giulia incani- illustrazioni e cover
.Dodici mesi intervallati da disegni che sembrano fantasie oniriche di un botanico: le piante non perdono nessuno dei propri particolari di genere, ma come se un vento liberty fosse passato ad allungare in morbide e misteriose volute radici, steli, foglie. Come se per ritrosia le piante celassero le proprie bellezze più eclatanti e note, per offrire al flash del paparazzo improbabili scorci, visuali inconsuete. Come se fossero guardate da un occhio alieno. Quello dei bimbi, appunto.
Se ci pensiamo, infatti, i bambini vedono da alieni. E si comportano da piante come quelle disegnate: quando, ad esempio, rifiutano di essere esibiti in posa, e si esibiscono in smorfie, contorsioni di membra (soprattutto le gambe, avete presente?) umanamente impossibili. Piante, alieni. Fa bene la disegnatrice Giulia Incani, nella parte terminale del libro lasciata a disegni da colorare, fa bene a proporre immagini spesso di non immediata decifrazione, se non interverrà colore, ma anche ulteriore segno e narrazione dei particolari: ad esempio nel primo disegno c’è un pulcino nel nido, sì, ma che potrebbe, e forse così è, navigare in un mare con tanto di spuma d’onde. Due misteriose palline (più che uova, forse le boccette di vetro che si criccano nella pista di sabbia) galleggiano nel mare. Vi immaginate cosa può farci un bambino? Ma non meno interessante il secondo disegno, che potrebbe essere preso direttamente da un film di De Palma, col ragno che arriva senza dubbi sui suoi intenti sulla preda-mosca, catturata nella tela (che sembra terra viva, con zolle munite di occhietti) e già nella resa a zampe larghe, in rassegnata attesa. Crudele? Spaventoso per i bambini? Da stigmatizzare e censurare come qualche tempo fa la matrigna disneyana di Biancaneve o il lupo ingordo di Cappuccetto Rosso? No. E sono proprio le poesie connesse a questi disegni di Anna Maria Farabbi che ci convincono.
che cos’è se non il mistero di una mappa sensibile
e carnivora cos’è se non la perfezione
tessuta da un filo invisibile
che ora davanti a me brilla di brina
che cos’è
se non la terribile bellezza
dentro cui muore la mosca? 1
E’ con delicatezza, ma anche con fermezza, che qui si dice senza veli della vita, della sua dicotomia, della sua doppiezza a volte. Come è giusto, dopo qualche vezzeggiamento (che ci concediamo più per noi che per loro-bimbi: un modo di cedere un po’, diventando un po’ scemotti, senza temere critiche dal circondario della gente ‘seria’), parlare coi bambini e non lallare, così è giusto dire e mostrare la vita com’è. Ad esempio c’è la morte. E ci sono spesso prima gli ospedali, poi i funerali, poi i cimiteri… Vedete spesso bambini, oggi, per le corsie degli ospedali, alle esequie funebri, davanti alle tombe? Che poi ci ‘vengono su’ innamorati-adoratori di vampiretti vanesi da beauty-center, ma da restare paralizzati in crisi di panico per un piccolo malessere che anche solo lontanamente adombra l’innominabile ‘morte’. Quand’ero piccola mia madre, per niente sadica, mi portava ai funerali: dovevo capire e imparare a conviverci. La ringrazio adesso, perché so pensarci, alla morte (non smette di essere terribile, ma sta in mezzo alle cose della vita), e so affrontare una visita difficilissima al reparto oncologia, e non mi fanno paura gli horror-film. Mi viene da pensare a quel bellissimo testo di Clarice Lispector, La passione secondo G.H., in cui l’io narrante, per arrivare al godimento della vita:
La vita mi è, e non capisco ciò che dico. E allora adoro…………………………………………………….
