Si chiude con una significativa “nota dell’autore- editore” il libro Ortografia della neve di Francesco Balsamo: “(…) Stasera vi leggerò delle poesie che ho scritto, o disegnato per chi è fissato che io faccia le due cose insieme. Adesso, proprio in questo preciso istante, credo fermamente che mi stia a cuore solo scrivere, che io abbia fatto sempre solo questo, ma lo dico adesso che per l’appunto sto scrivendo. (…) Le parole sono sempre il retro qualcosa. Forse la faccia nascosta della mia volontà. O sono per alcuni di noi la sola volontà possibile. La parola, che non penso singolare, le , quando si mettono sulla carta quasi non si può fare a meno di rovistarle, solo allora fanno un disegno posso riguardare che mi riguarda, a quel punto m’importa poco la distinzione tra scrivere e disegnare, m’importa solo di avere dei fogli con dei segni sopra”. Ed io stesso, che qui sulle Cartesensibili ò di accostarmi al Francesco Balsamo disegnatore e al Francesco Balsamo poeta, credo di scorgervi concomitanze ed interscambi o quello che chiamerei un bilinguismo ‘artista siciliano che può così tessere i suoi sogni ad occhi aperti servendosi della matita o del carboncino per disegnare e, mi piace pensare, di quella stessa matita per comporre versi. Non copiare dagli occhi è pregnante titolo per un libro di grande formato dalla copertina rigida legata alle pagine interne tramite un dorso di tela. La soglia del libro è una fotografia stampata su due pagine intere che ritrae probabilmente il tavolo di lavoro dell’artista colmo di strumenti per il disegno e l’incisione e traboccante di libri. Questa è un’indicazione precisa: lettura, cultura e disegno si nutrono a vicenda, ma non basta, perché sovrapposte al margine in alto a sinistra della foto si leggono due citazioni. La prima è di John Berger: La mia impressione è che il disegno sia un’attività manuale il cui fine è abolire il principio della sparizione, seconda del regista Dziga Vertov: Non copiare dagli occhi.
Sfogliare allora le pagine del libro, guardare e lasciare germogliare pensieri nella mente. Il germogliare dei pensieri nella mente: raro privilegio ormai, forse, che comporta gratuità (una forma di eresia, penso) e lo spreco del tempo. Scrivo a ragion veduta “spreco”: siccome tutto (anche il tempo) dev’essere “investito” e “fatto fruttare” e messo “a profitto” stare seduti a contemplare un’immagine è spreco e perdita ed inutile ozio. Per me, infatti, Non copiare dagli occhi è un bel modo di sfruttare l’aria, l’ossigeno vitale per la mente ed approdo ad un’ortografia della neve, un modo per rimanere fuori dalla massa che celebra i riti dello “shopping” prefestivo e festivo.
Ed infatti guardo anche ricopiando alcuni versi da Tre bei modi di sfruttare l’aria (lo abbrevierò in TBM, Edizioni Forme libere, Trento, 2013) e da Ortografia della neve (abbrevierò in ODN, Incerti Editori, Viagrande CT, 2010).
Eccoli, subito, i versi che mostrano bene il modo di scrivere di Balsamo, apparentemente stralunato, capace di ricordarmi certi testi di Gian Maria Testa, pieni di mongolfiere e sottili piogge parigine:
pioviggina
e io prego raccattando
matite finite –
prego un dio cartolaio –
pioviggina:
piove a cuor leggero,
il cielo non lo sa ancora
(ODN, pag. 15)
Oppure questi altri, dedicati, appunto al prendersi cura e all’aver cura di, come sembrano essere la poesia e il disegno di Francesco, atti silenziosi coi quali prendersi cura dell’inapparente e di ciò che non immediatamente cattura lo sguardo; la poesia (e il disegno) sembrano essere momenti di silenzio all’interno dei quali accogliere quello che, delicato e fragile, fonda invece il senso di un’esistenza:
dedicato a quei miracoli
detti fra noi,
quelli di cui avremo cura –
dedicato a qualcuno
che si dedica a qualcun altro,
al montacarichi delle cose insieme –
dedicato al momento indovinato insieme
al momento chi vive la mia vita
l’ha costruita nella sua
al momento vivo la sua vita
che ho costruito nella mia
(TBM, pag. 7)
.
