NELLA CRUNA DI UNA TESI CON…Alessandra Tucciarone- Intervista di Anna Maria Farabbi

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“Aldo Capitini, Walter Binni e Giacomo Leopardi: «Insieme noi tre»”
Laureanda Alessandra Tucciarone
Docente relatrice Prof.ssa Novella Bellucci
Docente correlatore Prof.ssa Biancamaria Frabotta
Anno Accademico 2012/2013

Università La Sapienza di Roma

Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea magistrale in Letteratura e lingua. Studi italiani ed europei

Alessandra, conoscevi prima dell’assegnazione della tesi l’opera e la personalità di Walter Binni e di Aldo Capitini?

Prima di iniziare a lavorare alla mia tesi, conoscevo pochissimo l’opera di Walter Binni e non sapevo nulla della sua personalità. Lo avevo incontrato più volte durante i miei studi di letteratura sia al liceo che all’università, ma senza mai approfondirne l’importanza nella storia della critica letteraria. Aldo Capitini, invece, era per me totalmente sconosciuto, come lo è purtroppo per la maggior parte delle persone. A condurmi ad incontrarlo è stato l’amore per la poesia di Giacomo Leopardi, a cui ho deciso di dedicare la mia tesi.

E’ stata tua la scelta della tesi o ti è stata assegnata dalla tua docente?

Il mio desiderio era quella di lavorare su un punto di vista inedito della poesia leopardiana: ne ho parlato alla mia relatrice, la professoressa Novella Bellucci, che mi ha rivolto diverse proposte di lavoro. Tra queste mi ha indirizzato anche agli studi leopardiani di Aldo Capitini, su cui nessuno si è mai soffermato in maniera specifica. In particolare mi ha proposto di analizzare il suo punto di vista e di ragionare su un’eventuale influenza su quello di Binni, che come è risaputo, è stato artefice della svolta più importante nell’interpretazione del pensiero e della poesia di Leopardi. Come ho già detto, Capitini era per me un nome del tutto nuovo. Sono andata così a documentarmi, iniziando semplicemente dalla biografia scritta da Fabrizio Truini. Sin da subito Capitini ha catturato il mio interesse, perciò dopo pochi giorni ho deciso con entusiasmo di lavorare sui suoi studi leopardiani. La proposta della mia relatrice mi ha condotto a fare un incontro che per me si è rivelato essenziale.

Il tuo lavoro è stato tessuto con notevole qualità di approfondimento, tenendo conto della contestualizzazione storica e confrontando, con ricchezza di dettagli, poetiche e personalità. Vorrei che, sinteticamente, narrassi il ritratto di Walter Binni come se davanti ci fosse un pubblico che non lo conoscesse affatto.

Dovendo descrivere la figura di Walter Binni, oserei definirlo un guerriero. Scelgo questa parola perché secondo me esprime in maniera efficace lo spirito con cui si è posto nella sua vita contro ogni forma di ingiustizia, combattendo in prima persona, soffrendo sulla sua pelle le sconfitte della società. E come ogni nobile combattente, Binni non si è mai fermato né accontentato di nessun compromesso. La tensione è lo stato d’animo che ha dominato la sua intera esistenza, in una costante inquietudine legata alla sproporzione tra ciò che avrebbe desiderato fare e ciò che riusciva concretamente a ottenere: sempre troppo poco a causa dei suoi limiti personali e soprattutto di una realtà tristemente mediocre. Ma questa insoddisfazione non è per lui fonte di demotivazione, la sua lotta per una società migliore parte nella prima giovinezza, quando diventa un componente essenziale dell’Antifascismo a Perugia, continua con l’impegno nel Partito socialista, con la partecipazione all’Assemblea Costituente nel ‘47, con la strenua e costante difesa della scuola pubblica contro scelte politiche che tendevano a favorire sempre più le istituzioni private; la sete di una società più giusta in Binni non si placa mai fino agli ultimi mesi della sua esistenza. Il critico muore nel novembre del 1997; tra il desiderio di reagire ad una società priva di valori e l’amarezza di assistere a questo stato di cose, lui stesso scrive una sintesi della sua esperienza esistenziale, su un foglio lasciato sul tavolo da lavoro: “Capitini e l’antifascismo: la disperata tensione”. In queste parole racchiude il senso essenziale della sua vita, riportandoci al primo impegno civile contro il regime fascista, e al rapporto con Capitini, nato negli anni della sua formazione e durato tutta la vita. Con lui ha condiviso la passione politica contro ogni forma di dittatura, ricchissimi incontri culturali, scambi letterari; in particolare sono accomunati dalla passione per la musica di Beethoven, da un legame viscerale con la loro città, Perugia, da una forte attrazione per la poesia di Giacomo Leopardi. Per entrambi l’arte, la musica e la letteratura non sono dei campi a sé stanti, separati dalla realtà civile, al contrario sono concepiti come impegno attivo. Per Binni il compito del critico letterario non è dare un giudizio di tipo estetico, ma svolgere un ruolo di responsabilità civile: il suo dovere è quello di stare sempre attento a valutare le opere artistiche senza farsi influenzare da fattori esterni legati alla politica, alla religione, all’utile; il critico letterario deve sempre avere il coraggio di affermare la verità, e questo richiede appunto che il suo lavoro poggi su una solida base morale. Con questo spirito Binni durante la sua vita ha sempre intrecciato passione letteraria e ardore politico in una stessa tela, risultando una di quelle personalità che più ha unito cultura ed etica, passione letteraria e impegno attivo, mai considerati due ambiti antitetici.

