Portarsi avanti con gli addii- Recensione di Francesco Sassetto

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Scrivere su Francesco Tomada non è facile, e per molte ragioni. Perché le sue opere sono state sempre oggetto di corposa ed autorevole attenzione critica, ed anche la sua terza, recentissima raccolta Portarsi avanti con gli addii (Raffaelli Editore 2014) ha già avuto, nei blog, note e letture ancor prima di apparire ed, ora, nell’edizione Raffaelli, l’eccellente postfazione di Fabio Franzin, per cui il rischio di ripetere cose già dette da altri, e meglio, è alto. Tuttavia, per l’amore che porto alla poesia ed alla persona di Francesco, accetto volentieri di correre questo rischio. Perché la poesia di Tomada è grande e vera poesia e, come tale, impossibile da inquadrare in facili etichette e schemi critico-interpretativi. I temi stessi della sua riflessione spaziano dalla poesia cosiddetta civile a motivi esistenziali, dalle memorie familiari alla registrazione degli accadimenti del presente, personali e non, un presente sempre più disumano, magmatico e confuso, privo di guide e punti di riferimento. Una materia, dunque, ricca e complessa, decantata in un labor limae durato sei anni che ha consentito all’autore di giungere ad un’assoluta purezza ed essenzialità di dettato, forse ancor più marcate ed incisive qui che nelle precedenti raccolte.
Componimenti generalmente brevi, in una lingua quotidiana e colloquiale, apparentemente facile e dimessa, in realtà estremamente asciutta, precisa e densa. Non una parola, una virgola, sovrabbondante, nulla che miri a versi d’“effetto”, nessun intento di stupire e sorprendere il lettore. Versi liberi, di varia lunghezza, animati da un respiro tutto interno e personalissimo, affidato molto più al valore semantico delle parole che ai tradizionali e consueti artifici metrici e retorici. Pochissime le rime e le assonanze, mai violenti gli enjambement, un’aggettivazione ridotta allo stretto necessario, parco l’utilizzo di similitudini e metafore. E’ vero, come indica Franzin, che molti incipit e chiuse di Tomada sono memorabili per il loro vigore: “quale è il passato di “noi”?”, ma vanno lette, a mio avviso, come il suggello definitivo di un pensiero ormai espresso a pieno di cui l’explicit condensa e raggruma, in modo perentorio, l’essenza, il punto centrale e cruciale.
La poesia di Tomada è poesia dolorosa, un dolore esposto e denudato senza schermi o mezze misure, attraversato e segnato sulla carta senza nulla concedere a ricercatezze e virtuosismi stilistici, restituito al lettore nella sua durezza e verità. Dalla proemiale citazione delle deandreiane “giornate furibonde” al “gabbiano con le ali aperte controvento” che “vola per restare fermo sopra l’autostrada” di Controvento , toccante lirica conclusiva della silloge, si definisce il tono e l’orizzonte poetico ed umano di Francesco, irrimediabilmente segnato dal dolore, dalla perdita, l’inquietudine, la perplessità e, insieme, dalla necessità di trovare e fondare dei punti saldi, delle radici che possano costituire un appiglio e un approdo cui ancorare la propria esistenza, e queste, come scrive ne La grammatica, hanno il nome di “madre”, “padre”, “figlio”, “casa”, “noi”.
Si è più volte detto della necessità di Tomada di dare alle cose il nome ed il significato esatto, programmaticamente enunciata già dal titolo della seconda raccolta A ogni cosa il suo nome. E se questo costituisce uno dei tratti più robusti ed originali del linguaggio poetico di Francesco che mira a rifondare il valore semantico della parola cui deve corrispondere una verità umana altrettanto limpida e ferma, mi sembra doveroso tuttavia sottolineare anche la capacità del poeta di riferirsi ad alcune realtà in modo allusivo o, quanto meno, per rapidi cenni, rapidi e folgoranti squarci, che illuminano ancora più efficacemente e duramente il fatto evocato. Come nei versi “io capisco tutto così tardi/anche il motivo per cui Lia/veniva a trovare papà sempre di mattina/quando in casa noi non c’eravamo mai”, dove lo squallore del tradimento paterno, rievocato attraverso la lente del ricordo infantile, si accende di una luce quasi spettrale, e la condanna del poeta si fa ancor più netta e dolente. Oppure, nella splendida Le donne della Seleco la condizione umana delle operaie, vite soffocate tra fabbrica e impegni familiari, appare ancor più tragica e ineluttabile da quella straziante “mezz’ora di troppo” in cui dover “giacere sotto un marito qualsiasi”, dove l’”immaginazione” del poeta, sostenuta da una profonda e commossa pietas, disegna un quadro di umanità offesa ancora più desolante e irreparabile, che oltrepassa di molto l’intentio civile dei primi versi.