La fronte verso il cielo, figura tutta riversa sulla schiena, le ginocchia forse ritratte contro il petto – noi che fummo feti e che ne portiamo sempre sommersa memoria, noi a roteare nel liquido amniotico e poi ostensi all’aria e alla luce del mondo, figli della terra che guardiamo al cielo, presi tra terrestrità e richiamo dell’altrove.
arriviamo spesso in
anticipo
e sediamo nei quaderni
dei giochi che fa una candela
il mio preferito
è la moscacieca dell’ora
(TBM, pag. 49)
Ama questi accostamenti inusuali, Balsamo e matite, candele, lampade, quaderni sono oggetti privilegiati ed amati, veri luoghi e vere presenze tra i quali s’intesse il vivere;
inverno atlantico
i giorni
affiorano
a poco a poco
come timide balene
premono la fronte
sul ghiaccio sottile delle finestre
e affondano la coda
nel buio dei cortili
inverno atlantico
col mare spina dorsale
e le pinne curve dei pomeriggi
quando tira un gran vento
e ci salutiamo con la mano
dalle scogliere delle case
(ODN, pag. 19).
.
Abbiamo anche memoria sommersa della coda degli australopitechi nostri antenati oppure è perché lo spazio del disegno non vuol rinchiudersi in se stesso, ma si apre, sfugge, da quadrato si fa sinuosità di curve?
due dita di sonno,
sale di due dita
il sonno,
ma terrò fuori le orecchie,
in alto le orecchie,
verso l’arco teso
delle vostre voci
(TBM, pag. 114)
Può anche essere questo il senso del “fuori” nel disegno che stiamo contemplando o di quella sorta di escrescenza, simile alle orecchie-antenne della poesia.
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“Io osservo e, ri-avvicinandomi alla terra da cui provengo, ad essa ri-accostandomi ecco mi riconosco: la mia testa riconosce dentro di sé le medesime forme del mondo” sembra dire la figura piegata in avanti con curiosità si direbbe, il cui capo richiama il poliedro fuori del disegno.
cos’è questa
una scarpa per la testa
(TBM, pag. 15)
perché bisogna calzare una scarpa affinché la testa possa camminare e viaggiare; e la geometria è luogo dove stare per riconoscere se stessi e il mondo:
devo starmene come una piega del foglio
così è la testa al mattino
ancora rivolta
al muro di ieri
aiutare il cielo a sillabare l’azzurro
e il bianco
con una parola che sta
tra il berretto e la testa
con un fazzoletto
dobbiamo fare una risposta
devo starmene come un nodo a una parola
(TBM, pag. 20).
Oppure, poche pagine prima, quest’altro testo:
devo starmene tondo
il tondo d’infanzia di una mela
devo starmene tondo
e regolarmi l’ora
in piccoli mai
(TBM, pag. 16).
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.Dürer ci attraversa, dialoga con noi; perché Dürer? Forse perché capace di vedere come avesse appena dischiuso il proprio occhio sul creato e le sue mani che pregano, il suo rinoceronte, la sua lepre sono proprio la poetica del non copiare dagli occhi, ma del vedere con la mente; dalla lepre di Francesco Balsamo pende un sacchetto (di plastica? di juta? di carta? poco importa) oppure è un pallone aerostatico rovesciato dal momento che conosciamo due cieli: uno sopra e uno sotto di noi. Oppure è un portarsi appresso la propria vita, un raccogliere e recare con sé. Veloce leggerezza della lepre, alterna pesantezza e leggerezza di quello che il sacchetto ha raccolto.
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Un volto che c’è (o c’era), ma che, tuttavia, non c’è, forse una donna che stende i panni e quel fazzoletto-sindone, impressovi il medesimo volto assente; forse una figurazione di una morta che non trasmette orrore, né ribrezzo, ma la malinconia del ricordo e la nostalgia di una presenza fattasi assenza.
sotto i lenzuoli i morti
si accendono i lumini
per tenersi svegli
e roteano gli occhi
e ridono
scrivono lettere in una loro grafia
e le lasciano chiuse sotto la neve dei muri
o fra i fiori dei parati
siedono sui sassi
e senza scarpe
toccano il fondo
delle loro notti
poi di giorno rassettano la terra
e guardano
la morte piccola e minuziosa
dei fiori
(ODN, pag. 36).
