GLI UNDICI DIPINTI IMPERDIBILI DEL MUSEO CIVICO DI
PALAZZO CHIERICATI – VICENZA
UNDICESIMO IMPERDIBILE: UBALDO OPPI
I tre chirurghi
UBALDO OPPI – I tre chirurghi
“Assiduo di palestre e di campi ginnastici, rematore, pugilatore, calciatore”, cosi nel 1923 Ugo Ojetti, influente e autorevole critico d’arte, descriverà Ubaldo Oppi (1889-1942). Sarà proprio grazie al suo interessamento se all’artista verrà concessa una sala personale alla Biennale di Venezia del 1924.
Bel tipo Ubaldo Oppi, bel tipo davvero. Viene soprannominato Antinoo, per i suoi lineamenti, quando, ventiduenne, giunge a Parigi carico di entusiasmo, stringendo in tasca una sorta di prezioso accredito firmato da Marinetti. Bussa subito alla porta giusta, quella di Gino Severini, pittore tra i più stimati, dal 1906 nella capitale francese, il quale lo accoglie con simpatia. Una vera fortuna, poiché ha subito modo di accorgersi quanto poco penetrabile sia quell’ambiente culturale, apparentemente apertissimo. Severini ne coglie il disagio, lo porta con sé, gli fa conoscere altri pittori, lo accompagna nei caffè più esclusivi: “Una sera” ricorderà “Feci l’errore di introdurlo nell’intimità dell’Emitage e me ne dovetti amaramente pentire. La bella Fernande, che fu sempre molto civetta, un po’ per scherzo un po’ per provare le sue armi sul giovanotto di provincia, iniziò un attacco al quale il mio giovane amico resistette molto male (…) e successe quel che doveva succedere”. Fernande era a quel tempo la compagna nientemeno che di Picasso e Oppi lo sapeva. La reazione del genio spagnolo non occorre raccontarla. Di sicuro, questo episodio influì negativamente sul periodo parigino del giovane pittore.
Fu un artista di grande qualità, tenuto in ombra per molti anni come tutti coloro che, impegnati in una loro personale rivisitazione dell’arte classica, furono accusati di fiancheggiare l’ideologia fascista. Oltretutto, Oppi compare tra i fondatori del sarfattiano gruppo denominato “Novecento”, assieme a Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig e Sironi. Tra i primi a rivalutarne l’opera, proprio a Vicenza, la città nella quale trascorrerà molti anni della sua vita, fu Licisco Magagnato, con una mostra curata nel 1969, negli spazi del Museo Civico, dove oggi è custodita una delle sue opera più celebri, “I tre chirurghi” (1926), tela nella quale l’eco di Valori Plastici e del Realismo Magico convivono in uno spazio senza tempo. Nell’osservare questo dipinto si può notare come siano ormai lontani l’attenzione per la Secessione viennese, le memorie divisioniste filtrate attraverso Boccioni e il primitivismo condiviso con Tullio Garbari, oltre al momento peraltro sempre negato dall’autore, di totale immersione nelle atmosfere malinconiche del Picasso inizio secolo.
“I tre chirurghi”, collocati da Oppi al centro del dipinto, in camice bianco, sono ritratti in un momento di pausa. Paiono dialogare, eppure i loro sguardi non si incrociano, creando una sospensione metafisica. Pavimento e architetture riprendono le delimitanti linee dell’arte trecentesca. La scena porta con sé un racconto, ma arriva a noi fasciato da una sorta di pellicola trasparente. Parte della critica giudicherà questa fase come una sorta di congelamento emotivo, invece, specie in quest’opera, è possibile riconoscere una forma inedita di dialogo con la Nuova Oggettività tedesca
Silvio Lacasella