margaret keelan- journey
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pasqua: dicono che la parola sia proveniente dall’aramaico pasha, che corrisponde all’ebraico pesah, il cui senso generico è passare oltre, nell’aramaico-giudaico è pisḥā (siriaco peṣḥā), che poi fu traslitterato in greco in πασχα, ϕάσχα, e ϕασέκ, mentre ne la Vulgata latina è pascha (neutro) e phase. Il nome è anche messo in relazione col verbo pāsaḥ, la cui radice si ritrova anche in arabo, e che appare sia nel significato di “zoppicare” e “saltare”, sia in quello di “passar oltre (saltando qualche cosa)”: da cui si avrebbe la traduzione di “pasqua” con ὑπέρβασις, ὑπερβασία (in Aquila e in Flavio Giuseppe). Questo secondo significato è attestato anche dal nome della città di Tiphsaḥ (I [III] Re, V, 4), chiamata Thapsacus dai Greco-Romani, che era il punto ove abitualmente le grandi carovane attraversavano, cioè “passavano oltre”, il fiume Eufrate.
Ora , da qui,voglio andare oltre, voglio passare un fiume di genti, arrivare ad una storia che ancora oggi racconta da allora quanto vediamo ovunque.
Sono salito sulle mura della città,
Cadaveri scorrevano alla deriva sull’acqua
E ciò che scorsi lassù, é ciò che mi aspetta, così:
Per alto che sia, nessuno può giungere al cielo.
Per grande che sia, nessuno può coprire la terra
Gilgames e Khubaba- vv.25- da La saga di Gilgamesh– Rusconi Libri 1992
Ciò che sta scritto qui, passando oltre il tempo, è la labilità di ogni potenza, di ogni condizione umana. Gilgamesh, ovvero colui che vide ogni cosa, vedeva scorrere galleggiando lungo il fiume, i cadaveri dei poveri, così come oggi, nel nostro mare ridotto a corso d’acqua tra paesi in guerra, di una sola terra, vediamo galleggiare genti che hanno la nostra comune origine E CERCANO LA VITA, passando oltre terre in rovina per mano di altri, che non vedono la loro casa ma merce, materia di vendita e speculazione.
Siamo nel 2380 a.C. e UruKagina di Lagas, la città della bassa Mesopotamia, l’Iraq di adesso è la sede della cultura perché ciò che un governante deve fare, detto dal canto a Nanse, è avere la virtù che è “patrocinio di pietà, di giustizia,di saggezza: che tutela le vedove e gli orfani, atterra gli oppressori, condanna i colpevoli e mantiene esatte le misure.”
E’ da quella terra, da quei luoghi che le nostre lingue, quelle di cui tanto sfoggiamo un’origine che risale solo ai Greci, in realtà nascono, è da là che si forma e prende origine la civiltà poi passata oltre, tutti i fiumi delle merci, di gente in gente, di terra in terra seminata e goduta per l’ampiezza e la bellezza che portava.
Abbiamo drammaticamente dimenticato la nostra geografia a favore di una storia manomessa in qualsiasi tempo e luogo dando l’esatta mappa di una egografia che è la ecografia di un feticcio di cultura sterilizzata, in cui pasqua è l’agnello già macellato e buttato nella discarica, in cui la terra è l’uovo guasto di veleni che le abbiamo iniettato dimenticandoci che è la terra e ogni vivente, sin dal più infimo seme, dalla spora e dal batterio che l’aria irrespirabile è stata trasformata in questa che ora profuma di vigilie nuove ed è il nostro vento nei polmoni.
Loro, i vetegetali, i batteri, le spore sopravviveranno, perché erano prima di noi, legati in una catena di libertà di scelte e solidarietà naturale che ha formulato tutte le fantastiche ipotesi e i teoremi della vita.
La Terra passa oltre ogni attimo, ogni istante si rinasce e si ricrea.
Perché noi, che siamo sue cellule viventi, non facciamo ugualmente senza produrre in lei cancrene?
Questo dunque l’AUGURIO: UNA PASQUA SULLA SOGLIA GUADANDO OGNI ATTIMO GUADAGNANDO LA VITA DI OGNI ESSERE perchè lei torna, ciascuno orna della sua stessa urna e passa, oltre, anche questa storia.
che sta tutto in un seme e poi si accasa in un uovo
portabile al mattino
senza avere altra prova che un grido
poi il latte la cecità nello sguardo
lungo tutto l’arco montabile del viaggio
smontabile andatura a passo di paguro
contabile e cantabile cantore
contatore d’ore a ore e ore di sonno e filo di fiato
e cibo in un giorno avariato di io e tu e riciclaggio
dei pezzi per mutilazione dei corpi
degli altri nessuna memoria anche se è nel sangue
di tutti tutta la storia
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così che il corpo ha vie che non hanno fine
sono fughe in prospettive da punti d’infinito chiuso
tra guaine d’ossa e spine
verso altri impropri luoghi della stessa misura di un punto
meno di una testa di spillo
un flusso notturno nella vela della luna
nella regione occipitale nella luce prima
di ogni sguardo che si vede
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duecentonovantanovemila settecentonovantadue
virgola quattrocentocinquantotto
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chilometri al secondo senza perderne un grammo o un millesimo
con velocità maggiore di un razzo
e non decifra ragioni di questa magnifica potenza
che appare e scompare come l’acqua in un pozzo
una goccia in un oceano
una stella in uno sbadiglio
del mattino questo corpo ausiliario
che conosce l’arte del silenzio
e porta inscritto l’inizio del mondo dove ancora
riposa il mistero
bellezza che verrà
è già in te come un’era
un regno di buio che batte
monotono vivace
scolpisce l’organo che suona
senza esplodere i suoi cori
di voci tutti i silenzi le miniere dei tuoi ori
un augurio a te Fernanda e a quanti qui contribuiscono con le loro parole e scelte di parole a segnare un “passaggio” che ogni giorno si compie verso la vita che tutti ci abita
elina
grazie fernanda di queste parole che ci ricordano il senso del nostro essere qui e un augurio dal profondo del cuore a te e “a quanti qui contribuiscono con le loro parole e scelte di parole a segnare un “passaggio” che ogni giorno si compie verso la vita che tutti ci abita” ( non posso che ripetere le belle parole di elina).