto combinare più danni da persone animate da questo spirito “missionario”, rispetto ad altre che cercano di fare coscienziosamente il proprio lavoro, per cui sono pagati, senza particolari retroterra sociali.

Tu stesso hai più volte detto o scritto che questa esperienza lavorativa ti ha segnato la vita, proprio per la sua intensità continua. Puoi narrarci le ragioni?
Lavorare da quasi trenta anni in una struttura per anziani non autosufficienti, a meno che uno non sia una persona completamente arida, non può non segnare la personalità. Le ragioni sono tante, e possono essere diverse a seconda delle sensibilità individuali. Io ho trovato una grande consonanza con l’altro lavoro, quello senza cartellino e leggi, quello della scrittura. La memoria, prima di tutto. Gli ospiti di una casa di riposo non sono più nessuno, sono già fuori dalla loro abitazione, fuori dalla famiglia, fuori dalla società. Anche se posseggono grandi ricchezze, ora non conta più di tanto; vi è un grande egualitarismo in queste residenze: tutti hanno un letto, un comodino, un armadio, tutti stanno dentro una routine, più o meno spersonalizzante, di procedure ripetitive. La vera ricchezza che gli è rimasta è la memoria, unica, preziosa, fonte di mille racconti, ripetuti all’infinito, linfa da cui traggono il nutrimento per continuare ad affrontare una vita che altrimenti sarebbe molto pesante. Piano piano, osservando queste persone, parlando ogni tanto con loro, ho maturato questa verità insostituibile: a un certo punto del nostro percorso siamo la nostra memoria, grandiosa o esile, fatta di migliaia di fatti e rapporti oppure di episodi insignificanti e quasi solitari, ma questo è il nostro patrimonio. Questa constatazione mi ha maturato e ha cambiato anche il mio approccio alla scrittura e alla poesia.

Puoi narrarci qualche episodio vissuto nel lavoro particolarmente significativo?

Questa domanda mi costringe a frugare nel baule delle tante persone conosciute, tanti micro episodi a volte buffi, a volte sereni, a volte tragici. Voglio citare alcune belle persone che lì ho incontrato, Irene, ad esempio, un minuscolo scricciolo, sfollata durante la piena del Po in Polesine nel 1951, a servizio di una famiglia di signori per tutta la vita; si sedeva su una sedia all’ingresso divenuta personale (guai se qualcun altro la occupava!) e osservava l’andare e venire dei famigliari e i movimenti degli altri ospiti: sia io che altri operatori se avevamo bisogno di certe informazioni, sul tale o il talaltro, ci rivolgevamo a lei. Poi Argentina, profuga istriana, cui ho dedicato una poesia, che mi raccontava le estati della sua gioventù ad Abbazia, sulla costa adriatica, lei che aiutava la madre sarta a rammendare gli abiti delle gran signore che erano in villeggiatura; e Luigi che ha fatto il cameriere a Milano, arrivato alla bella età di 101 anni, un figurino col cappello sulle ventitré fin quasi a 98-99 anni, mi diceva che un giorno, da giovane, in una strada di campagna, un signore da un’automobile gli chiese un’indicazione stradale, ed era il Re d’Italia, in persona! Infine Maria, gentile e silenziosa, ancora vivente, era già ospite quando ho iniziato, quindi è entrata appena cinquantenne; per una malattia alla colonna vertebrale non può sedersi, l’ho vista sempre in piedi, anche a mangiare, pulisce ancora da sé la sua stanza in cui rimane tutto il giorno, esce solo per i pasti e per qualche occasione speciale, mai sentita lamentarsi, saluta sempre sorridente, un simbolo di dignità e forza, di fronte alle grandi meschinità di cui leggiamo sui giornali, l’ho vista sempre e solo in piedi.

Un operatore che lavora in una casa di cura per anziani finisce forse nell’essere contaminato da una visione di non progettualità, di orizzonte spaziale e temporale in qualche modo concluso, propria di gran parte degli anziani? Viene toccato da uno stato di malinconia, sofferenza, pesantezza interiore, spesso tipica degli ospiti di questi luoghi?

Sarei ipocrita se non rispondessi che effettivamente è un po’ come dici. Hai definito con grande precisione uno stato di fatto, sentimenti che sono comuni e inevitabili. Però al di sotto di questa superficie, si agitano aspettative più elementari, desideri minimi che conservano comunque la loro forza vitale: la visita di un figlio che non si vede da mesi, un piatto particolarmente gradito che è stato annunciato nel menù settimanale, il riuscire a camminare con l’aiuto del corrimano, dopo un periodo passato a letto. Progetti basilari su cui però a volte confluiscono energie smisurate, ed è questo l’insegnamento da cogliere: l’importanza degli obiettivi non è fissata dagli altri, si determina per ognuno di noi dalla passione e dall’energia di cui li investiamo.
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michelle bonev- foto di scena goodbye mama

10.jpgmichelle bonev.

