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Per una come me che c’è nata, il nord e l’est non fanno il nord-est a cui oggi si pensa, non fanno cioè quel polo di industrie e poli artigianali che si sono sviluppati partendo praticamente dalle pezze al culo. Si dice così da queste nostre parti, riferendosi a chi è partito dalla miseria e si è trasformato al punto di dimenticare l’origine. Sono in tanti, da queste parti, che hanno fatto questa strada e facendola hanno bruciato la terra, quella di cui i presidi slow food parlano tanto e sempre più gruppi di difesa del territorio cercano di salvare. Qui tutto è cemento, la terra è terra da urbanizzare e i contadini coloni su marte. C’è più terra nelle rotatorie e negli svincoli delle tangenziali che nei campi.
Eppure ci sono anche poeti, da queste parti, poeti che lavorano duro nelle fabbriche, poeti che scrivono facendo la punta ad una matita ed è una lancia di salvataggio non un’arma piantata dritta dentro l’umanità perduta, ratrappita, impazzita.
L’incontro con i poeti che abitano tutti una terra ai confini della produzione industriale , attraverso la proposta di Vasco Mirandola e Piccola Bottega Baltazar, che hanno cucito le parole ad una musica originale e di memorie più vaste dei confini del nord-est, mi ha fatto sentire che c’è qualcosa che merita che ha davvero un plusvalore oltre la ricchezza che si rincorre vanamente oggi, anche in questa terra dove ci si disputa ancora ” la polenta” tra poveri, e penso alle poesie dell’amico Fabio Franzin presentate in quest’incontro o alla delicatezza delle annotazioni poetiche di Andrea Longega.
C’era, nelle parole di tutti i poeti presentati oltre ai già menzionati, Federico Tavan, Giacomo Sandron, Piero Simon Ostan, Francesco Targhetta, Alessandra Conte, Attilio Carminati, un filo per cucirci addosso quello che ci hanno a viva forza strappato e di cui, visto il numero delle presenze in sala, si sente un gran bisogno.
fernanda ferraresso
eka sharashidze
Stessa lengua?
Prova a farte un viàio pa’ l’Italia,
dae Alpi fin al streto de Messina,
fin ae ìsoe. Còssa dise! va ‘vanti
e gira pa’ l’Europa, se no’ basta…
Dapartùt ‘a stessa ròba, ‘e stesse
cadhéne de bóteghe, ‘e stesse
braghe, e fruta, ociài o carèghe,
‘i stessi cóeori. ‘A stessa crisi.
Àeo pròpio da èsser anca ‘a stessa
lengua a dir in poesia chi che sen,
quea soea? ‘na lengua conpagna
dei paneti fiapi del mècDonald’s,
dee felpe in pàil dea Decathlon
o dee lampade a cono de l’Ikea?
‘E mé paròe le ‘é storte, macàdhe,
vèce e diverse, lo so, ma le ‘é sièlte
e scrite co’ passión, e nianca una
vièn scartàdha. No‘ò da venderle,
dàrghee da magnàr a tuti, far schèi.
A mì, in fondo, ‘e me va ben cussì.
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Stessa lingua?
Prova a farti un viaggio per l’Italia, / dalle Alpi sino allo stretto di Messina, / sino alle isole. Cosa dico! Prosegui / e gira per l’Europa, se non bastasse… // Dappertutto trovi le stesse cose, le stesse / catene commerciali, gli stessi / pantaloni, e frutta, occhiali o sedie, / gli stessi colori. La stessa crisi. // Deve proprio essere pure la stessa / lingua a dire in poesia chi siamo, / quella soltanto? Una lingua uguale / ai panini flosci del mcDonald’s, // delle felpe in pile della Decathlon / o delle lampade a cono dell’Ikea? / Le mie parole sono storte, ammaccate, / vecchie e diverse, lo so, ma sono scelte // e scritte con passione, e neanche una / viene scartata. Non devo venderle, / darle da mangiare a tutti, far soldi. / A me, in fondo, vanno bene così.
Fabio Franzin
eka sharashidze
Par chi xe tuta questa aqua
de la fontana? Par chi xe
tuta questa acqua che el vento
spande fora, su le pière
e su la tèra e che l’aria no suga
né el sol? Adesso che xe istà
de matina presto da casa ti la senti
l’aqua freda de la fontana
sola, nel silensio ciaro de la riva
e prima, de ogni umana fede
e congetura.
Andrea Longega
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Per chi è tutta questa acqua/ della fontana? Perc hi è/ tutta questa acqua che il vento/ spande fuori, sulle pietre/ e sulla terra e che l’aria non asciuga/ né il sole? Adesso che è estate/ di mattina presto da casa la senti/ l’acqua fredda della fontana/ sola, nel silenzio chiaro della riva/ e prima, di ogni umana fede/ e congettura.
Sicuramente voi siete i nuovi coloni culturali: non mollate il vostro aratro di parole.