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E questo è forse un pianto, il disco scuro della tristezza, il foro minuscolo traverso cui scorgere il mondo. Molti disegni in questo libro si aprono, si sdoppiano in una figura geometrica-segno; la pagina accoglie spazi non soltanto bidimensionali, ma che si dispiegano da se stessi varcando il limite della larghezza e della lunghezza, cercando la profondità e la specularità.
cose
acquattate
sopra un tavolo:
una pigna
in bella copia,
scritta qui con parole d’abete –
un pane,
a portata di mano,
con briciole a capo –
e una mela,
al polo rosso
di una mela –
(TBM, pag. 87)
Meditare, la concrezione stessa del senso di questi disegni: disegni-di-meditazione, disegni-da-meditazione.
essere l’apprendista
di un lume
fino ad avere i tratti
bruciacchiati
ascoltare tutte le sue parabole
leggere il corsivo delle ombre
sul muro di fronte
e imparare
la pace sorda delle luci
(ODN, pag. 21).
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Sedere in solitudine: perché penso ad una cena solitaria, in un’izbà della pianura russa? O in una casa del contado siciliano? O è un’attesa, alla Casorati. Balsamo ha soltanto numerato i disegni, non ha escogitato titoli né didascalie. La grafite, le sue ombre, le sue mille sfumature (sì: quante sfumature possono avere il nero e il grigio! Ed anche il bianco…)
dal mio palmo
di bisogno
scrivo,
il bianco del non lavoro,
due soli movimenti,
con la fine fune della neve
(TBM, pag. 40)
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Senz’altro un pellegrino, il necessario bastone e lo zaino, magari un Robert Walser durante le sue lunghe passeggiate; sembrano walseriane le parole che seguono:
mi piacerebbero solo parole
farei il guardaboschi di parole
aspetterei che la nebbia del foglio s’alzasse
per riconoscere al tatto le cose
per vedere il nudo di una casa
mi piacerebbero solo parole
ma ogni giorno è come uno scarabocchio nel petto
(ODN, pag. 43).
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Un cacciatore carico di carnieri? O un venditore di canestri? È la medesima figura di copertina, indecifrabile e piena di suggestioni. Un venditore d’almanacchi come nell’Operetta leopardiana? Uno di quei venditori di cicorielle di campagna o di lumache che un tempo percorrevano le province siciliane?
una foglia da
centesimi cinque
in cambio
di una matita
per scriverci
con l’orecchio al suolo
con la punta
del
naso
sulla terra
(ODN, pag. 26)
l’attitudine del rabdomante, il poeta-antenna che capta gli umori della terra.
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È pietra o pallone (aerostatico) l’oggetto che ti lega il petto? Ti schiaccia oppure ti solleva? Far vedere l’enigma per meditarlo; disegnare per provocare interrogativi; e leggendo i versi seguenti ecco ancora una domanda: è un autoritratto?
un libro aperto
sulla schiena
sono un mammifero
posso affiorare
a parole
nel tratto non ghiacciato
ogni dolore
ci fa ondeggiare
basta occupare tutta l’acqua
(TBM, pag. 106)
ed è vero: affiora il sospetto che lo spazio del foglio attorno alle figure possa essere non aria, ma acqua e noi mammiferi, eredi di creature dell’acqua, ci muoviamo nella nostra aria-acqua, come se dal liquido amniotico non fossimo mai del tutto usciti.
Ma si può anche imbastire un discorso attorno alle nuvole, anch’esse fatte di aria e di acqua:
di nascosto le nuvole si passano case
e si passano anche tralicci e strade
con il loro tocco interiore
ci allacciano gli uni agli altri
e sbadigliano lentamente mentre
reggono sulle gambe incerte la terra
(TBM, pag. 103).