Vorrei che ci narrassi, secondo la tua esperienza, la relazione con la memoria che ha l’anziano ospite. In quale modo si distingue dalla nostra? Nell’anziano, è’ più incombente il tempo del proprio passato e le persone conosciute che lo hanno abitato? Quindi è per questo così schiacciante il senso di morte, anche ricordando i lutti trascorsi e assistiti?

Che dire, dell’importanza della memoria per gli anziani ospiti che ho conosciuto, ho già trattato in una precedente risposta. Una particolarità rispetto alle generazioni più giovani è forse data da alcune ossessioni che si sviluppano nel tempo, alcuni ricordi prendono il sopravvento e divengono un macigno nel cammino dei giorni che restano da vivere. Per molti anziani è proprio questo: un film che tutti i giorni si proietta identico nella loro mente, a cui non possono sfuggire e che la malattia spesso acuisce. Un altro aspetto che ho notato è che nel ricordo frequentemente tendono a saltare l’età di mezzo, quella della maturità, risultano invece indelebili gli episodi della gioventù, forse perché ha coinciso con eventi traumatici come la guerra, ma rimangono incisi nella mente anche tanti episodi degli anni dei primi amori, del fidanzamento, i primi periodi del matrimonio, la nascita dei figli…

In che modo si può aiutare psicologicamente l’operatore per rigenerarsi e immettere energia negli ospiti anziani?

Non saprei cosa rispondere a questa domanda, penso che ognuno viva l’esperienza di lavoro in una struttura per anziani in modo diverso, rispetto alla sua cultura, alle sue motivazioni, ai suoi rapporti con gli altri. Risposte univoche secondo me non esistono. La mia personale maniera di affrontare la malinconia che a volte si affaccia passando nei corridoi ed entrando nelle stanze è quella di sforzarmi di ricordare che parlo con un uomo o una donna, non con un malato, un vecchio, uno o una in carrozzina; solo uno come me. A volte, poi, sono loro che mi infondono energia.

Secondo te la creatività può essere alimentata, risvegliata, anche negli anziani? Può essere terapeutica? La poesia, per esempio, oltre alle altre arti?

La creatività può essere molto importante per animare le giornate. Non è facile da portare avanti per oggettivi problemi pratici, dovuti molto spesso alle condizioni di salute in cui versano gli ospiti. Ricordo un’esperienza straordinaria realizzata molti anni fa dalle animatrici che operano in struttura, una rappresentazione teatrale incentrata sulle filastrocche, le canzoncine, le tiritere della loro infanzia, con protagoniste una decina di ospiti vestite da fate. Sono state invitate alcune scolaresche delle elementari e i bambini si sono molto divertiti, meravigliati di queste nonnine un po’ buffe, penso che per loro sia stata un’esperienza altamente formativa, forse molto di più di tante pagine di libro mandate a memoria. Alcuni ospiti disegnano, stimolare la scrittura e la lettura è già più difficile come dicevo all’inizio, per disfunzioni limitanti, quali la sordità, il calo della vista e la difficoltà a mantenere l’attenzione. Un’animatrice più sensibile sta facendo tentativi di lettura per piccoli gruppi e di dettato, per recuperare le capacità manuali. Suggerirò anche la lettura di semplici poesie, è un’ottima idea.

In che modo la tua poesia ha ricevuto o subito un condizionamento estetico e tematico dal tuo lavoro?

A questo punto penso di aver già risposto in precedenza alla domanda. D’altra parte ritengo che qualsiasi lavoro o attività che uno svolga influisca sulla sua scrittura, se ha scelto di dedicarsi anche a questa. Dal punto di vista estetico il lavoro mi ha rafforzato nella ricerca dell’essenzialità, dello scavo paziente, del legare in maniera imprescindibile la parola alle cose reali, ai sentimenti, agli affetti; per quanto riguarda i temi devo dire che finora ho immesso poche volte nelle poesie le storie di vita di cui parlavo, per una sorta di rispetto della riservatezza, ma forse queste storie uniche, immense, irripetibili le ho introiettate e le porto con me tutti i giorni, guida e faro nell’illuminare argomenti minimi, trascurabili, fuori dalla Storia.

Avresti proposte per migliorare le condizioni degli ospiti, per far crescere utilmente la professionalità degli operatori?

Qui apri una finestra che implicherebbe considerazioni infinite per pagine e pagine. Questo settore, almeno nella regione in cui opero, si sta sanitarizzando sempre più, con i pregi e i difetti che ciò comporta: un’attenzione maggiore alla salute, ma anche un’immissione abnorme di procedure e protocolli, una burocratizzazione imperante. Le proposte sono semplici e di buon senso, come sempre: meno formalismi e più sostanza, attenzione alle esigenze vere delle persone, scelte che devono avere come unica stella polare gli anziani assistiti. In un contesto del genere anche la professionalità degli operatori viene di conseguenza, si aumenta con scambi di esperienze e formazione mirata, naturalmente, ma pure qui le attività di facciata, affidate a docenti non orientati agli ospiti delle strutture, sono la maggioranza. Purtroppo, si va nella direzione opposta.

Che ne pensi di iniziative artistiche all’interno della casa di cura? Aprire, per esempio, a poeti, musicisti, pittori e quindi al pubblico per eventi mirati?