Al di là del suo straordinario percorso professionale e bibliografico, vorrei che tu indicassi il nucleo fondamentale della sua personalità e della sua opera. Ciò che, secondo te, davvero oggi resta indelebile, attuale, e nutriente.

Secondo me la personalità di Binni non si può scindere dal suo operato, poiché tutto ciò in cui si è impegnato nella sua vita non è mai stato svolto per fini strettamente utilitaristici ed egoistici, ma sempre poggiando su una forte moralità e su un profondo senso di responsabilità che non hai mai messo da parte. Dunque è proprio questa solida base di rigore morale che io considero il nucleo fondamentale della sua personalità, quel senso di integrità che lui assorbe sin dalla prima giovinezza dalla sua amata Perugia, così austera e severa nel paesaggio e nella gelida tramontana che gli tagliava il viso a Porta Sole. È un’integrità morale che mancava nella società di ieri e ancor più manca in quella di oggi, in cui l’inganno, la menzogna, la sopraffazione sono quanto mai in voga. E proprio il senso di responsabilità che Binni sente su di sé come individuo nei confronti della società è ciò che lo lega alla poesia di Giacomo Leopardi, di cui mette in luce quella moralità che la critica precedente non era riuscita a cogliere. Ciò che reputo veramente fondamentale nell’opera di Binni è l’interpretazione della Ginestra, componimento che per lui rappresenta il culmine di tutto il percorso leopardiano e che può essere visto come una lettera indirizzata a un giovane del ventesimo secolo, poiché è un invito a una società più libera, più giusta, e veramente fraterna. Tale invito risulta più attuale che mai nel nostro secolo, alle prese con i disastri ecologici, con il potere capitalistico, con le armi nucleari, con il crescere mostruoso dell’attenzione al privato e il parallelo diminuire dell’impegno per il bene comune; è un messaggio che deve nutrire con urgenza le nuove generazioni, e che dimostra più che mai il contributo che la poesia può dare alla costruzione della società.

Cogliamo ora la personalità di Aldo Capitini. Ugualmente, con sintesi e efficacia, vorrei che lo presentassi ai lettori che non lo conoscono.