Figure isolate, meditanti. Assorte in se stesse. La grafite addensata aumenta la solitudine. O la pesantezza di quei pensieri. C’è una leggerezza del pensiero che sembra strapparci alla gravità e c’è quest’ultima che non solo sui corpi grava, ma anche sulla mente. E, a meglio rifletterci, leggerissimo è il foglio di carta e, dovessimo misurare il peso delle particelle di grafite o di carboncino che vi si sono posate per dar vita al disegno, esso sarebbe infinitesimale: è vero, allora, che queste figure stanno ben oltre gli occhi, che il loro peso (o la loro leggerezza) sta altrove o non dentro lo sguardo soltanto.
la mia vita
di spalle,
acquattata
sulla pazienza
di una vecchia sedia
e la nuca (è la nuca),
pagina dopo pagina
(TBM, pag. 37).
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Lo stare insieme, il braccio a fare da ponte:
di notte
i miei genitori
sfogliano l’album di famiglia
seduti in cucina
sbiancano i figli
al raggio di una torcia
si raccontano
i particolari
delle loro vite
soffiano via
le date
le età
e si curvano
l’uno
sull’altra
e appoggiano la fronte
l’una
sull’altra
(ODN, pag.39).
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La candela e la lampada (Georges de la Tour), il raccoglimento che deriva dalla luce della lampada, dal suo cono acceso nel mezzo del buio:
hai sempre ben presente
una candela accesa
sopporteresti il fuoco
di toccarla
lo vedi
come afferra il soffitto
col suo moto femminile
lo vedi cosa deve al buio intorno
(TBM, pag. 116).
Explicit: ringrazio Francesco Balsamo per le dediche (tutte rigorosamente a matita) che ha voluto apporre ai suoi libri ora in mio possesso; mi piacerebbe che anche questi appunti fossero pensati essere stati scritti a matita, con rispetto e discrezione nei confronti di Francesco, con rispetto e discrezione nei confronti dei lettori.
un sasso aperto come un libro –
dentro un sasso
si nasconde
la voglia caparbia
di un fulmine
(TBM, pag. 89).
Antonio Devicienti
una nota che porge orecchio e occhio ad ogni sfumatura di parola
un lavoro davvero rispettoso di ogni segno, condotto con voce raccolta e sonora
grazie Antonio
E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
ch’è una stoltezza dirselo.
Eugenio Montale- Prima del viaggio – Satura
E’ una domanda che mi sono posta e ancora mi propongo spesso, e ogni volta che guardo sono consapevole del viaggio a cui mi aggrappo e forse anche dentro cui mi nasco o mi nascondo perché gli occhi e il cuore, la mente la lascio fuori, per ora, ti portano come ben si vede qui, sempre altrove e tu puoi sentire quella leggerezza che altrove la vita non è affatto prodiga a regalarti.Ti relega, la vita in ruoli, spesso duri, spesso violenti, spesso disarmanti, dipende, dipende dal caso e dalle possibilità in cui ti depone o ti scaraventa. Il viaggio ha queste disarmonie tragiche e cruente, crudeli, di cui sembra non esserci traccia, o segno di “mina” in questo brillare delle paro-le. Grazie del viaggio anche se, a me che amo in-seguire i -di-segni, sarebbe piaciuto di più portare e avere a disposizione immagini più grandi di queste, molto piccole, che alla luce si perdono. Purtroppo non si trovano in rete e dunque non c’è altro da fare che acquistare il libro…o c’è ancora un’altra via che si può seguire?
ferni
Un autore che non avevo mai incontrato, e che ora mi affascina in questa sintesi di parola e immagine, dove l’immagine arriva prima della parola a lasciare un’impressione, un’emozione che poi la parola definisce e rifinisce.
Conservo questa curiosità di leggere e vedere di più, grazie, Antonio, di questa proposta e di averla offerta così….
Grazie per questa proposta , apprezzata anche per il fatto che proviene da un conterraneo , e la conterraneità si ascolta nei suoni scarni ed intensi delle parole che vogliamo , mute come pietre che parlano ed istigano fulmini
L’ha ribloggato su inni in vanie ha commentato:
Antonio Devicienti su Francesco Balsamo – augurandosi di poter leggere sempre (o magari quasi sempre!) “cose così”, almeno su autori così!