Ne penso tutto il bene possibile, tanto che qualcosa ho cercato di fare nella struttura in cui opero, con un’iniziativa che abbiamo chiamato “Artisti che amano gli anziani”. All’inizio abbiamo previsto tutte le forme artistiche che citavi, compreso il cinema, la fotografia. Adesso, vuoi perché presi sempre più dalle scartoffie, ma soprattutto in ragione del fatto che gli ospiti sono molti cambiati col passare del tempo, parliamo ora della quarta età, e sono sempre più vecchi e più compromessi nello stato di salute, la manifestazione è unicamente musicale; perché solo la musica e le canzoni della giovinezza riescono a penetrare ed arrivare alla loro sensibilità e attenzione, alterate dalla malattia. Non è detto che se le condizioni migliorino da questo punto di vista, non si possa pensare ad altri eventi. La manifestazione citata sopra è aperta ai famigliari, al pubblico esterno ed anche agli ospiti di case per anziani vicine, ma è soprattutto rivolta agli ospiti, in un’ottica di portare avanti iniziative che a loro interessino e riempiano piacevolmente qualche ora di questo tratto di vita.
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anna maria farabbi

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un ospizio di oggi

4 Comments

  1. Da cinque anni frequento regolarmente una casa di riposo nella quale è ricoverata mia mamma.
    L’atmosfera nel tempo diventa *familiare* nel senso che si diventa tutti una unica famiglia.
    Dopo i primi tempi nei quali l’ho vissuta con disagio e con un certo distacco, ora senza paura la lascio entrare totalmente – sia dal punto di vista di sofferenza che di semplice gioia. Mi ha regalato e continua a regalarmi modi per ascoltare e ascoltarmi.
    E nel leggere questa intervista di un operatore e poeta ( che non conoscevo e a cui va il mio affetto e stima ) mi rendo conto che se solo avessi voglia di scavare dentro ciò che vivo, molto troverei ancora – molto di ciò che – così prezioso – accumulo e resta lì sottopelle.

    grazie.

  2. credo, da quanto ho letto e visto, personalmente, nelle case che ospitano gli anziani, e anche qui con differenze non da poco tra indigenti e paganti, che alla fine del percorso, quando il corpo si dichiara in quel sarcofago che è:d’ossa, nervi, vene e un ocolausto dei sensi e delle emozioni a cui un tempo si era abituati, la parola, qualsiasi genere di parola, si assottigli alla sillaba per cui si potrebbe sintetizzare un dolore in un UHHHHHHH!, un’attesa con EHHHH!, il dubbio con un ma ma ma ma….insomma l’os-so, del discorso e forse anche solo a un soffio mentre a poco a poco ci si assenta da se stessi. f

  3. Le considerazioini del poeta Molinari le sento frutto di uno spirito
    osservativo a tutto tondo. La visione del poeta è molto attenta alla
    parte vivente del vecchio, aspetto che condivo anche come collega. La
    vita cresce nei corpi, a ritmi diversi. questo è il tempo che impone
    un’unica velocità: quella nervosa dell’onnipotenza immortale. DEVI
    essere giovane. Molinari svela i tempi lenti, i silenzi, le attese del
    mondo senile e le riporta a ciò che sono: vita. Sottolinea anche
    l’importanza dei ritmi quotidiani, di una certa disciplina democratica
    all’interno delle strutture protette. Sono d’accordo con il punto di
    vista sull’operatore riguardo un atteggiamento missionaristico, pure io
    ho visto colleghi franare terribilmente dopo essersi dati
    completamente. E’ un mondo che ne abbiamo bisogno perchè semplicemente
    non se ne può sfuggire. La maggioranza di noi ci farà prima o poi i
    conti con l’ivecchiamento di parenti o con il proprio. Invecchiamento
    che cambia i tempi, che può dare mutismi, ricordi sconnessi, racconti
    antichi, rabbia perchè il tempo è poco, perchè i mali pungono. Ma poi
    vogliono svegliarsi anche il giorno dopo.

    Lamberto

  4. Ogni anno i bambini della scuola cantano per le anziane donne ricoverate nella Casa di Riposo Prandoni, una residenza collocata nel Comune di Torno, in riva al lago.

    CORO DI BAMBINI ALLA CASA DI RIPOSO PRANDONI

    Il rimpianto del tempo scuriva,
    l’eco del nido ammutoliva,
    l’intimità del viaggio disseccava.

    Nella sala attigua la Veranda sul lago,
    dove pilastri di legno saldavano al soffitto contorte radici,
    il coro dei bambini destava negli occhi nebbiosi
    il ricordo di un pensiero ormai smentito:

    la fede onnipotente
    d’essere punti fermi, eternamente
    destinati alle gambe svelte ed ai capelli neri,

    l’assurda illusione
    che quegli esseri sfortunati e fragili venissero
    da luoghi inesplorati, dove
    la primavera è sconosciuta e la tempesta strappa
    i logorati ormeggi.

    La memoria delle antiche bambine
    si piegava in tenerezza.

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