Perché è la condizione umana, sempre e comunque, al centro delle liriche di Francesco. E, insieme, la riflessione, il dubbio, le domande che il poeta ne trae e pone al lettore, in modo così schietto e diretto, scavando così a fondo, da costringerlo a fermarsi, chiudere la pagina, e meditare su quelle domande. Anche, e soprattutto, quando Tomada tratta argomenti personali, vicende autobiografiche o problemi della sua vita, in primis l’amore e il rapporto di coppia. Insisto nel definirle “riflessioni” perché Tomada legge ogni aspetto dell’esistenza in chiave di appassionata quaestio, aperta e problematica, che non può che coinvolgere anche il lettore. L’amore, la coppia, i figli, per quanto fondamento e radice dell’esistenza sono anche fonte di dubbi, come nella strofa conclusiva dell’altissima Portarsi avanti con gli addii, pt.II: : “io e te quel silenzio/dovremo vuotarlo come un salvadanaio/ per vedere se prima/lo avevamo riempito”. Quell’”io e te” sono certo Francesco e Paola e sono ogni coppia che si interroghi sulla realtà della propria consistenza, sulla verità – e il mistero – dei momenti più intimi: “penso al fiato veloce di prima/che era tuo e nostro insieme/mentalmente faccio la differenza/per capire quanta parte del tuo respiro/sia dedicata a me”. Domande che abbracciano tutto ciò che è “nostro”: la casa, gli oggetti, i figli: “abitare non vuol dire/che gli oggetti hanno ognuno il giusto posto/ piuttosto/che dovremmo averlo noi”, in una chiusura di Nostra Signora del Disordine intensa e dolente nel non risolvere, non dire qual è il “giusto posto” e se esiste davvero, avvolgendo il lettore in un dilemma esistenziale non eludibile. Ed il Tomada padre, di fronte al figlio ormai cresciuto, più alto di lui, sente tutta la propria debolezza, la difficoltà del suo ruolo, e ciò che gli sembra possibile insegnare al figlio, l’esperienza di cui fargli dono è condensata in pochi, densissimi versi: “ti direi di stare attento/guarda dove metti i piedi/chiediti da dove sei partito/ dove stai andando/e soprattutto con chi”. Così ancora, sempre rivolto al figlio e ancora in chiusura di componimento: “e non è detto che chi ti sta aspettando/ sia sempre qualcuno che ti vuole bene”. E non è forse qui riassunto, in mirabile essenzialità, tutto il problema dell’essere genitore, del cosa trasmettere ai figli, quali insegnamenti lasciar loro in eredità?
Versi che spiazzano per la loro immediata, cruda verità, disarmanti nella loro franchezza e forza di convinzione, riflessioni e perplessità inquietanti e affascinanti che fanno della poesia di Tomada, a mio avviso, una delle più alte testimonianze di umanità, da un lato, ed uno dei più riusciti discorsi poetici che oggi si possano leggere. E la ragione fondamentale del fascino e dell’alto tasso di pervasività e persuasività che caratterizzano la poesia di Tomada va ricercata nella straordinaria capacità del poeta di allargare l’io al noi, di partire da accadimenti personali, a volte al limite del più stretto autobiografismo, per giungere a temi e problemi di portata universale, senza mai proporre facili e consolatorie soluzioni, senza avere mai, direbbe De Andrè, “alcuna certezza in tasca”, ma, al più, qualche scarna verità, qualche traccia da seguire – e proporre agli altri – per non perdere del tutto l’orientamento in una realtà sempre più confusa, povera e dolorosa. In questo movimento dall’io al mondo risiede, ripeto, l’altezza della poesia di Francesco, lucidamente consapevole che, comunque vada, per lui e per tutti “alla fine il contatore/si stancherà di girare”.

