benedetto bonfigli- torri di perugia
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Devo ringraziare anche io la prof.ssa Lidia Costamagna, Direttore dell’Alta Scuola per l’insegnamento e la promozione della lingua e cultura italiana, che con la prof.ssa Elisabetta Chiacchella ha organizzato la Tavola Rotonda di oggi su Binni e Capitini.
Sono poi particolarmente grato a Elisabetta, che già dal 2009 si adoperò per far intitolare questa Aula a Aldo Capitini, che vi compare come “professore”, ma che in realtà (come sappiamo e come è stato ampiamente ricordato) ha retto, sia pure come Commissario straordinario, la Stranieri per più di due anni dal 1944 agli inizi del ‘47.
Nel 2008, per la ricorrenza del 40° della scomparsa di Capitini, tra altri Enti questa Università ha indetto un Convegno per commemorarne la figura, e in quell’occasione il Centro per l’orientamento bibliografico e per la documentazione e l’Archivio storico della Stranieri pubblicarono documenti relativi al rettorato di Capitini. Essi sono utili per far luce sull’operato del Rettore “pro-tempore”, e per chiarire, come ebbe a esprimersi l’allora Rettore Giannini, che “da lì scaturì un chiaro indirizzo strategico verso la nuova temperie democratica”.
In particolare ricordo un ampio studio di Salvatore Cingari, pubblicato sulla storica Rivista capitiniana e fucina del pensiero liberalsocialista “Il Ponte” (oltre che su “Perusia”), che mostrava come la direzione di Capitini, ben salda e innovativa pur se in difficili condizioni, dava un forte impulso perché l’Istituzione si trasformasse, da luogo di “irradiazione della civiltà italica e romana” in centro di “italianità aperta”, in crocevia di culture e crogiolo di universalità. Dico questo perché ancora in una pubblicazione del 2004 (La promozione dell’Italia nel mondo, del Mulino), l’autore Paolo Gheda presentava la figura di Capitini come quella di un oscuro “segretario” che diventava Rettore e che, non inviso alle “nuove autorità” compiva atti arbitrari e non adeguati alla funzione. Il giovane storico ignora tutto di Capitini, che gli appare come uno che ha conseguito una certa notorietà per aver indetto riunioni “per stabilire provvedimenti utili alla comunità umbra” (così vengono qualificati i COS di Capitini), ed essere “dedito a dibattiti per l’azione educativa” nei quali, dice, “pur esprimendosi spesso con uno stile piuttosto verboso ed incline alla ripetizione, mantiene però un singolare fascino oratorio”. L’atteggiamento liberoreligioso di Capitini sarebbe per questo studioso “contrastante con l’autoritarismo attribuito (cito!) al regime e alla Chiesa”. Come si vede, una svalutazione che va di pari passo con una chiara apologia del passato, e che aspetta l’estromissione del Commissario come la giusta rimessa a posto delle cose.
Ora, perché parliamo dell’antifascismo di Capitini? perché esso è di una specie tutta particolare, avendo un valore sia storico sia di attualità: Capitini è un testimone privilegiato per capire non solo lo svolgimento della storia italiana ma anche alcuni caratteri propri del nostro tempo e del nostro costume. Quando abbiamo pubblicato con altri il carteggio tra Capitini e Gianfranco Contini, nella sua recensione sul “Corriere della Sera” Cesare Segre ha ricordato che è di Capitini l’osservazione secondo cui la vittoria sul fascismo fu “la vittoria di una minoranza che per vent’anni è stata antifascista”, e che di essere tale i suoi esponenti si accorsero presto, quando “la loro passione si scontrò con l’inerzia e il timore del nuovo, con i pregiudizi e le posizioni acquisite” del vecchio ceto dirigente. E penso che il potere che da allora prese il sopravvento in Italia abbia a che fare con l’attuale sfascio politico, sociale e culturale del Paese.
Cercherò di richiamare qualche tratto della personalità di Capitini, per chi non ne avesse conoscenza. Intanto bisogna dire che è una delle poche figure (naturalmente con Walter Binni) contemporanee che ha espresso la terra umbra, di rilievo nazionale ed anche internazionale; si possono citare accanto a lui il poeta Sandro Penna, o il pittore Albert Burri. Due anni fa mi trovavo a Barcellona, e guardando in una vetrina ho scorto lo scritto di Capitini “Le tecniche della nonviolenza” tradotto in catalano; lo stesso scritto si trova già tradotto in tedesco (a Wupperthal, nel 1969); nel 2000 sono comparsi testi di Capitini in francese e in inglese nelle due edizioni della Rivista patrocinata dall’Unesco “Diogène”; in India tra il 2008 e il 2009 sono usciti un libro su Capitini (di Rocco Altieri) e il suo libro “Vita religiosa”, in inglese; siamo in trattativa con estimatori del nostro autore in Brasile per tradurre in quella lingua suoi testi pedagogici.
