Lisabetta Serra: VI RACCONTO UN LIBRO … più uno

 tatyana gorshunova 

Tatyana Gorshunova

 

A mio onore
quel che ho pagato
il prezzo caro che mai ho temuto
non il cammino fatto

sapevo bene:
da qui non si poteva andare
in nessun posto

Questa ‘dedica’ dice già il dolore e l’amarezza, la difficoltà del percorso di Rossana. La prima poesia che incontriamo è un pugno nello stomaco:

Madre di legno
dai seni disseccati
quanto tempo m’hai tenuta
affamata
alla tua gonna

madre di ferro
la tua scure pronta implacabile m’ha tagliato
ogni germoglio che m’avrebbe fatta
altra da te

madre Sade
quanto m’hai fatto male
ogni giorno pungendo con spilli irridendo
il mio corpo di bambina
che imparassi ad uccidere in me
la tua uccisa
femminilità

madre kapò
più dura dei padroni del campo
m’hai addestrato
come un cane da combattimento
m’hai messo in corpo la tua ringhiosa insoddisfazione
m’hai buttato sulle spalle
la tua aggressività

madre
per un piatto di lenticchie hai venduto una figlia
m’hai ridotto
una cipolla costretta a germogliare
fuor di terra

 

Le altre che seguono non sono da meno nella descrizione di questo straziante rapporto di Rossana con la madre. Non c’è poesia che non riveli in Maternale una sofferenza al calor bianco.

Una madre che ti ha divorato
ti fa divorare a te stessa
con lento
uso di denti

Nei Giorni delle Forbici
faccio battere le lame

uccello beccuto taglia via
maniche e orli
smembra gonna e corpetto
lascia pochi brandelli
il minimo per dire: era un vestito

si placa nel gioco perverso
– voleva strappare altra cosa –

qui espongo le righe irte
le frasi monche
per fascino di violenza
dura madre
lascio i miei pezzi doloranti sul foglio

*

Io sto
dove non voglio stare e sto

ha una accorata bellezza il brutto cane
in attesa alla porta
espone la sgraziata forma e sa
ne ha profondissima pena negli occhi
ma più sottile strazio
quando di sé si confonde
come se fosse amato domanda
una carezza

*

Ho cara una piccola volpe
sotto la camicia
con folli unghiette mi scava la carne
non io ce l’ho messa
povera me
donna-volpe che si strazia
con mulinello di zampe feroci
si fa male
perpetuamente

sta scritto: nessuno
può separarsi da sé

*

La scena
che da me non si strappa:
io coniglio tremante
e tu che giri
con crudele lentezza stai girando
verso me
i palpitanti occhi da rapace

*

Per te
unghiuta madre uccello
divenuta mio falco
la vita ora mi cresce
solo orizzontale
mi nascondo ai miei stessi occhi
penso che il meglio
è un farsi sotterraneo
celo la festa
in minuta grafìa:
qui non potrai regnare con i tuoi freddi occhi

 .

beata wilczewska 

beata wilczewska.

Una sofferenza che affonda le sue radici nella infanzia, quando il disamore della madre può proiettare un’ombra distruttiva incancellabile su tutta l’esistenza e oscurarla per sempre. Ma Rossana ha intrapreso un viaggio nel profondo interiore. ‘Romanzo di formazione’ in versi io definirei questa raccolta, infatti, in cui l’autrice recupera l’energia negativa del rifiuto e la trasforma in voce attraverso la regola e la misura del verso. In questo modo lei potrà dimorare nel luogo della parola, il che significa lontano, il più lontano possibile, dal luogo del dolore ustionante. Di questo lavoro straordinario danno testimonianza le ultime poesie in cui la poetessa da figlia si fa madre per portare a compimento la vita della madre – inconsapevole – ormai alle soglie della morte.
Chi ora è madre
-girata la ruota del tempo-
tu per occhi opachi oggi
per ossa fragili e arterie dure arresa a me
tu con piccoli fuochi bizzosi
di rammemorato imperio

pochi giorni
rimangono a noi per significarci
per riaprire alle messi
ma tu
conclusa fredda stella stai passando
in un buio cielo mi lascerai
irrisolta figlia-madre per sempre

ma guardami almeno ora
e vedimi

*

Io
che a te nacqui

Tu
che a me moristi

in mezzo
il mare ribollente del combattere
dell’esigere del negarsi
dell’esistere a sé

io che non ti piacqui
oggi in me ti rinasco
parlo di te con voce bene dicente
la tua vita inconsapevole
porto a compimento

*

Ora che
tutto è consumato
sulla lunga pena
sul lunghissimo
amore
sulla storia guerriera di noi due
tacerò

quello che si doveva
è stato detto
e già
eco dolente segno lucente
già da noi si allontana

ora mamma se vuoi
puoi prendermi in braccio

 .

 tatyana gorshunova 

Tatyana Gorshunova5

.

