michael vincent manalo
ANTAGONISTI MANCATI
Gli orrendi anni ’70
.
Alla mia generazione è sempre mancata
l’ambizione di sparire
o meglio di colpire e sparire
come conviene ai guastatori ;
il genio della guerriglia
di cui era maestro Garibaldi
La mia generazione è sempre stata interessata
a battersi le mani e a questuare voti
in una realtà feriale banale e dispersiva
di apparizioni , di umori salottieri
di saldi di fine stagione fra dame e cicisbei
Gli sono mancate le palle
quelle che fanno voltare le spalle
al disvalore delle vane parole
non solo per disaffezione
ma per amore
soltanto per amore
Leopoldo Attolico
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michael vincent manalo
Perdono
S’era alzato il sole e non guardavo
chè l’impresa della vita si disfaceva
All’ombra dicevo:
“Non riesco. Non riesco.
Non riesco a perdonare”
I narcisi si voltavano sul davanzale
rendendo rimostranze
dal giallo torpore alle mie mani non congiunte
dall’estremo delle foglie
puntute al margine dei peccati
Insofferenza prese a dire: “Sei mia”
Tradimento esplose nei tendini bruciante
Intolleranza nel petto chiese: “Dove vai?”
E Noncuranza fece un balzo avanti piegando uno stelo
Fuori, ai bordi del giardino seccavano le rose
crescendo nel petto s’inanellavano le pieghe
di tutte le volte che sarei dovuta andare
ed ero restata così
a fior di pelle come i pesci fuor d’acqua soffocando
Poi mi scoppiò nell’occhio un martire che imprecava
tutte le lagnanze che avevo seminato
Alcune grucce s’appesero alle rigidità del corpo
anch’esso appropriatosi di quell’arroganza stretta
come fosse il dolore mio unico possesso
Chiesi allora sottovoce
(A Dio che ben sapeva quanto piano sussurrassi)
di liberare in volo le sue colombe
che andassero da chi più di me avversava
quel processo di guarigione dalla serena follia
e si librassero bianche sulle colpe dei sani
gli invisibili che non sapevano e ignoravano
quanto fragili siamo su questa Terra infuocata
Ma prima, chiesi un’altra primavera per me
E che il mio perdono fosse piantato profondo
nel cielo disgiunto delle mie ginocchia piegate
A ringraziare dei sassi sotto il menisco.
Federica Galetto
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michael vincent manalo
Non c’è stato il tempo
Non c’è stato il tempo
Solo il tempo di vedermi donna
non quello di vedermi madre
Mentre sbocciavo alla vita
aspettando una vita
la vita a te è sfuggita
Non c’è stato il tempo
non ero preparata
col ventre gravido persa
nei miei pensieri
di giovane incosciente
quel funesto frangente
mi ha colto inadeguata
Fino all’ultimo un alterco
un ennesimo diverbio fra di noi
La mia impazienza il minimizzare
non c’è stato il tempo per capire
Almeno quella volta
era il tempo di tacere
E non è mai finito il tempo
di percorrere una strada lunga una vita
perdonare me per perdonare te
Un tempo a ritroso nel tempo
a quando sobbalzavo
sul sedile della Vespa
girovagando per la campagna
stringendomi a te cantando con te
con il sapore di ciliegie nel palato
A quando tornavi a casa
nelle sere d’inverno congelato
con il cappotto imbiancato
di neve o brina con gli occhiali
appannati e ti toglievi
il foglio di giornale dal petto
Eri stanco arrabbiato non avevi più
il tempo per mostrarmi il tuo affetto
per quella che ero
femmina “ contessa scalza “
ma me stessa tua figlia
non un soldato senza debolezze
che mandavi a combattere
la paura del buio nella pesta
oscurità della campagna
Hai mai trovato il tempo per udire
il tumulto del mio cuore?
A me è stato dato il tempo di vedere
il terrore nei tuoi occhi
quegli occhi che solo un giorno prima
davanti a un ascensore
incrociarono i miei per un attimo
Solo allora in quell’attimo eterno
in quel fulmineo infinito
incrocio di sguardi
realizzai quanto fossero
azzurri i tuoi occhi
Silvana Varotti
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michael vincent manalo
Forse ne assolve la dimenticanza
Quando si fa insistente il ricordare
le mani adunche, gli occhi feroci, i fiati
mi si perdoni se
non posso perdonare.
Dovrei scendere scale nel profondo
dove nessuna luce s’è mai accesa
e dopo il salto che divenne volo
_ sacrosanta amnesia_ fu la diagnosi
Chi mi perdonerà d’essere amata?
la mia incapacità di ricambiare?
Chiedo perdono a chi feci soffrire
a chi non seppi dare l’attenzione
a chi negai un sorriso
a tutto il mondo che nella mia stanza
_solitaria e protetta_
passa veloce sugli schermi senza
ch’io ne raccolga l’afflizione e il pianto
chiedo perdono se richiudo gli occhi
mentre si chiude il mare sui relitti
e se mi piango dei miei mali addosso
mentre di cancro muoiono i bambini
e vado a viso aperto
mentre ci sono donne già sepolte
sotto macerie e burqa
mi si perdoni il non avere fede
nel dio dei libri sacri e degli sfarzi
dei vessilli sui campi di battaglia
e se mi fanno orrore le violenze
che si commettono in suo nome.
Chiedo perdono, infine
se mi distolgo spesso dalla terra
se mi allontano dalle turbolenze
e se in assenza d’altro mio capire
fuggo nell’altocielo
per non morirmi dentro
Cristina Bove
Un insieme davvero molto bello
Non possiamo evitare di morirci dentro. L’altocapire è un buco nero, noi siamo plaghe di pianto e di dolore.
Narda
se guardo un essere che è stato decretato “inferiore” quale un fiore, non vedo che bellezza, fosse anche un parassita ma se guardo ad uno scalino maggiore, là dove sta l’uomo non vedo che infima bassezza perché di sua mano crea una rovina inutile.Questo è il dolo del dolore
Un grazie e complimenti per l’iniziativa !
leopoldo attolico –
A voi grazie per averlo scritto, per aver detto come siete, chi siete. La parola che si dà è ciò che si è. Questo io credo fermamente.f
grazie, Ferni!
e grazie a tutti i poeti!
Grazie Fernanda per l’opportunità che ci offri di condivisione e grazie agli autori.
Grazie a tutti
Mi pare che la piccola scossa che ho lanciato stia diventando un movimento tellurico… Vi leggo tutti con tanta partecipazione e apprezzo molto il coraggio di esporsi.
Vi abbraccio collettivamente ma mi piacerebbe essere vicino ad ognuno, singolarmente
Fiammetta
Certo Fiammetta, tu ti sei accesa e hai acceso quello che sembra diventare un po’ per volta un falò. Ti abbraccio, ferni
“Vi abbraccio collettivamente ma mi piacerebbe essere vicino ad ognuno, singolarmente”
con queste parole lo hai fatto, Fiammetta.Grazie. e grazie dell’innesco.
ricambio l’abbraccio
cri
L’ha ribloggato su La lepre e il cerchio.
Adattarsi a un tempo senza Anima equivale a spegnersi,ossia consegnarsi a una sorte di morte in vita.Ma in queste voci c’è catarsi ed è emozione autentica …Iniziativa davvero splendida!
Grazie