Francesco Sassetto

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Da Portarsi avanti con gli addi , Francesco Tomada
Dalla sezione “Penso sempre a tante cose”

La grammatica
Quando i bambini cominciano a parlare
non pronunciano frasi intere
ma singole parole ridicole e imperfette
però palla è palla
gatto è gatto
ed è una cosa imparata che resta per sempre
a me di tutto l’italiano basterebbe poco
soltanto qualche vocabolo, ma da dire con quella sicurezza
come madre padre figlio
e la parola casa come una parentesi che chiude
la parola noi.

*

Mezzo vuoto mezzo pieno
Io ti osservo e penso sempre a tante cose
che vorrei avere più tempo e più attenzione da te
che invece per i figli sei presente e ti consumi
come io non sarei mai capace
ma anche quando resto ai margini di te
comunque c’è bellezza nel vederti
in fondo
neanche i fiori fioriscono per noi

*

L’Italia (è un melograno)

Io in vita mia ho comprato e trapiantato un unico albero
un melograno

ho scelto un angolo del giardino
da dove si vede la ghiera dei monti
dal San Gabriele fino al Nanos
quella cresta è stata Italia e Jugoslavia e poi Slovenia
è stata terra dolorosa e di rancore

i confini dovrebbero essere come gli orizzonti
quando ti muovi si muovono anche loro
se ti fermi si fermano con te
ma ti fanno sempre sentire al centro esatto del mondo

e patria è dove
un uomo pianta un melograno
e può aspettare di mangiarne i frutti

*

Dalla sezione “Terra di nessuno”

Le donne della Seleco

Le ho viste uscire alla fine del turno
camminando ma senza toccare il suolo
guardando i lampioni ma senza vedere
la luce e mentre svanivano le ho
immaginate aprire la porta
baciare i figli scaldare in forno
la cena e poi ripulirsi e a volte
giacere sotto un marito qualsiasi
con l’aria di chi da anni ha imparato
che manca sempre mezz’ora di troppo
alla fine del giorno

*

Dal medico, in sala d’attesa
La ragazza sordomuta chiacchierava con sua madre
si può dire “chiacchierare” per chi si esprime a gesti?
aveva nella mani la grazia delle adolescenti
mentre i movimenti diventavano parole
io cercavo di intuire il senso o almeno
se c’era un tono di rabbia o quiete o domanda
come nelle nostre voci
i suoi lineamenti non sembravano di qui
“veniamo da Belgrado”
mi ha raccontato dopo la donna
e parlate una lingua più che straniera
per questo non capisco
è la sola lingua in cui nessuno
……………nessuno può gridare.

*

Dalla sezione: “Otto polaroid da Campoformido”

III.
Eravamo questo:
passare tutti i giorni dopo la scuola dal signor Mario
che mi insegnava a lavorare il legno
fino a quando tu non mi hai detto
non puoi andare sempre, non sta bene
e io Mario sta bene, non è malato
e tu hai capito cosa intendevo
e invece no davvero, madre
io capisco tutto così tardi
anche il motivo per cui Lia
veniva a trovare papà sempre di mattina
quando in casa non c’eravamo mai

IV.
Ho visto:
il corpo di una talpa morta sull’asfalto
sui resti quasi decomposti delle orecchie
due farfalle azzurre che battevano le ali
sembravano volessero sollevarla
una bellezza assoluta ma triste
ho pensato:
allora gli angeli esistono davvero
però non riescono a portarci in cielo.

*

Dalla sezione “Portarsi avanti con gli addii”

A conti fatti

Lo puoi vedere ancora nei miei occhi:
sono stato un bambino con poca gioia

invece il tuo sorriso esplode spesso senza alcun motivo
allora ho pensato che ne potesse avanzare per me
e anche per altri

per questo è nel tuo ventre
che ho cercato i miei figli

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Portarsi avanti con gli addii, pt. II

Il silenzio è la materia di cui sono fatti i tronchi degli alberi
i sassi
e spesso anche mia madre

è il pettirosso ucciso dal gatto
che si decompone nella terra del giardino

il silenzio cementa le malte dei muri
si stringe sui chiodi piantati
abiterà le stanze quando i nostri figli
saranno andati via

io e te quel silenzio
dovremo vuotarlo come un salvadanaio
per vedere se prima
lo avevamo riempito

*

Dalla sezione “Via degli Orzoni (a mia madre, a mia sorella)”

Anime salve

Dieci anni fa cambiavo i vestiti ai miei bambini
lavavo la loro nudità e lo sporco
prima di averli pensavo che mi avrebbe impressionato
e invece no
oggi faccio lo stesso con te
e quel pudore assoluto che ci ha sempre accompagnati
non esiste più, non c’è vergogna
in nessuno dei due
ho imparato prima ad essere padre
e solo dopo figlio
appena in tempo, mamma, ma ce l’ho fatta
adesso puoi andare