Nella nuova sede della Biblioteca di Capitini a San Matteo degli Armeni la Fondazione Capitini ha raccolto 55 pubblicazioni di e su Capitini uscite negli ultimi 25 anni, mettendole a disposizione degli studiosi che volessero consultarle.
Capitini è stato il primo pensatore e attuatore della nonviolenza in Italia, e ne è il più importante teorico. Leggo su quella parete una sua definizione della nonviolenza, che è la più nota; ne potrei citare altre: “La nonviolenza non può accettare la realtà come si realizza ora, attraverso potenza e violenza e distruzione dei singoli, e perciò non è per la conservazione, ma per la trasformazione”; “La nonviolenza non può non essere all’opposizione della società esistente, che pratica scopertamente la violenza oppure si basa su una violenza (oppressione e sfruttamento) cristallizzata nel tempo, e solo apparentemente estranea alla violenza”.
La famosa Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli che per la prima volta in Italia Capitini organizzò da Perugia ad Assisi nel 1961, a cui ha già accennato Lanfranco, non era espressione di un generico, o ambiguo, o interessato e partigiano pacifismo, ma si basava sull’idea gandhiana della nonviolenza, ripensata in maniera nuova ed originale. Fra l’altro l’organizzazione della Marcia (così come quella dei Centri di Orientamento Sociale, i COS), dimostra le straordinarie capacità di coinvolgimento sociale di Capitini: la sua marginalità nella cultura e nella politica italiane furono solo il risultato della sua emarginazione a livello sia provinciale che nazionale.
Ma Capitini non è soltanto questo; egli è peraltro uno scrittore, che Walter Binni qualifica come il maggiore del Novecento in Umbria. L’immediatezza e la chiarezza argomentativa del suo linguaggio dimostrano una essenziale ricerca della verità che va al di là delle formule e delle convenzioni, ed anche la sua eccezionale disponibilità e apertura verso l’altro, il fine di raggiungere tutti. E’ uno scrittore la cui opera, in prosa o in versi, ha comunque un valore e un contenuto di pensiero; lo ritengo tra i pochi filosofi che non hanno soltanto elaborato concetti, ma espresso idee, e proposte molto originali, oggi ancora inattuate, come, oltre alla nonviolenza, il liberalsocialismo, l’omnicrazia, la religione aperta e la compresenza.
Vediamo ora un po’ più da vicino, brevemente per come ci è concesso, qualche sua idea.
Intanto è da richiamare la sua critica allo storicismo e all’idealismo; per Capitini quel pensiero non esprime l’umano nella sua concretezza e singolarità. Attraverso gli elementi della nonviolenza e della nonmenzogna deve avvenire un totale cambiamento della realtà, che egli chiama tramutazione, e che va molto oltre un cambiamento soltanto sociale e politico: questo è il senso della “aggiunta religiosa all’opposizione”, che l’autore propone per aprire la dialettica del reale nella sua prassi di violenza. Riporto un suo passo: “Mentre nella realtà della vita, intesa come potenza, si è dato rilievo ad una legge di dialettica, di svolgimento attraverso contrasti…dalla compresenza viene l’indicazione di un’altra legge, che è di incremento per aggiunta, legge che è per la nascita che non prende il posto di nessuna morte”. Una concezione originale nella sua distanza dalla cultura circostante, la cultura del crudo realismo politico, della negazione delle diverse possibilità del reale, che la rifiuta. Per questo egli si avvale dell’esistenzialismo, ma ne va anche oltre, perché non ha la negatività di quella filosofia. Il critico che ha colto questo lato di Capitini e che gli è più vicino è Walter Binni, con la sensibilità leopardiana, comune ad entrambi.