Descrivere con poche parole la figura di Aldo Capitini è pressoché impossibile: oppositore di ogni forma di sopruso, è stato un uomo che si è impegnato su tantissimi fronti per migliorare la società. Nato a Perugia all’alba del ventesimo secolo, figlio del campanaro della città, rende la sua modestissima casa, nella torre campanaria del palazzo comunale, il centro di ricchi scambi tra diversi intellettuali, che durante gli anni del Fascismo si incontrano nel suo studio, con la finestra aperta sul paesaggio umbro, per discutere di cultura, di arte, di poesia, di politica. È grazie a Capitini che Perugia diventa uno dei più attivi centri di antifascismo durante gli anni del regime, da cui lui non viene ammaliato, a differenza della maggior parte dei suoi coetanei. Tutt’altro, rifiuta come pochi di prendere la tessera del partito, perdendo per questo il suo posto di segretario alla Normale di Pisa. La dittatura di Mussolini fa maturare in lui la consapevolezza che lottare contro ogni forma di ingiustizia è un dovere e una responsabilità di tutti. La lotta capitiniana non usa mai la violenza, il suo unico strumento è il dissenso, la noncollaborazione. Le idee di Capitini maturano anche grazie al suo “incontro” (parola a lui molto cara) con diverse personalità, tra cui san Francesco d’Assisi e Gandhi. Promotore dei loro ideali di comunione e fraternità, Capitini arriva ad organizzare nel 1961 la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi, e a lottare per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza in Italia. Ad ispirarlo sono anche autori come Dante e Leopardi, in quanto la letteratura non è per lui un interesse estraneo al suo impegno attivo, ma un campo in cui cogliere insegnamenti per migliorare la società. Per tutta la vita Capitini si prodiga affinché le persone si incontrino e parlino, affinché non accettino passivamente ciò che è ingiusto. La sua spiritualità sente sempre forte la presenza di Dio, ma non aderisce mai alla Chiesa cattolica, da cui prende le distanze soprattutto a partire dal 1929, quando la Santa Sede stipula i Patti Lateranensi con Mussolini e diventa una delle sue principali sostenitrici. Basti pensare che Capitini chiede continuamente al vescovo di essere sbattezzato. Dunque un uomo che non si è mai adeguato al corso degli eventi, e che troppo è stato dimenticato nella società odierna, forse perché i suoi ideali – la nonviolenza, la nonmenzogna, la trasparenza politica, il dialogo – di per sé troppo “belli”, vengono troppo facilmente considerati utopici.

E anche qui, come per Walter Binni, vorrei che esprimessi il tuo punto di vista su ciò che rimane rivoluzionario del suo pensiero.

Anche per Capitini sostengo che pensiero e operato siano inscindibili. Ciò che è veramente unico del suo modo di essere, e dunque del suo operato, è la sua immensa positività, che lo porta a cercare sempre il bene in ogni situazione e in ogni persona. È per questo che non considera impossibile nessuna sconfitta del male, anzi guarda la società piena di conflitti come una realtà che con il giusto impegno può evolversi verso il bene: è così che Capitini mantiene sempre una serenità di fondo che lo allontana dall’inquietudine. Ogni individuo per lui ha la possibilità di redimersi anche dalla colpa più grave. Questa fiducia è dovuta al suo desiderio di una società unita che abbatta ogni forma di egoismo e di separazione tra gli individui. Per questo Capitini promuove in ogni modo il dialogo e l’incontro tra le persone, tutte, prestando ascolto soprattutto ai deboli, in una società in cui prevale il più potente. Ciò che è straordinariamente unico della personalità di Capitini è il rifiuto assoluto dell’egoismo e l’attenzione per ogni creatura, non solo per gli umani: il suo altruismo, la sua delicatezza è uguale anche nei confronti di un insetto, di un fiore, di un sasso. È questa singolarissima sensibilità che lo porta a maturare la sua idea più rivoluzionaria, quella della compresenza di tutti gli esseri del creato, compresi i non viventi, arrivando a concepire una società che non esclude davvero nessuno. L’idea della compresenza lo conduce ad una grande conquista, quella di accettare serenamente anche la morte.

Il nodo solidale, amicale, intellettuale che ha legato Walter Binni e Aldo Capitini, nel corso della loro vita ma anche oltre, ha il carattere della loro città natale, Perugia, che, tra l’altro, è la mia stessa città. Non sono molto d’accordo con te sull’elogio verso il Comune e verso diverse istituzioni locali che, secondo me, hanno avuto e continuano a mancare di responsabilità, o meglio di tensione attiva, verso la valorizzazione e diffusione della straordinaria eredità offertaci da questi due nostri maestri.

La prima volta in assoluto che sono andata a Perugia è stato in occasione delle mie prime ricerche su Capitini. Sono rimasta positivamente colpita da quanto la sua figura fosse presente nella città, diversamente da quanto mi sarei aspettata. Ho notato subito la sua scultura in mezzo agli altri busti nel Giardino dell’amore, la via e la scuola a lui dedicate, ma soprattutto mi ha colpito il fatto che quando mi sono trovata a chiacchierare con persone del posto, completamente estranee al mondo universitario, loro conoscevano la figura di Capitini e la ricordavano con piacere ed orgoglio. Certo, questo non basta a valorizzare e a diffondere nella giusta maniera l’eredità di due maestri come Binni e Capitini, ma è già molto. Poi è ovvio che la strada per fare meglio e di più è sempre molta e in salita.

