ana kapor
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Non potete immaginare cosa sia accaduto durante e dopo quella riunione condominiale in una periferia di Bologna. Il solito condominio, penserete, immortalato da film, racconti, discussioni, barzellette. Ma questa riunione, credete, ebbe un risultato clamoroso. Non sembrava all’inizio. Il solito orario serale, la solita seconda convocazione, la solita sala parrocchiale dalla luce fioca (affitto cinquanta euro, neanche tanto). Erano tutte le altre cifre a fare tremare le vene e i polsi. I malcapitati, solo una ventina, in rappresentanza della cinquantina di famiglie residenti, con molte deleghe, costretti per ore e ore, anche gli atei, a fare vagare lo sguardo su Cristi, Madonne e poster polverosi di gite di boy-scout alle pareti. Il tutto guidato, come fosse un direttore d’orchestra, dal solito amministratore ragioniere da un cinquantennio, al punto che da molti era considerato più di un parente. Le sue battute sapide, ironiche, argute alleggerivano l’atmosfera. Il fatto è che le sue parole desuete, raffinate, a volte arcaiche, di sapore manzoniano, non erano adatte per quella platea accidiosa, popolare e sempre più sonnolenta, col passare delle ore. Lo ascoltava con rassegnazione, non comprendendo tutto, sperando che il torrente di vocaboli si interrompesse. L’unica a godersi questo scelto eloquio era la signorina Elide, del secondo piano, maestra in pensione, “topo da biblioteca”, un po’ nevrotica, single e aspirante scrittrice di improbabile fama. Andava alle riunioni per divertirsi un po’, per uscire dall’isolamento quasi monastico. Certamente il disagio della solitudine non apparteneva solo a lei, ma strisciava sempre più affollato in una città divenuta metropoli, con problemi di sicurezza, sporcizia, inquinamento, delinquenza.
“Chissà perché le persone hanno paura di rapportarsi ai propri simili in carne ed ossa e ricorrono alle amicizie sullo schermo di un computer?”, si domandava l’ingenua e fiduciosa zitella, se ancora si fosse usato tale termine. Se avesse voluto trovare un compagno in quel tipo di serata, sarebbe stata delusa più del solito. Girava lo sguardo intorno a sé e vedeva più uomini che donne, lavoratori stanchi, mal vestiti, un po’ volgari. Ma meno male che esistevano, essendo lei negata per le questioni tecnico-pratiche. C’era il signor Magri, che pesava almeno centoventi chili. Un omaccione più largo che alto, dalle unghie nere di grasso, dal cervello fine e incolto. C’era il signor Manca, noto per l’impenitente morosità nei pagamenti delle rate. E il signor Ching, anziano cinese della prim’ora, forse poeta, in un appartamento arredato, si diceva, in stile orientale classico. Non si capiva nulla delle sue laconiche parole. E il geometra Orefice- qui il nome non coincideva- che si impicciava di tutto e conosceva ogni pertugio, ogni angolo oscuro del palazzo e dei suoi abitanti. Ma l’aspetto più lugubre apparteneva agli inquilini dei cosiddetti “loculi” del pianterreno, svegliati in continuazione dal rumore delle auto su e giù dai garage. Molto si discusse sul prezzo dell’acqua, sul rumore della vecchia caldaia, sulla paura di incendi, sui conti che non tornavano mai. I proprietari del “Sexy-shop”, uno dei negozi appartenenti al condominio, avevano chiesto di essere esentati dal salato pagamento del riscaldamento, essendo ormai ridotti alla canna del gas, riferendosi ai fallimentari incassi. Non si erano realizzati gli affari che avevano preventivato ingrandendosi. Forse perché ormai il sesso è in ogni angolo, gratuito, e un po’ ci si è stufati. Non se ne intendeva più di tanto la Elide. Certe spese eccessive di riparazioni erano state rimandate al settembre successivo, quando si sarebbero ritrovati tutti più vecchi. Quelle inevitabili venivano approvate all’unanimità, con un sospiro di rassegnazione di tutti e dell’amministratore, sommerso dalle personali malinconie sul buon tempo andato. Il vice-amministratore-segretario continuava a scrivere il verbale al computer ed era silenzioso e misterioso. Di padre bolognese e madre giapponese, manteneva nel volto tratti estetici esotici e originali, occhi allungati, corti capelli sale e pepe, abbronzatura dorata, sguardi a volte fulminanti. Se per caso ne incontravi lo sguardo, nei rari momenti in cui alzava la testa dai fogli, scorgevi in essi un luccichio inquietante. Come se covasse astio e rabbia per quella frustrante occupazione.