 Il cammino della scrittrice prosegue in La misura e l’uvetta, che ha vinto il premio Dars 2007. La raccolta è divisa in 3 parti: L’angelo del focolare, L’altra di me, Dio e le piccole misure.
Anche qui è importante l’exergo:

… e poi incontrai sorelle ugualmente ferite
che resero a me la mia luce esplicante.

che dice del suo percorso nel femminismo, la capacità che ha avuto, invece di ripiegarsi su sé stessa in un silenzio autodistruttivo, di mettere in comune percezioni, pensieri, dolori, per farne parola in una ritrovata solidarietà.
All’inizio la relazione tra il modello femminile imposto (dalla madre, dalla tradizione, dalla cultura degli anni ’50) e la sua nuova identità creativa, conquistata attraverso una sofferenza intensissima, si rivela attraverso un’ironia a volte tagliente e a volte semplicemente malinconica:

 

Mai Arcangelo

Donna propizia
virtuoso conclamato angelo del focolare
eppure mai Arcangelo buono per pale d’altare:
con ricci unti e grembiule
a quadri
deturperei qualsiasi quadro

altre cose annunciano
le bionde creature di Simone*:
non ne ho saputo mai niente
le mie labbra si muovono per dire:
“Oggi la minestra mi è venuta salata”.
*Simone Martini

*

Credersi gatto

Non far caso alla tigre accucciata
fra la parete e la cucina a gas,
digrigna i denti solo il lunedì
e poi
si crede gatto e mangia kitkat

di notte
-qualcuno dice-
ha fiammeggianti occhi e inarca
agile corpo
ma è bene agguinzagliata
e noi dormiamo

*

Due vere contadine

Massaggiandole ogni sera
con vitrea crema glicerina al miele
procuro di dar loro
aspetto cittadino:
le mie mani
stan bene alla mia storia
dure arrossate
ottuse
sul vestito di seta
due vere contadine
*
La misura e l’uvetta

E giù
nello stampo da dolce
il modo la misura l’uvetta
cuocere a giusta fiamma

ci stai lievitando
scalciando
perdendo acqua

poi qualcuno
ti infila un cucchiaio nella mollica

*

Inesorabile felicità

Una felicità tutta occhi
mi lascia uova agli angoli
delle stanze
mi mette nel piatto
la secca
zampa di pollo
una felicità che ha becco
m’aspetta
appollaiata sul comò
la sua grassa presenza offusca
la luce dell’attesa
il rumore che fa
lacera il puro silenzio

l’inesorabile felicità
starnazza soddisfatta alla finestra
occlude
ogni varco al cielo

.

Ma nella poesia Marzo scintilla improvvisamente una imprevista felicità reale:

Gran seduttore è marzo
quando viene
anche le rose
della tappezzeria
alzando il capo
spandono intorno una sgargiante
fragranza blu

nella credenza i bicchieri di vetro
esultano sfoggiando scintillii
da baccarat

e io
vado al supermercato
come a un convegno d’amore.

.

beata wilczewska

beata wilczewska3.

Una felicità che sfocia in L’altro nascere, una vera e propria rinascita ove Rossana diventa finalmente madre di sé stessa:

Alla soglia degli occhi trema
l’altra di me
ha piccole folgori nello sguardo
io sbagliata e in difetto
spazio di frase non scritta
quando potrò che
l’impensata differenza erompa?
Il giorno sarà grande:
anche mettendo in ordine
sulla tavola
le posate
anche se piegherò
la testa sulla spalla al mio solito modo
l’impazienza
mi farà sdemoniare
perché sarò nata alla terra
all’aria al fuoco
all’acqua dell’esistere

.