Nel loro Carteggio, che noi della Fondazione Capitini abbiamo pubblicato, vediamo questo speciale rapporto di amicizia e di stima che si è instaurato tra i due. Tra le altre cose che risaltano in esso c’è indubbiamente l’amore per la loro terra e per la loro città. Binni l’8 settembre da Lucca scrive: “Non ti dico quale folla di sensazioni e di affetti mi assalga in questo momento alla lettura della tua lettera (Perugia, il vento fresco, i Monticelli/Montemalbe) e nello scrivere l’indirizzo del palazzo del Municipio…”; ancora da Lucca (o da Genova) nell’aprile 1955: “desidero che ti giungano i miei auguri mentre passi La Pasqua nella nostra Gerusalemme, fra le incancellabili memorie e la viva realtà di un tempo e di un paesaggio inseparabili”. Un altro aspetto, ancora più interessante, riguarda il pensiero della morte, su cui Binni chiede a Capitini più volte di parlargli: “ Penso molto a certi tuoi temi affascinanti che mi sollecitano e nel mio campo e nella meditazione assidua della morte, che sempre mi accompagna”(5 agosto 1961), “Non riesco bene a distinguere il senso alto, purificatore della morte dal peso fra cupo e struggente delle perdite e della richiesta disperata di un volto, di una parola che nella memoria (maledetta forza del tempo) vanno perdendo sicurezza. Quando stamperai il tuo libro sulla morte? Lo desidero molto” (7 novembre 1957). Il libro è “La compresenza dei morti e dei viventi”, che uscirà nel 1967 nelle edizioni de Il Saggiatore; Binni farà parte della giuria del Premio Viareggio, e si adopererà con successo per la premiazione dell’opera, come ha ricordato Lanfranco. Cosa è che colpisce particolarmente la sensibilità del grande critico nella lettura del libro? A questo interrogativo io rispondo che è la natura veramente singolare delle idee capitiniane che vi si leggono, in un testo che esprime nella maniera più efficace il suo nucleo di pensiero più forte e coerentemente argomentato.
Ne riporto alcuni brani:
“ Nell’apertura religiosa la nascita di un essere umano anche minimo non è soltanto il suo ingresso dentro il mondo della vitalità e della potenza, e perciò il primo punto di una parabola che si concluderà con la morte; ma è l’ingresso nella compresenza per sempre”.
“Ho sofferto acutamente nel vedere, proprio al centro della mia attenzione, che c’è chi è colpito dalla realtà com’è ora: l’ammalato, l’esaurito, il pazzo, il morto, e mi sono messo in rapporto – attraverso il tu a quell’infelice – con una realtà che non lo escluda ma lo tenga con altri esseri che sono nati e lo renda uguale, e lo compensi, sviluppandosi anche lui infinitamente come chi è sano, vigoroso, vivente”;
e infine:
“Davanti ai morti il gusto umano delle differenze, della singolarità di ogni essere, il piacere di cogliere infinitamente le sfumature, si arresta e più che la loro bellezza o bruttezza, gioventù o vecchiaia, colpisce il silenzio; come se dovessero apparire non le distinzioni ma qualche cosa di più profondo e di partecipato da tutti. Sorge allora il proposito dell’offerta, si muove un’aggiunta, quanto meno richiesta e tanto più sollecitamente portata, l’aggiunta della compresenza”.
Ricordo fra l’altro che questi sono i testi che, insieme a brani del “Colloquio Corale”, il musicista Valentino Bucchi ha trascelto per la sua famosa composizione del 1972.
Concludo riportando le parole di un giovane di oggi, per mostrare come Capitini non è una figura che appartiene solamente al passato. Durante le manifestazioni che ho ricordato all’inizio, del 2008, era venuto a leggere brani di Capitini alla sala dei Notari Ascanio Celestini, e in seguito a ciò studenti delle scuole medie superiori lessero loro pensieri sul nostro autore. Uno di questi aveva scritto: “Capitini maestro del dialogo, del rifiuto del compromesso, dell’impegno personale che non tiene conto della moltitudine delle adesioni o della loro scarsità; maestro della democrazia dal basso, dell’omnicrazia e della nonviolenza; Capitini profeta di un mondo che non si è realizzato”. Ecco, aveva colto nel segno.
Mario Martini
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RIFERIMENTI :
Relazione per la Tavola Rotonda “Passaggi perugini: Binni, Capitini e la loro amicizia”
Perugia, Palazzo Gallenga, Aula “Aldo Capitini” (XI)- 22 gennaio 2014
relatori: Lanfranco Binni, Mario Martini, Annamaria Farabbi
https://cartesensibili.wordpress.com/2014/01/21/binni-e-capitini-passaggi-perugini/
link audio della conferenza
http://www.radioradicale.it/scheda/401608/tavola-rotonda-passaggi-perugini-binni-capitini-e-la-loro-amicizia