Nel loro dialogo costante c’è stata la mancanza di condivisione del significato della nonviolenza. E non solo, ma anche del concetto del significato della compresenza. Hai perfettamente approfondito la ricerca di Walter Binni sul dramma della morte e della separazione e riportato la sua richiesta di conforto intellettuale all’amico Capitini. Puoi raccontarci?
Binni e Capitini, al di là degli ideali da cui sono accomunati, hanno due personalità molto diverse; come ho già detto, Capitini, con la sua indole pacifica, riesce a mantenere una serenità di fondo che lo porta ad essere sempre disponibile con tutti, a credere in ogni circostanza che il bene possa vincere sul male. Questo modo di percepire la vita lo conduce ad elaborare l’idea della compresenza, cioè di una realtà che ingloba tutti, i vivi e i morti in uno stesso stato di vicinanza e di amore. Attraverso questo pensiero anche la morte cessa di essere un evento che divide gli esseri viventi e non fa più paura; per cui Capitini mantiene la sua serenità anche davanti all’idea della fine estrema. Binni, di per sé lontano da questa pacatezza, con la sua indole inquieta non è mai riuscito a fare proprio l’atteggiamento pacifico di Capitini nei confronti della morte, che rimane per lui l’evento più tragico di tutti, il più doloroso, la causa di perdite irreparabili. Rifacendosi alle sue stesse parole, per Binni il momento tragico-elegiaco è sempre più forte di quello epico-rasserenatore; questo fa sì che il critico non riesca mai a raggiungere uno stato d’animo quieto nei confronti della morte. In un certo senso invidia la fede che il suo maestro ha e che lui non possiede; molte volte nelle loro conversazioni parlano di questo argomento, ma a Binni sembra che non ne abbiano discusso mai abbastanza, e spesso rimpiange le loro conversazioni e le loro passeggiate perugine su questo tema. E quando Capitini annuncia di pubblicare il suo più grande libro sulla morte, La compresenza dei morti e dei viventi, Binni aspetta con ansia di poterlo leggere. Ma non riuscirà a fare propria quella quiete; anzi il critico vive in uno stato di crescente malinconia, legato alle profonde perdite che subisce nel corso della vita e che lo portano a vivere in una dimensione profondamente nostalgica di attaccamento al passato. Questo senso di perdita negli ultimi anni non gli permette neanche di tornare facilmente nella sua amata Perugia, che diventa con l’assenza della madre, di Capitini e di altri amici, l’immagine dura e concreta di ciò che è scomparso per sempre.

La grande personalità che tu poni al centro della tua tesi, dentro cui si innestano per tutta la vita gli studi e le riflessioni di Aldo Capitini e Walter Binni, è Giacomo Leopardi. Al di là di una non perfetta condivisione della loro lettura critica sull’opera di Leopardi, vorrei che ci spiegassi perché entrambi ritengono il suo canto e la sua vita esemplari e imprescindibili.

Come è risaputo, a Binni si deve la più importante svolta della critica leopardiana, poiché prima di lui Leopardi era visto come poeta dell’idillio, del rifugio solitario nella contemplazione della natura, oasi di fuga dalla negatività della vita reale. Nessuno aveva colto la portata del messaggio della Ginestra. Ma, come ho argomentato nella mia tesi, non è da trascurare che negli anni fondamentali della sua formazione, Binni abbia avuto moltissime conversazioni su Leopardi con Capitini, che in un certo senso ha contribuito alla crescita dell’amore del suo giovane allievo per il poeta di Recanati. Entrambi vedevano nella sua poesia molto di più di quanto si limitasse a fare la critica idealista, cogliendo l’interesse e l’amore di Leopardi per la vita, per le persone, per la natura. Soprattutto colgono l’alto senso civico presente nella poesia leopardiana, il suo richiamo alla responsabilità dell’individuo nella società, il suo appello alla solidarietà e al sostegno reciproco. Dunque leggono in Leopardi il più alto esempio di letteratura come impegno etico, come forza per intervenire nella società, e in nessun modo vedono nella sua poesia una solitaria evasione dalla realtà. Entrambi in Leopardi vedono l’autore di un’espressione poetica non fine a sé stessa, ma volta a far uscire l’uomo dai limiti della propria individualità, e a farlo andare verso una realtà più libera e fraterna. Inoltre, Binni e Capitini non considerano il pessimismo l’espressione più autentica della poesia e del pensiero di Leopardi, come avveniva nel primo Novecento, e come avviene ancora troppo spesso oggi quando si banalizza la complessità del suo pensiero.