*

Dalla sezione “E poi, noi”

Nostra Signora del Disordine

Stiamo sempre a riempire e vuotare scatole
spostare i vestiti negli armadi
portare qualcosa in soffitta o in cantina

così sembra di traslocare di continuo
anche se viviamo nella stessa casa

tu non sei mai soddisfatta e io
non capisco non ti capisco più

abitare non vuol dire
che gli oggetti hanno ognuno il giusto posto
piuttosto
che dovremmo averlo noi

*

Una forma di gelosia

Ti sei addormentata ancora nuda
adesso il tuo torace si muove lentamente
lo sento appoggiandoti le mani sulla pelle
penso al fiato veloce di prima
che era tuo e nostro insieme
mentalmente faccio la differenza
per capire quanta parte del tuo respiro
sia dedicata a me

*

Quello che posso insegnare

Intanto impara le cose semplici
non come ieri che hai attraversato
la strada senza guardare
per la paura poi ti ho abbracciato
gridando

hai spiegato che non si sentiva
il suono di nessun motore

intanto impara due cose semplici

le auto di domani saranno sempre più silenziose
e non è detto che chi ti sta aspettando
sia sempre qualcuno che ti vuole bene

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tomada cover

 

Francesco Tomada, Portarsi avanti con gli addii- Raffaelli Editore 2014

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RIFERIMENTI IN RETE:

http://ipoetisonovivi.com/2014/03/26/fabiano-alborghetti-consiglia-francesco-tomada/

http://viomarelli.wordpress.com/2014/12/19/portarsi-avanti-con-gli-addii-francesco-tomada/
https://alessandrocanzian.wordpress.com/2014/12/13/portarsi-avanti-con-gli-addii-francesco-tomada/

http://www.parcopoesia.it/portarsi-avanti-con-gli-addii-0

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10 Comments

  1. Un libro di volti e sugli spazi dell’umano che ci ricordano cosa sia dover vivere.
    Darò una lettura appena mi è possibile, intanto a Francesco un in bocca al lupo per il libro e grazie al recensore.

  2. Grazie di cuore a fernanda e a Cartesensibili per la generosa ospitalità, grazie a Francesco per la stima e l’amicizia e per avermi dato la possibilità di leggere la sua poesia così vera e profonda. doni preziosi in un tempo così poco umano.

  3. Ho atteso qualche giorno per lasciare un segno, ho riletto più volte e sempre con maggior affetto queste poesie. Il titolo è così perfetto! Dire prima ciò che si rimpiange poi di una persona amata, di un incontro casuale, di un luogo, di una angolo della nostra esistenza con gli altri. portarsi avanti con gli addii, dire l’amore prima che sia troppo tardi.

  4. Tomada è un poeta unico, così come unico rimarrà l’esempio di questo libro splendido, che consacra l’autore tra le voci più importanti della poesia italiana.
    Formalmente e stilisticamente perfetto. Qui si sente il dolore della vita: un vissuto dove mani e braccia non bastano mai per tappare le falle dell’assenza e del vuoto, sempre più intensi e frequenti nel loro divenire. Ma, allo stesso tempo, il lettore può gioire di una poesia purissima, che attinge all’umiltà di luoghi abitati spesso dalla tragedia, ma fertilissima dal punto di vista umano e letterario.
    Nino Iacovella

  5. Grazie a Francesco per la sua lettura così attenta e generosa, e uno ad uno a quelli che hanno voluto lasciare un segno. Mi fa un grande piacere, così come mi fa piacere essere ospitato in questo sito così attento e di valore.

    Francesco t.

  6. Non c’è un solo verso tra quelli proposti che non mi abbia profondamente emozionato e stupito, nella sua apparente preziosa semplicità. La poesia “vera” ti trafigge , e rimane in te come una cicatrice . Grazie . Nadia Chiaverini

  7. Ha ragione Sassetto: difficile scrivere sul libro di Tomada – e forse su Tomada in genere. Ma non perché non si sia in grado di farlo – e infatti Sassetto lo ha fatto bene. Ma perché alla poesia di Tomada poco si piò aggiungere – forse nulla. E’ una bella cosa. E’ la dimostrazione che la poesia parla senza bisogno di interpretazioni. Ciao a tutti.

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