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attraversa, nell’indistinto onniconnettivo del subumano materico, anche l’orrore dell’essere che mangia l’altro essere, e lo accetta come naturale:
L’inferno è la bocca che morde e mangia la carne viva impregnata di sangue, e chi è mangiato urla con l’esultanza negli occhi […] l’inferno era: l’accettazione crudele del dolore, la solenne mancanza di pietà per il proprio destino, l’amare più il rituale di vita che non se stessi – quello era l’inferno, dove chi mangiava la faccia viva dell’altro si rotolava nella gioia del dolore.3
[…] vivere è sempre una questione di vita e di morte, di qui la solennità. […] la vita … è in noi, e … noi ce ne serviamo. […] Io sono dolce, eppure la mia funzione di vita è feroce. Ah, l’amore preumano mi invade. Io capisco, io capisco! La forma di vivere è un segreto talmente segreto da essere lo strisciare silenzioso di un segreto. 4
Così anche è possibile e giusto rovesciare i canoni rituali di una narrazione come la favola di Cappuccetto Rosso, per trasformare la bimba e la nonna, da vittime, in costruttrici di pace:
la mia mantellina rossa vola verso la nonna
che a quest’ora ci scommetto
bacia e colora di pace
il lupo 5
Perché, come sanno i bambini, l’imprevisto, il diverso è nelle possibilità del mondo e bisogna osarlo:
con uno sciame di uccelli vado dal cacciatore
e gli dico di uccidere il fucile 6
giulia incani
In questa raccolta di poesie proposte alla lettura dei bambini, non superficialmente, non retoricamente sono presentati temi tra i più difficili dell’attuale mondo sociale:
quando sarò grande giocherò con tutte le creature
che vengono dal mare con le barchette bucate
o camminando sulle acque 7
andremo dal re
per farci ridare i pani e i pesci e l’acqua bella da bere
in cambio porteremo dei giocattoli di fango
per le sue manine ladre
e gli insegneremo a giocare alla pari
con i poveri del mondo 8
la storia del vento
soffia da un orecchio all’altro
strappa le bandiere e i confini
rovescia carrarmati sdraia
e addormenta soldati
si ascolta in un campo
di concentramento
o in una stanzetta buia di ospedale 9
Perché i bambini non abitano la luna, pur toccandola nel loro immaginare, né possono vivere sotto una tenda ad ossigeno che depuri il loro respiro dai virus patogeni della nostra attuale inciviltà. Se si vuole farli crescere forti e capaci di opporsi a mali globali così gravi da apparire endemici ed ineluttabili, è bene farli entrare da subito, a partire dalle favole, dalle poesie, nel mondo vero che sta loro intorno. Senza che lo scopo prevarichi il loro modo di immaginare, pensare, giocare. E se si tratta, come qui, di poesia, senza che il fine educativo deformi la specificità di un messaggio come quello della poesia, che si incentra, parrebbe assurdamente, non sul contenuto del messaggio, ma sul modo di porgerlo, sulla forma, sull’eccezionalità con cui è fatto arrivare. La poesia non dice cose originali, che magari altri linguaggi – come quello politico o filosofico o pedagogico – dicono meglio e compiutamente; la poesia si limita a dire cose spesso ovvie, ma sentite, guardate, proposte in modo diverso. Una diversità che sta dentro la polisemia della poesia, a quella apertura, cioè, sincronica di molti possibili insieme, di molte facce, di imprevedibili o impreviste sfaccettature. Dove non esiste il principio di non-contraddizione, la dicotomica distinzione tra luce e ombra (avete visto il bellissimo film turco di Nuri Bilge Ceylan?, Il regno d’inverno?).
Dice Anna:
la maestra dice che anche gli aquiloni vanno a scuola
del vento
e che ogni mattina i bimbi in Afghanistan
scrivono senza banco né penna
intingendo un’asticella di bambù
in un barattolo di fango
Imparano sul campo le migrazioni
delle lettere dei numeri degli uccelli
e del canto 10
Non si tratta della consueta denuncia della terribile condizione infantile di un qualche paese povero e martoriato. Perché questi bimbi sono bimbi, ma anche aquiloni, perché a qualcuno può venire in mente il particolarissimo gioco a rincorrere gli aquiloni di cui parla un famoso romanzo e immaginarli così, a leggere il cielo; perché “lettere” e “numeri” sono insieme anche i segni che gli uccelli tracciano in volo, se si scrive con “un’asticella di bambù” con inchiostro di fango; dove il fango non è solo segno di miseria, ma anche di diversità, di ‘aquiloneria’ mi viene da dire.
