CINEMATOGRAFIA E DINTORNI- Teatro: SI PUÒ VIVERE IN QUESTO MONDO? A proposito di ORCHIDEE di PIPPO DELBONO- Adriana Ferrarini

 foto di scena

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Mentre sul megaschermo dietro al palcoscenico vuoto appaiono teste di manichini – sì, come quelli dei negozi – e prima di queste ragazze scosciate e acrobati aitanti davanti al papa e poi teste di babbuini e scimmie e macachi impagliati con occhi di vetro che fissano lo spettatore in modo straziante e spietato, la voce fuoricampo di Pippo Delbono cita Jack Kerouac de “I vagabondi del Dharma: “Non si può vivere in questo mondo ma non c’è nessun altro posto”, prima di interrogarsi su finzione e realtà, sulla morte e sulla violenza del mondo.
E intanto altre immagini inondano lo schermo, immagini violentemente psichedeliche e immagini di struggente poesia come quella del giardino dei ciliegi dove i fiori diventano fiocchi di neve e rami si agitano, scossi dalla neve e dal vento. E mentre la voce di Pippo, suadente, pacata, appena ironica, tesse insieme le scene, sul palcoscenico appaiono si muovono danzano si alternano i suoi improbabili strampalati attori, troppo magri troppo grassi troppo vecchi, troppo veri nella loro assurdità: Nelson Lariccia, barbone di una magrezza sconvolgente, Gianluca Ballare, il down dal dolce viso lunare, Bobo, la star della compagnia, che ha vissuto quarant’anni in un ospedale psichiatrico, tutto curvo e sbilenco.
C’è una verità, c’è un mettersi a nudo dell’artista in questo mondo sempre più simile alle orchidee, fiori tropicali diventati domestici, fiori ingannevoli che è così facile contraffare tanto da non riuscire più a distinguere i veri dai falsi? Questo sembra chiedersi Pippo Delbono portando in scena il video della madre morente, che diventa quindi spettacolo nello spettacolo.
La domanda inevitabilmente non può avere risposta. Ma ci sono momenti nello spettacolo in cui una realtà altra, diversa irrompe in scena trascinandosi dietro lo spettatore. Momenti in cui si affacciano mondi dove sembra che gli esseri umani possano finalmente trovare il modo di riconciliarsi con se stessi, con il mondo, con la propria assurda e ridicola nudità, in senso fisico e metaforico.
Quando per esempio due attori entrano in scena a piedi nudi, lei ha un abito nero con gli spallini, lui la camicia bianca e i pantaloni scuri. Sul fondo del palcoscenico lentamente si cavano gli abiti, li ripiegano e li posano a terra ben ripiegati. I loro corpi non hanno nulla di spettacolare, sono semplici corpi quotidiani e proprio per questo risultano tanto struggenti. Poi mentre la voce fuoricampo di Pippo Delbono recita i versi di Romeo davanti al corpo di Giulietta che lui crede morta, riuscendo a far risuonare tutta l’incantata straordinaria bellezza di quelle parole, i due attori tenendosi per mano corrono in cerchio, lei sul lato esterno mulinando il braccio destro in un gesto così infantile e commovente. Lo schermo dietro a loro è bianco ma poi s’accende di fiamme che esplodono dietro a una rete da recinzione e alla loro danza si aggiungono gli altri attori, mentre la voce di Pippo sale ad un crescendo intollerabile. In quel momento pare davvero che un altro mondo sia possibile, un mondo in cui riuscire ad essere davvero se stessi e godere la vita in tutta la sua disarmante bellezza.
“Siamo artisti per creare un mondo in cui poter vivere” con queste parole della scrittrice Anaïs Nin, che sembrano rispondere alla sconsolante affermazione di Kerouak, si chiude lo spettacolo.

Adriana Ferrarini

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Riferimento in rete:
http://www.doppiozero.com/materiali/scene/pippo-delbono-orchidee

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