GLI UNDICI DIPINTI IMPERDIBILI DEL MUSEO CIVICO DI
PALAZZO CHIERICATI – VICENZA
NONO IMPERDIBILE: GIAMBATTISTA PIAZZETTA
L’Estasi di san Francesco
GIAMBATTISTA PIAZZETTA- L’Estasi di san Francesco
Sfida molto impegnativa per ogni artista del passato rendere visibile l’essenziale irregolarità delle proprie emozioni e, al contempo, soddisfare i rigidi dettami della committenza. In alcuni casi, però, la composizione entra nella tavolozza in forma quasi predestinata, quasi fosse chiamata a sollecitare nuovi percorsi espressivi. Quando poi la qualità dell’opera è molto alta, come nell’Estasi di San Francesco, la pala dipinta da Giambattista Piazzetta nel 1729 per la chiesa dell’Aracoeli, a Vicenza, le immagini divengono un tramite per descrivere stati d’animo che da personali, divengono collettivi. E in questi noi ci riconosciamo.
La tela del Piazzetta era collocata nell’altare sinistro, proprio di fronte all’Immacolata di Giambattista Tiepolo. Nel momento in cui la dipinse, Piazzetta (1863-1764) aveva quarantasei anni, Tiepolo trentatré. Sorprende notare come, talvolta, Tiepolo e Piazzetta siano artisticamente e stilisticamente vicini, vicinissimi e, in altri casi, molto lontani. Medesima città di provenienza, Venezia. Sullo sfondo, la grande pittura veneta del Cinquecento. Alle loro spalle, l’influenza della scuola bolognese, per Piazzetta; le armoniose luminosità di Paolo Veronese, per Tiepolo. Identico persino il nome di battesimo. In questa occasione vicentina, uno di fronte all’altro, a segnare idealmente una continuità, fatta di cambiamenti. Non c’è un vero passaggio di testimone, medesima è però la sorgente. Lo si vede bene nell’incedere compositivo, in alcuni tagli prospettici e negli sbalzi chiaroscurali. Tra i due le distanze aumenteranno notevolmente quando Tiepolo entrerà col corpo in vorticosi mulinelli cromatici. Due opere, infine, pressoché combacianti nella dimensione (379×188) ed ora, entrambe, alle pareti di Palazzo Chiericati, a Vicenza.
L’Estasi di San Francesco si avviò verso l’uscita della chiesa, nel 1910, accompagnata da una sorta di promessa di restituzione. Essa, infatti, sarebbe stata concessa in deposito negli spazi del Museo per vent’anni, in cambio del restauro. Trascorso questo tempo, come da copione, iniziò una lunga trattativa tra il Comune e i rappresentanti dell’Aracoeli che volevano il ritorno del dipinto all’interno della chiesa. L’accordo si raggiunse dopo tre anni. Anzi, per meglio dire, dopo tre anni e 25mila lire.
“Tra misteriosi bagliori e vaporazioni sulfuree, una vesperale scena di passione, profondamente drammatica, di straordinario impatto visivo”, così la descrive Adriano Mariuz, grande studioso della pittura veneta del Settecento. La drammaticità a cui fa riferimento, presente ed evidente, serve a Piazzetta, più che per lavorare d’introspezione, per amplificare il proprio modo di sentire la pittura. Per averne una prova, è sufficiente seguire, all’interno del dipinto, i sentieri indicati da luci e da ombre magistralmente modulate tra loro. Ecco perché Piazzetta non teme il soggetto e lo fa suo: dentro ad esso insegue i propri pensieri. Diagonali luminose confluiscono come lame verso il centro del dipinto, formando una croce quando il braccio bianco dell’angelo, intersecandosi, si sovrappone a quello del frate di Assisi. Non è sola estasi, quella che vediamo, ma “estasi, stigmatizzazione e morte” assieme. Una sorta di ideale Deposizione, quasi ad indicare in Francesco, il Santo più vicino a Cristo. Una seconda croce è formata dalle assi, dietro alle quali un chiarore segnala una presenza, proprio dove la notte è più fonda.
In basso a sinistra, l’artista ha raffigurato Padre Leone, intento a trascrivere con devozione ogni parola del santo. Ma è sull’Angelo che inevitabilmente si fissa l’attenzione, con le sue ali candide, il panno stretto nella mano, per tamponare il sangue; la veste ariosa, sorretta dalla nuvola sottostante. La luce porosa ne modella le forme, senza ritagliarne i contorni. Un capolavoro, tra i massimi del Settecento.
Silvio Lacasella