La tua interpretazione della poesia di Giacomo Leopardi è mutata dopo aver studiato il punto di vista critico di Walter Binni e di Aldo Capitini? Condividi più la visione di Binni o quella di Capitini?

In Leopardi ho sempre visto una mente geniale, e un animo troppo consapevole della mediocrità del reale: e si sa, chi è più consapevole è destinato a soffrire di più. Soprattutto grazie alle insegnanti che ho avuto al liceo e all’università, ho sempre messo in primo piano il suo amore per la vita, a dispetto dei luoghi comuni che lo descrivono come una personalità pessimista e incapace di vitalità. Attraverso Binni e Capitini ho avuto modo di studiare Leopardi in modo più profondo e ravvicinato, e il mio punto di vista sulla sua opera e sul suo pensiero si è arricchito.
Al di là dello sguardo comune, l’approccio di Binni e Capitini all’opera di Leopardi è molto diverso: Capitini vede, soprattutto negli elaborati di tesi scritte a Pisa, un Leopardi meno autentico quando dà voce ai tormenti e alle angustie che assediano il suo animo, mentre la parte più vera della sua personalità sarebbe espressa nella poetica della serenità, che dà voce agli aspetti più lievi. In particolare Capitini considera espressioni poetiche migliori e più autentiche di Leopardi gli idilli, poiché in queste poesie il poeta esce dalle proprie angustie a si predispone a un colloquio con il mondo circostante. È così che il filosofo mette in rilievo i momenti più armoniosi della poesia leopardiana e quelli più ricchi di musicalità, elemento soave che cresce sempre di più, e che segnala la progressiva liberazione dell’animo di Leopardi dal tormento, fino a raggiungere il rasserenamento supremo nella Ginestra, dove il poeta, superati tutti i contrasti e le agitazioni interiori, raggiungerebbe uno stato di pacatezza.
Per Binni invece il Leopardi migliore e più autentico non è quello degli idilli, ma quello dell’ultima fase, dal Pensiero dominante in poi, dove la sua spinta energica, già variamente presente nella poesia precedente, si manifesta a pieno e esplode in tutta la sua forza nella Ginestra. Dunque mentre Capitini vede il culmine della poesia leopardiana nel raggiungimento della pacatezza e del rasserenamento, Binni al contrario vede la risoluzione di tutto il percorso del poeta di Recanati in una poesia che sconvolge, che scuote il lettore lasciandolo in uno stato tutt’altro che sereno. Non essere d’accordo con Binni sulla visione della Ginestra è pressappoco impossibile: la Ginestra è di per sé un appello estremo di Leopardi all’uomo, un invito a scuotersi, a rendersi conto della sua debolezza e allo stesso tempo della forza che ha a disposizione unendosi con gli altri esseri; è un rimprovero e una preghiera allo stesso tempo che il poeta fa all’umanità, e dunque non può derivare da uno stato d’animo sereno, come vorrebbe Capitini; ma è pur vero che il filosofo perugino ci fa vedere, nella sua interpretazione, un’altra sfaccettatura della Ginestra, che rappresenta il punto della produzione leopardiana in cui il poeta si riappacifica con il genere umano, sentendosi pienamente parte di esso e non più escluso, diverso e solo. In questo senso, secondo me, pensare che Leopardi raggiunga un rasserenamento supremo nella Ginestra non è affatto sbagliato.