Se all’inizio lei si allontanava dalla banalità ‘triviale’ della cucina, dalla condanna a una casalinghità imposta dall’esterno, nella terza parte della raccolta, in cui io ritrovo la voce di Emily Dickinson, da piccola viola diventa incomparabile, “perché dio ha imparato/le piccole misure” e compare l’angelo:

L’esserci del fiore
(L’altezza
non può decidersi dal cielo
né la distanza
dal piano del mare)

La viola
si dà misure consone da pendio
la quercia le sta
come lontana stella
l’esserci del fiore impone
le sue grandezze:
quello che una donna a sé deve
è la letizia della piccola viola regina
(anche l’ape lo pretende
per l’ordine dei suoi voli)
perché ogni anima è diversa
incomparabile
del suo solo infinito
debitrice

*

Da qui
Se di tutto si racconta
le cime puntute dei carciofi
la catastrofe ghiaccia dell’acqua
la pazienza dello
sminuzzare
il fuoco sorvegliato celebra
il pranzo
nel vecchio salotto
dalla poltrona si spande
una galassia d’oro
oh prossimo
arduo luogo d’interrogazione!
guardaci a tavola
quando le parole fanno
l’interminata relazione di noi
tremanti al tempo
assidui
desideranti
non c’è differenza se corressi il mare
conoscessi le città
e sapessi il cielo
perché dio ha imparato
le piccole misure

*

Approssimazione all’Universale

Il cielo rosa
impone ad occidente
l’ultima gloria
del sole
è specchio
l’acceso splendore
del mare
in abito da casa sul balcone
sgrano piselli per la cena
il sublime e il modesto
intimamente si conobbero
quando l’inesorabile sera
spegneva il mare
richiamava ai fornelli
per un attimo
il mistero si sciolse
su piccole labbra sorridenti
l’universale fu tutto
nel piatto da portata
come la notte-respiro del mare
chiedo alle mani
come il cielo sia caduto sulle dita
come alle dita fu possibile
toccare il tramonto

*

L’angelo in me

Sto dove dio mi ha messo
quanto terrena quanto
ingombrante
quanto
celestiale
potrei piangere di gioia a sentire in me
l’angelo
che al mattino versa il caffè nelle tazzine
e fa
crescere l’essere

così è la legge:
ognuno al suo posto
e dio
che si sporge dovunque
dal brulichio del vivere

.

tatyana gorshunova

Tatyana Gorshunova4.

Dunque tutto si è rovesciato e ciò che all’inizio pareva condanna e desolazione in una vita costretta, limitata, povera, diventa addirittura presenza di dio che “si sporge dovunque/dal brulichio dell’essere”, verso un senso della sacralità ove le parole “angeli messaggeri aprono/il fulgore del senso” dicono l’infinitezza di ogni cosa.
E’ un grande percorso che non esito a definire religioso e che le ha fatto trovare nella parola una possibilità di salvezza e di solidarietà con tutte le creature. La poesia è diventata l’angelo messaggero.
In fine citerò alcuni versi di una poesia di Marina Cvetaeva:

C’è una certa ora – come un peso buttato via:
quando in noi l’arroganza è domata.
Un’ora d’apprendistato, in ogni esistenza
trionfalmente ineluttabile.
….
Oh, quell’ora, in cui, come spiga matura,
ci pieghiamo sotto il nostro peso.
….

 

Lisabetta Serra

.

– Riferimenti per Maternale:  dalla ‘Dedica’ di p. 5

 

**

 

 

Rossana Roberti, Maternale 1982-1994, Book Editore, Castel Maggiore (Bo), 2003

 

cop

Rossana Roberti, La misura e l’uvetta, Dars Edizioni, Udine 2007
Rossana Roberti vive a Fano dove è nata. Laureata in giurisprudenza, non ha mai smesso di approfondire le sue conoscenze ed i suoi interessi in ambito linguistico, filosofico, letterario, appassionandosi soprattutto alla poesia e al pensiero delle donne. A Modena, dove ha lavorato in Agenzie di pubblicità, ha dedicato tempo ad interessanti esperienze di teatro con i ragazzi, si è attivamente impegnata nelle esperienze della Casa delle Donne e con le amiche del gruppo ‘Donne di poesia’ ha collaborato alla realizzazione di numerose performance, dibattiti, cicli di conferenze, seminari, incontri di riflessione. Si è occupata e si occupa della casa e dell’assistenza a familiari malati, mentre non smette di essere impegnata nell’approfondimento, nella crescita e nella diffusione di una cultura nuova di donne. La poesia è la lingua in cui meglio si sente di dire l’intensità del suo vivere.
Ha pubblicato:
Tempodamore, Mo 1968, Neppure il sogno, Ed.Forum, Forlì 1983, “L’estraneo e l’indicibile” in Vi son frecce, Il lavoro editoriale, Ancona 1989, Otto storie per un bambino, Mo 1986, Maternale, Book Editore, Castelmaggiore- Bo 2003, La misura e l’uvetta, Dars, Udine 2007. Con quest’ultima silloge ha vinto il premio Dars 2007.

 

 

 

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