Ecco cos’ha di speciale questo libro di Anna. Non a caso, secondo me, messo al mondo sofferto, da una donna che accompagnava la mamma alla morte, alla separazione più definitiva; capace, però, di superarla con uno di quei salti d’acrobata che ai bambini sono naturali come camminare; certo dentro una certezza di genere, una forza di femmina che sta salda nella sua genealogia. Ma quel canto del nome “in fila indiana” è soprattutto una di quelle alzate di spalla con cui i bambini, messi all’angolo e vinti di ogni resistenza, si scrollano il negativo di dosso e buttano là l’invenzione di un qualche ‘altro’ che – ‘tana-libera-tutti – li salva:
intanto per non sentirmi sola canto
il mio nome in fila indiana
dietro a quello di mia madre di mia nonna
e della madre della madre di mia nonna 11
Proprio per questo dolore, forse, Anna è più vicina alla se stessa bambina, alla ‘fanciullina’ che parla la lingua materna, che in poesia si dice (da Leopardi a Pascoli a Zanzotto) essere la voce necessaria a dar respiro ai versi:
[…] io sono il fuoco il giuoco
Invisibile infinito sonoro
l’oro
della poesia bambina 12
Infatti la poesia di Anna, senza finzioni, diventa del tutto “bambina”, con le onnipotenze che solo ai bambini e alla poesia sono possibili:
creo parole di pane sul quaderno
mentre gli uccelli le mangiano 13
io so parlare alle nuvole mentre passano 14
facciamo che io sono una palla 15
visto che è notte di novembre
di freddo e di nebbia
e visto che non ho più la strada né i piedi
buoni per tornare a casa
creo delle biglie di nebbia
[…]
e le gioco con una schicchera
tra il pollice e l’indice
è un modo per rimettermi al passo
sulla via
di casa 16
Con la loro curiosità inesauribile e surreale:
perché gli uccelli volano esatti?17
sono biglie di vetro
o palline di grandine
che battono rimbalzano danzano?18
E con quelle affermazioni spiazzanti che lasciano di sasso:
un giorno lo giuro disubbidisco alla mamma
porterò il mare in cima alla montagna 19
ogni volta che sono davanti a un campo di grano
mi sembra di assomigliare alle spighe 20
e io sto dentro il vuoto dello zero
perché è il mio nido di neve 21
Perché le parole dei poeti e dei bambini sono così più dentro al mondo da metterlo in mostra, il mondo, come la prima volta nel giardino dell’Eden:
nell’orto nasce
l’origine dei semi
uccelli e farfalle non sono abbastanza
se fiorisce il melo bianchissimo
e ha una testa che parla 22
Milena Nicolini-Note di lettura di TALAMIMAMMA
.
giulia incani- ninfea
Note
1, Anna Maria Farabbi, Talamimamma, la ragnatela all’alba, Terra d’ulivi, Lecce, 2014, 12
2, Clarice Lispector, La passione secondo G.H., Feltrinelli, Milano 1991, 164
3, 111
4, 106-7
5, Anna Maria Farabbi, Talamimamma, la favola di cappuccetto rosso, cit., 36
6, Ibidem
7, sulla riva del mare mentre sbarcano, 29
8, poesia bambina, 37
9, ascoltando, 45
10, inizio della scuola, 44
11, la luce dal niente, 50
12, talamimamma, alla mia mamma, 5
13, diario nell’erba, 26
14, 18
15, talamimamma, alla mia mamma, 5
16, la luce dal niente, 50
17, domandine invernali tonte, 49
18, due domandine con l’eco/a naso all’in su, 10
19, la bimba pesciolina, 41
20, giallo, 30
21, 53
22, 21 marzo: primavera, 17
TALAMIMAMMA è uno scrigno di meraviglie tra immagini e parole
ho apprezzato molto la tua lettura Milena poiché viva è la tua parola, ogni annotazione ai disegni, ai testi
elina
L’ho appena finito di leggere e per fortuna ne ho ordinate due copie perché una la darò ai miei bisnipotini Gregorio e Cecilia, ma una me la tengo tutta per me che sono ancora un po’ bambina.
sto studiando accanto al camino
il crepitio del fuoco e le campane tibetane creano
nella luminosità un stesso suono
con cui dico umilmente grazie
la storia del vento
soffia da un orecchio all’altro
strappa le bandiere e i confini
rovescia carrarmati sdraia
e addormenta soldati
si ascolta in un campo
di concentramento
o in una stanzetta buia di ospedale 9″
Un libro da avere e custodire.
Grazie.
Nino
https://miolive.wordpress.com/2015/01/06/antonio-devicienti-su-un-libro-di-anna-maria-farabbi/