oratorio di san giorgio-padova
Se per Padova il Duecento aveva costituito l’inizio di una nuova era, segnando in maniera incisiva il volto stesso della città medievale, dal Trecento l’espansione economica e quella territoriale si accompagnarono alla magnificenza dell’arte e della scienza, con l’ascesa ma anche la caduta di una delle più potenti dinastie del secolo, quella dei da Carrara. Dal 1318, anno in cui inizia ufficialmente la Signoria Carrarese, fino al 1405, data della sconfitta definitiva da parte dei Veneziani, i Carraresi, avidi di potere e di ricchezza con un particolare gusto per l’uso delle armi e della guerra come soluzione ad ogni controversia, ma anche mecenati illuminati della cultura e delle arti, lasciarono in eredità segni tangibili in tutto il territorio padovano delle loro appassionanti vicende storiche e soprattutto favorirono in maniera incisiva lo sviluppo dello Studium patavino. Molto precocemente, forse addirittura prima delle altre corti dell’Italia settentrionale, si sviluppò a Padova quel linguaggio noto con il nome di “arte di corte”, caratterizzato da una raffinata eleganza e da novità iconografiche legate alla vita cavalleresca, cortese, alla mitologia o alla storia antica rilette in chiave moraleggiante, come appare negli episodi tratti dalla Tebaide di Stazio (un manoscritto della stessa opera era conservato nella Biblioteca Carrarese) dipinti in una delle sale della Reggia Carrarese. Guariento di Arpo divenne, dopo il 1350, il cantore per immagini di questa stagione politica e culturale, pittore ufficiale di corte come attestano documenti dell’epoca e una serie di tavole con le gerarchie angeliche (oggi al Museo Civico di Padova), realizzate per la cappella del Palazzo di famiglia. Il ciclo documenta l’altissima qualità artistica e l’apertura all’arte veneziana, con fisionomie che richiamano da vicino le icone bizantine, e sancisce, nell’apparentamento degli stili pittorici, il forte legame culturale tra Padova e Venezia. Così i pochi lacerti superstiti della decorazione ad affresco della Reggia, di mano dello stesso artista, mostrano l’unione dell’influsso giottesco e di quello bizantino e un uso del colore già fortemente connotato da un accento “cortese”, gotico, ricco di sfumature. E’ con la lunga signoria di Francesco il Vecchio (dal 1354 al 1388) che Padova raggiunge il suo massimo splendore, testimoniato in maniera eloquente dalla miriade di straordinarie opere dovute alla magnificenza del committente e soprattutto alla passione per la cultura e per l’arte di sua moglie, Fina Buzzaccarini, come testimonia il bellissimo ciclo decorativo del Battistero del Duomo, realizzato dal toscano Giusto de’ Menabuoi, omaggio d’artista alle novità dell’arte giottesca arrivate all’inizio del secolo. La città carrarese divenne così una delle corti più colte e raffinate del Trecento e uno dei più importanti centri culturali dell’Italia settentrionale, con riflessi nelle principali corti del Nord Europa, polo di attrazione di artisti e letterati, fucina di opere e di fervore intellettuale: vi approdarono poeti, pittori, scultori, scienziati, medici e giuristi, straordinarie personalità quali, oltre il già citato Giusto de’ Menabuoi, Guariento, Altichiero, Andriolo de’ Santi, Francesco Petrarca, quest’ultimo rappresentato in uno dei pochi affreschi superstiti della Reggia, nella Sala dei Giganti (attribuito ad Altichiero), per citare solo alcuni nomi, protetti e sostenuti dalla corte carrarese. Chi viene oggi a Padova per visitare la Basilica del Santo non può non restare incantato davanti agli affreschi superstiti della decorazione giottesca e davanti all’importante ciclo decorativo di Altichiero da Zevio nella Cappella di San Giacomo (1372-1379) commissionata da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna, condottiero e uomo politico di primo piano alla corte di Francesco da Carrara.
oratorio san giorgio-interno
Proprio la meraviglia suscitata dalla sua opera in Basilica indusse un altro membro della famiglia Lupi a commissionare ad Altichiero una nuova impresa decorativa per la cappella funeraria di famiglia edificata a pochi passi e decorata entro il 1384, come attestano i documenti con le ricevute dei pagamenti per le prestazioni d’opera eseguite: l’Oratorio di S. Giorgio. Prospiciente il sagrato, il sacello presenta un’architettura essenziale, a navata unica voltata a botte. Vi si conserva solo parte dell’arca del suo committente, Raimondino dei Lupi di Soragna, di cui rimangono il sarcofago e due torsi con corazza, in origine posizionato al centro e oggi in parte addossato a una parete laterale dopo le menomazioni napoleoniche, sovrastato da un ampio baldacchino gotico, dorato e dipinto in accordo con la gamma cromatica degli affreschi di Altichiero.