Sì, questo tipo di uomo fascinoso la intrigava, aveva pensato la Elide, ma non avrebbe mai rivolto la sua attenzione su di lei. Nessuna cosa o persona rimane intatta per venti o trent’anni e così ogni settembre venivano esaminati i danni, le rotture, i possibili rimedi. Quando si parlò di interrati, cantine e garage, sembrò ad Elide di precipitare fino a Satana. Solo un kamikaze forse avrebbe avuto il coraggio di penetrare nei boxes quando c’era l’infiltrazione di liquidi e di acque luride puzzolenti. Girava la testa, pur stando in apnea. Si sarebbe tornati all’attacco per fronteggiare l’annoso e irrisolto problema. Certamente la nuova riforma delle leggi condominiali non aiutava, anzi aumentava il carico burocratico. Chi aveva inventato quei sacri testi, adatti a fare venire mal di capo, di sicuro non aveva abitato più di dieci minuti in un condominio, anzi risiedeva in qualche palazzo di milioni di euro. Vennero esaminati tutti i punti all’Ordine del Giorno, anzi al Disordine della Sera. Le questioni che circolano nei condomini di tutt’Italia sono più o meno le stesse, ma qui il finale fu inatteso. Elide fu particolarmente colpita dalla descrizione del sottotetto, riscaldato eccessivamente con dispersione di calore utile, abitato da topi e dai loro liquami. Si era tentato di sterminarli con apposite tagliole munite tradizionalmente di pezzetti di formaggio, ma le bestiole non avevano gradito il prodotto caseario, lasciandolo intatto. Piuttosto sceglievano di andare là a morire.
Elide non si era mai recata a vedere questo posto all’ottavo piano, non ci aveva mai pensato, e provava un’infantile curiosità. Però avrebbe avuto paura ad andarci da sola. Sarà perché Bologna è una città di scrittori giallisti, ma già lei immaginava un lucernario misterioso, il buio, la luce, la porta, la scala, il lucchetto, il becchettare dei piccioni, la presenza di ombre sospette. Si diceva che alcuni nomadi o sconosciuti di vario genere fossero passati da lì per andare a rubare o per scappare in grande fretta. Stava pensando a questo la Elide, mentre tornava a casa per il solitario e scuro vialetto del giardino, quando le si accostò inaspettatamente il vice-amministratore. Si era avvolta in un lungo scialle colorato, con predominio del giallo, all’arrivo dei primi, impazienti freddi autunnali. I suoi lunghi capelli un po’ secchi e stopposi resistevano ancora alle intemperie e si muovevano ad ogni passo sopra il foulard, sulle fragili spalle. Invece, il segretario, di cui ignorava il nome, aveva spalle robuste sotto la maglietta bianca, e possedeva risate improvvise e maliziose, che mai avrebbe immaginato durante la riunione. Nel frattempo il gruppetto dei condomini si era distaccato da loro, tornando a casa. I due continuarono a parlare di argomenti condominiali- il cancelletto era da ridipingere o no? Il giardiniere era troppo costoso? Le pulizie funzionavano? Perché le lampadine si fulminavano così spesso?- poi passarono a discussioni più generali su Bologna e i suoi cambiamenti, o peggioramenti. E soprattutto chi aveva spedito una lettera anonima per denunciare il loro tetto in amianto?
C’era un fenomeno nuovo, oltre l’ormai noto della depressione, quello di una rabbia, di un rancore che covavano in ognuno, in continuo aumento, pronti ad esplodere chissà quando e perché e con chi. Dovuti alla frustrazione, alla crisi economica, alla violenza, all’integrazione non riuscita degli stranieri, alla politica corrotta, alle disuguaglianze sociali, ai mass-media, e ad altro ancora. Chiacchierarono a lungo, stazionando davanti al cancello e qui Elide disse all’improvviso- in fondo lei era anche un tipo così, no?- “Mi piacerebbe curiosare nel sottotetto, ma non da sola… Mi accompagnerebbe in questo giro turistico?”.
Il metà italiano e metà giapponese sembrò esitare un attimo, poi un lampo gli attraversò gli occhi.
“Subito, di notte?”
“E perché no?”
“D’accordo. Di giorno ho troppo da lavorare”.
Così i due cominciarono ad arrampicarsi su per le scale. Il vecchio ascensore a quell’ora avrebbe cigolato troppo.
Fu nel lucernario- in questo strano posto dal nome in bilico fra luce e buio, dalle ampie vetrate sporche di pioggia e di escrementi- che avvenne l’inspiegabile. Il segretario fu assalito da una rabbia improvvisa, devastante, incontrollabile, che ha sede nella zona più primordiale del cervello. Molto frustrato dal suo mediocre lavoro, se la prese con la prima malcapitata. Gli occhi furono iniettati di sangue, le vene del viso e del collo sembrarono scoppiare, regredendo ad uno stato animalesco. Si avventò su Elide. Lei si ritrovò a volteggiare, con i lunghi capelli e la sciarpa svolazzanti nella prima aria fredda di settembre. Era stata spinta? O aveva agito in modo autonomo? In fondo, era ciò che desiderava?
Mentre volava dall’ottavo piano sull’asfalto della strada, pensò che mai più avrebbe incontrato il grande amore della vita. E rivide volti amati: i genitori, il primo amore, l’ affascinante segretario…
Non si seppero mai i particolari, né il colpevole, se tale, fu mai scoperto.
Serenella Gatti Linares