C’è un passo molto interessante della tua tesi che non posso non riportare perché ci interroga sulla sostanza della poesia:
“Agli occhi di Binni… la poesia non è un atto che si compie in solitudine, ma è un’esperienza della vita degli uomini che va a connettersi con altre esperienze dell’umanità: sembra evidente la somiglianza di questa visione con la concezione capitiniana della poesia come un’arte in grado di far andare l’uomo oltre i limiti della propria individualità e di elevarlo in una condizione superiore in cui è possibile incontrare tutti, abbattendo i confini di spazio e di tempo. Inoltre Binni afferma che la poesia contribuisce alla storia, e questa è una convinzione che condivide con Capitini, come sappiamo sostenitore dell’idea che la poesia non è fine a sé stessa, ma partecipa alla costruzione del destino umano, responsabile anch’essa del dovere di migliorare la realtà. …E infatti come Binni nel ‘63 in questo saggio smonta l’idea della poesia intesa come oggetto di semplice fruizione per il suo valore estetico o come oggetto di fredda misurazione tecnicistica…”
Vorrei sapere cosa ne pensi, qual è il tuo punto di vista e se credi che i poeti contemporanei lavorino il proprio canto con questa energia.

Durante i miei studi al liceo mi sono appassionata alla letteratura con un interesse sempre crescente perché l’ho trovata la materia più ricca e più viva: molti la considerano un campo astratto, puramente contemplativo e antiproduttivo, mentre è il mare che contiene tutto, che non conosce confini. La letteratura è storia, cultura, morale, conoscenza, contiene verità senza tempo che toccano l’uomo al di là dell’epoca in cui vive: dunque compie il miracolo di far uscire l’animo dalla sua individualità. Questa consapevolezza è cresciuta in me via via a partire dallo scoperta dei poemi omerici, che mi hanno trasmesso emozioni e forti insegnamenti di vita, mi hanno fatto sentire in empatia con personaggi che apparentemente non hanno nulla in comune con l’uomo della società di oggi. È un miracolo che solo la letteratura può compiere, per cui pensare che essa sia un campo chiuso, un atto compiuto in solitudine, è per me inconcepibile: l’opera letteraria deve incontrarsi con il lettore, come il pianoforte con le dita del musicista. E questo incontro non deve servire al lettore per evadere dalla realtà ma per sentirsi parte dell’umanità e agire per una società migliore. Io credo che guardando al panorama letterario contemporaneo sono ben pochi gli autori che si sentono investiti di questa responsabilità civile. Una scrittrice da me particolarmente amata che riesce sempre secondo me a lavorare con questa energia è Dacia Maraini; ma di nomi se ne potrebbero fare molti, il problema è che nella società di oggi, impostata su valori consumistici, risulta sempre più difficile fare in modo che la letteratura abbia un certo impatto sulle persone. Nonostante la difficoltà di intervenire, nonostante la società degli ultimi decenni abbia ucciso la poesia, i poeti contemporanei non devono arrendersi, anzi, facendo fede al grande insegnamento che ci ha lasciato un maestro come Capitini, non bisogna mai smettere di dire no a ciò che è ingiusto.

Dopo questa tesi eccellente, quali sono i tuoi progetti, quale sarà il tuo fare?

La tesi è stata per me non un punto di arrivo, ma un punto di partenza. È stato il mio primo approccio a un lavoro di ricerca, e il mio primo incontro con Capitini. Tra i miei desideri c’è quello di continuare a lavorare su questa personalità straordinaria, che ci ha lasciato tanti semi che non sono stati ancora sparsi abbastanza. Vorrei conoscere Capitini sempre meglio e dare il mio contributo per la diffusione della sua figura ancora troppo poco conosciuta e soprattutto dei suoi insegnamenti. Mi piace moltissimo scrivere, e mi auguro di poterlo fare migliorando sempre di più le mie capacità, con l’energia e il senso etico che penso siano doverosi da parte di uno scrittore. C’è un ambito che mi interessa moltissimo, ed è quello della scuola, perché sono convinta che essa sia la base della formazione di un individuo, e che abbia, come Capitini stesso riteneva, un valore insostituibile per l’educazione ai valori di ciascuna persona e quindi per il destino della collettività. Il mio desiderio più grande è quello di avere la possibilità di lavorare nell’istituzione scolastica, a contatto con i ragazzi, per insegnare ma soprattutto per continuare ad imparare, perché sono convinta che l’atto di insegnare sia il momento in cui si apprende di più.

Anna Maria Farabbi

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