Sulla parete destra trovano posto l’affresco votivo con Raimondino Lupi e i suoi familiari presentati da San Giorgio e da altri Santi alla Vergine e Le storie di San Giorgio: la prima è una bellissima scena di corte che fa pensare agli sfarzi delle occasioni importanti, quando le cassapanche restituivano tessuti ricamati e la città diventava scenografia solenne degli eventi importanti. L’affresco votivo, inserito all’interno della narrazione, ha tutta l’aria di una nuova historia che si aggiunge alla prima. La lezione giottesca si dimostra ben appresa in una sensibilità spaziale attenta, evidente soprattutto nella scena del Battesimo del re e della corte, un tentativo interessante di prospettiva centrale ante litteram dove la varietà degli atteggiamenti, delle posizioni, delle espressioni dei personaggi, contribuisce a costruire un gustoso brano narrativo che parla già il linguaggio della realtà. Forte è la suggestione lasciata da queste architetture gotiche dipinte, che forse evocano scorci patavini dell’epoca.
oratorio san giorgio – santa Lucia trascinata al postribolo
Specularmente, sulla parete sinistra sono rappresentate Le storie di Santa Caterina e di Santa Lucia. Anche qui l’ambientazione e lo spazio architettonico fanno da sontuosa cornice al racconto ed è impossibile non riconoscere nelle figure riprese di spalle in primo piano o tagliate ai margini laterali il ricordo di Giotto alla Cappella dell’Arena, per cui “la storia” si espande oltre i limiti della rappresentazione, del riquadro dipinto, come un brano di realtà catturato dallo sguardo. La controfacciata ospita episodi dell’Infanzia di Gesù, mentre la parete di fondo è occupata dall’Incoronazione della Vergine e dalla Crocifissione.
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oratorio di san giorgio -la madonna col bambino in trono
La volta, come nella cappella degli Scrovegni dipinta da Giotto, è un cielo blu oltremare trapuntato di stelle dorate con Santi che si affacciano da medaglioni, questa volta polilobati. Le Storie di San Giorgio seguono da vicino la leggenda del Santo, prendendo le mosse dall’uccisione del drago, seguito dal Battesimo del re e della corte. L’uccisione del drago, iconografia popolarissima nel Medioevo in base a una leggenda sorta all’epoca delle crociate, era la rappresentazione simbolica della lotta del bene contro il male. Per questo l’etica cortese riconobbe nel Santo il suo campione, l’incarnazione dei suoi ideali. La fonte letteraria da cui il pittore ha attinto il materiale per l’episodio è la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, una vera miniera per gli artisti di Medioevo e Rinascimento, qui però interpretata e resa attuale in maniera del tutto originale. Nel primo episodio, si assiste alla Condanna del Santo, convocato davanti a un tribunale per essersi dichiarato cristiano e costretto a bere il veleno; in alto a sinistra altre figure di battesimi operati dal Santo e una nuova condanna al supplizio della ruota, che gli straziò le carni con i chiodi e le spade di cui era dotata fino a tagliarlo in due. Ma San Giorgio risuscita miracolosamente: lo vediamo quindi accompagnato da una grande folla mentre si inginocchia davanti al tempio e fa crollare con un soffio gli idoli pagani. E infine il martirio definitivo, la decapitazione. Altichiero è abilissimo nell’impaginare una sequenza narrativa molto vivace, quasi cinematografica, dove il rapporto tra inquadrature, animazione e punti di vista non risulta mai banale o scontato. La sequenza narrativa si apre con un episodio dall’ambientazione quasi dantesca: sul fondo campeggia in distanza la città, nelle scene successive teatro degli episodi, per tornare infine come sfondo con la natura aspra che accoglie il martirio. La narrazione è quindi condotta dal punto di vista cronologico ma accompagnata, come se si trattasse di sequenze cinematografiche, da inquadrature da distante, zoom, avvicinamenti progressivi, dettagli in primo piano, fino a ritornare alla inquadratura iniziale, questa volta ribaltata, come se San Giorgio all’inizio si avviasse trionfante verso la città, posta sulla destra, e infine ne uscisse sconfitto, lasciandola alla sua sinistra. Un’unità spaziale significante di estrema originalità, utile anche ad indicare anche un’unità temporale: la sconfitta del drago è avvolta nei colori diafani dell’alba, mentre la decapitazione del Santo è tutta illuminata dai toni smorzati del tramonto, come in un piano sequenza. Anche la Crocifissione mostra alcuni aspetti di novità rispetto a quella dipinta dall’artista poco prima nella Cappella di San Giacomo nella Basilica del Santo: là era la folla la vera protagonista della scena, qui invece i due ladroni, accostati lateralmente, spostano il peso compositivo sulla croce di Cristo. Veri pezzi di bravura si apprezzano nel gruppo delle donne o nello scorcio del personaggio a cavallo visto di schiena. La tecnica pittorica si fa più veloce, compendiaria, forse per la collaborazione più ampia della bottega, il chiaroscuro più marcato rileva volumi e forme perdendo però le modulazioni cromatiche intermedie e le velature presenti negli affreschi del Santo. Ma è indubitabile che la Cappella di San Giorgio rappresenti, a distanza di ottant’anni, la sfida di Altichiero a Giotto: una sfida giocata in parità, a chiudere un secolo eccezionale inaugurato con la rivoluzione giottesca nella cappella dell’Arena, un paragone che ancora cattura lo sguardo e affascina i visitatori curiosi di una Padova trecentesca ricca di tesori da scoprire.
Raffaella Terribile
L’ha ribloggato su girobloggando.
Bellissimi questi luoghi. Io sono stato a Padova di passaggio ma non ho avuto modo di vedere Altichiero (pur avendolo studiato) e mi sono ripromesso di ritornarci con più calma ampliando la visita. Abbiamo un patrimonio immenso su tutto il territorio solo che non lo sappiamo tutelare ne conservare, rischiando purtroppo irrimediabilmente di perderlo. Vedere questi affreschi datati XIV secolo ed ammirarli nella loro quasi integrità è molto emozionante, magari lo comprendessero tutti, forse avremmo a cuore anche noi cittadini maggiormente questi beni che segnano prima la nostra storia e poi le nostre ricchezze.
Optimus!